“Ecce homo”, come da canone. È che
la lunga stagione quaresimale e della passione sembra come aver prosciugato la
linfa profonda del pensiero. Il cosiddetto “blocco” dello scrivano ha preso impietosamente
il sopravvento. Quell’”ecce homo”, di una tragedia
bi-millenaria, permane nella sua crudezza anche per le coscienze senza
confessione religiosa alcuna. Poiché essa, quella tragedia dell’uomo nazareno,
sembra fare da contrappasso alle tragedie dei giorni nostri. Una tragedia che,
nella sua continuità, non ha mai avuto un istante solo di tregua. Ma non è
dell’uomo nazareno che mi vien di parlare. Capita che attorno alle pasquali tavole
imbandite per ricordare, ma non tanto, quella tragedia bi-millenaria ci si ritrovi
a parlare dei fatti correnti, delle tragedie correnti. Nell’occasione neanche
le “cuddure”
nella solatia terra sicula, artisticamente elaborate dalle esperte massaie, per
come la tradizione vuole ed impone, e con quell’infinità di uova in esse immerse,
hanno alleviato la cupezza di quella tragedia che si rinnova nei giorni
presenti. Il colloquiare è stato stanco, quasi di cortesia. Ma la tenzone era dietro
l’angolo. È bastato un nulla. “Ecce homo”. Dichiara la sua
confessionalità. Dichiara, con ostentato orgoglio, la passata sua militanza
politica che a quella sua confessionalità si era ispirata tradendone in verità
lo spirito e l’essenza. E con volo iperbolico sorprende gli astanti –
esterrefatti - confessando la sua incondizionata ammirazione per i tagliatori
di teste d’oggigiorno che a suo parere dimostrano la pienezza della loro fede, una
forza grande, quella pienezza e quella forza che non si mostrano essere più in dote
alle confessioni dell’Occidente.
Donde ne consegue, a suo dire, della forza
morale di quei moderni tagliatori di teste e della pavidità e debolezza delle
confessioni religiose dell’Occidente. Sublime pensiero! “Ecce homo”. Sicuramente
nostalgico di quando a menar le genti per le armi erano le falangi cristiane lanciate
non solamente contro gli invisi “mori” ma contro tutte quelle genti
che ostinatamente rifiutavano una catechizzazione imposta dalle armi. Ha
scritto il professor Umberto Galimberti sul settimanale “D” del 13 di dicembre
dell’anno 2014 – “È inutile parlare di
fede con chi non ha mai dubbi” -: Karl Jasper amava distinguere: "i
credenti" dai "militanti della fede", ai quali rimproverava la
loro "minacciosa sicurezza". I credenti "buoni", quelli che
non disprezzano i miscredenti e quindi non entrano in contraddizione con la
loro fede che chiede anche carità e comprensione del prossimo, leggono i non
credenti come persone che vorrebbero credere, ma non ce la fanno, e questo
perché o non sono abbastanza informati, o perché hanno una mente
"naturale" e non "spirituale" che non consente loro di
intendere quei contenuti di fede che, per la mente naturale è pazzia. Insomma,
per coloro che non credono non c'è scampo, in base al presupposto, comune a
tutti i credenti, che si dà verità solo nella fede. Ora, a quell’uomo
del terzo millennio si è cercato faticosamente, se non inutilmente, di far
capire quanto e per come i percorsi storico-politici siano stati diversi per le
genti dell’Oriente e dell’Occidente del mondo e che la “debolezza” dell’Occidente
evidenziata e denunciata dal suo dire fosse in verità ben altra cosa, ovvero la
faticosa conquista di quella laicizzazione che hanno condotto le società occidentali,
fortunosamente, a sottrarsi a quegli imperativi
che oggigiorno guidano la mano dei moderni tagliatori di teste. E così
stancamente, come in verità si era avviato, il colloquiare si è spento
lasciando per un certo tempo aleggiare per l’aria quella macabra ammirazione
per la “forza” religiosa di quelle bande armate sterminatrici
d’innocenti. Ha scritto ancora il professor Galimberti: Ora tutti sappiamo che la fede
"non sa" e perciò "crede". Io non credo che due più due fa
quattro perché lo so, mentre credo in Dio perché, pur non avendo prove circa la
sua esistenza dal momento che non l'ho mai visto ma ne ho solo sentito parlare,
ne sento il bisogno, e per la stessa ragione credo anche che Dio sia buono. E
questo anche se Isaia (45,7) dice: «Dio è colui che fa il bene e crea il male».
Qui non si salva neppure la religione cristiana che attribuisce il male alla
tentazione del diavolo, perché inevitabile sorge la domanda: chi ha creato il
diavolo se non Dio? E donde entrò in lui quella volontà maligna che lo rese
diavolo dopo essere stato creato interamente angelo da un Creatore buono? In
Dio c'è anche un lato oscuro come a più riprese ci ricorda Jung, ma anche il
teologo Dietrich Bonhoeffer, giustiziato nel campo di concentramento di
Flossenbürg all'alba del 9 aprile 1945. E più recentemente il teologo Paolo De
Benedetti, docente presso la Facoltà Teologica dell'Italia settentrionale, il
quale, commentando l'invocazione di Gesù nell'orto del Getsemani («Padre, se
vuoi, allontana da me questo calice») osserva che Gesù non dubita
dell'onnipotenza di Dio, ma della sua volontà, infatti non dice «se puoi», ma
«se vuoi». Gesù dunque conosce il lato oscuro di Dio e perciò chiede (ma
invano) che il suo lato destro vinca sul suo lato sinistro. (…). …un dialogo
tra credenti e non credenti è possibile solo se i credenti non credono di
possedere la verità assoluta, perché in questo caso ogni dialogo è precluso
prima ancora che incominci. Infatti solo se la (…) fede è accompagnata dal
dubbio, e non è difensivamente arroccata in una presunta verità assoluta, come
peraltro in diverse occasioni ci ricordava il Cardinal Martini, allora si può
incominciare a parlare. (…). Ma la complessità dei fatti della Storia,
che si sottrae al miracolismo invocato dai “credenti” a prescindere, è
conquista che solamente la libertà del pensiero assicura in una forma più o
meno compiuta. Ha scritto Adam Gopnik il 14 di febbraio 2015 sul quotidiano la
Repubblica – “La lezione delle Crociate
per capire gli orrori dell’Is” -: (…). …è vero che la storia semplifica tutto
e la trappola, insidiosa, è che ripristinare la complessità non sempre rende le
cose più chiare. Faccio questa riflessione dopo una recente dichiarazione del
Presidente Obama, in occasione della National Prayer Breakfast, in merito alle
orrende uccisioni di prigionieri inermi da parte dell’Is. Il suo commento era
apparentemente ovvio e inconfutabile: che nella loro storia, quasi tutte le
religioni (a parte forse alcune forme di Buddismo, Giainismo e simili),
compresa la sua religione cristiana, siano state la concausa di orrendità. «Ai
tempi delle Crociate e dell’Inquisizione, si commettevano atti terribili in
nome di Cristo », ha osservato, dicendo una verità che solo un seminfermo di
mente metterebbe in discussione. (…). L’Inquisizione? In realtà, non bruciava
le persone vive; diceva alle autorità statali che gli eretici erano
irrecuperabili e ed erano queste ultime a metterli al rogo. (…). Le Crociate
erano molto più complicate che un attacco a saraceni innocenti da parte di
cristiani sanguinari. Ma i fatti di base rimangono gli stessi: un grande numero
di persone inermi, dagli ebrei dell’Europa centrale ai greci-bizantini di
Costantinopoli, furono torturati e uccisi in nome della religione. (…).
Le
ideologie sono astratte, ma gli atti che producono sono reali. Potete
neutralizzare qualunque ideologia, quantunque vile, insistendo a dire che
nessuno è responsabile di quello che realmente fa. Potete riabilitare qualunque
dottrina nella storia, continuando a dire che è responsabile solo delle sue
conseguenze positive e attribuendo il resto a equivoci ed errori. (…). I
misfatti delle Crociate, come quelli della schiavitù, sono successi. I fanatici
che agiscono in nome della religione hanno assassinato migliaia di persone
inermi. Il punto non è che nessun altro sia stato migliore; è proprio il
problema. È il motivo per cui ora sentiamo che tutti i fanatismi e le ideologie
predominanti in quel periodo erano altrettanto orribili, e per cui ringraziamo
le nostre stelle, oltre ai nostri antenati illuminati, per averli (in gran
parte) eliminati. Il male può nascere dal bene: la religione non può mai essere
il nemico; il fanatismo lo è sempre. Ma la religione è sempre stata il terreno
fertile del fanatismo. Per questo, quando gli uomini commettono atti di
orribile crudeltà, diciamo che hanno fatto una religione della loro politica, o
che sono prigionieri di un folle dogma ideologico. Il fanatismo è la
convinzione che un’unica religione o ideologia contenga tutta la verità del
mondo, e che le altre religioni debbano essere, al massimo, tollerate. (…).
…nessun gruppo può, né mai potrà, assurgere a storico paladino morale. Ma non
perché non esista una vetta morale, ma perché ci stiamo ancora arrampicando.
È quanto a ridosso della “resurrezione” dell’uomo nazareno,
avvenuta vincendo la morte e annullando le regole inflessibili della Natura. Un
mito o una fede sulla quale risulta essere inutile qualsivoglia confronto. “Ecce
homo”. Che a ben pensare sia da ritenersi esponente e simbolo di quelle
migliaia e migliaia di occidentali cristianizzati che, orfani delle gloriose, sanguinarie
imprese all’ombra della croce, ritengono il loro mondo occidentale e
cristianizzato avere calato le “braghe” – testuale – di fronte ai “mori”
mozzatori di teste.
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