Da “Il fact
checking è passato di moda: la cazzata (meglio se in tv) è libera” di Alessandro
Robecchi, su “il Fatto Quotidiano” del 4 di febbraio 2015: (…). …capita che un ministro – la
ministra delle riforme Boschi – vada in tivù, ospite di una popolare
trasmissione (L’Arena, Raiuno) e, nel difendere una contestata norma prima
approvata dal Consiglio dei Ministri e poi ritirata con imbarazzo, citi una
legge francese. Insomma, è il succo, qui si fa tanto casino per uno sconto con
soglia del tre per cento a chi froda il fisco, mentre in Francia quella soglia
è del dieci per cento. Spettatori: tra i tre e mezzo e i quattro milioni di
persone. Ecco. Verifica fatti. Fact cheking. Uno si aspetta, il giorno dopo,
elaborate infografiche sui giornali, sapienti schemini che mettano a confronto
la legge francese con quella italiana. Un lavoro di verifica che riveli alcune
cose come, per esempio, che la legge francese dice ben altro, che riguarda
l’evasione per errore (per carità, può capitare) ma non la frode, che la soglia
è fissata in una manciata di euro (153 per la precisione), che riguarda singole
voci dell’imponibile e non, come si è proposto qui, l’intero utile lordo (l’imponibile)
di un’azienda, che è una bella differenza. Invece niente, con l’eccezione di
questo giornale, qualche sito particolarmente attento e qualche tweet
spiritosello.
Ecco. Non è che interessi più di tanto qui dirimere la questione
dello sconto fiscale, o tracciare una differenza tra chi sbaglia la
dichiarazione dei redditi e chi invece tira a fregare. E nemmeno riflettere su
come e se e quando (il 20 febbraio) verrà riproposta, magari riveduta e
corretta, la norma. Ci fermiamo un passo prima, e cioè su come e se e quando si
possa intervenire con una “verifica fatti” su vere e proprie bugie conclamate,
insomma se la moda del fact checking sia una cosa che resiste ai tempi e al
fascino di chi mente o se sia uno di quei capi che si tengono nell’armadio e si
indossano solo ogni tanto, quando fa comodo. Se così fosse, allora liberi
tutti. Sapete cosa fanno in Nuova Zelanda a chi guida contromano? Gli offrono
un gelato. E sapete in Polonia cosa accade a chi caccia di frodo? Niente cinema
per due anni. Vale tutto, tutto è buono e tutto passa, scorre via come acqua
nei tubi e più ampia è la platea che si è abbeverata ai rubinetti della bugia e
più sembrano patetici e innocui i puntini rimessi sulle i da pochi volenterosi
e tignosi “verificatori di fatti”. Tutto qui: si discute molto di premi di
maggioranza nelle leggi elettorali, passate e future, e si pensa poco ai premi
di maggioranza concessi alle bugie di chi comanda. Lo sapete che in Scozia se
frodi il fisco ti regalano una cornamusa? Ah, non è vero? E vabbé, pazienza.
Da “Renzi e
Berlusconi, vite parallele si festeggiano” di Furio Colombo, su “il Fatto
Quotidiano”, del 5 di aprile 2015: (…). Inevitabile ritornare con la memoria ad
un articolo dedicato a Berlusconi il 21 agosto 2008 dal settimanale Newsweek, intitolato
“Miracolo in 100 giorni, come Berlusconi ha messo in ordine la caotica Italia e
che cosa verrà dopo”. Ecco l’inizio: “Nei primi cento giorni da primo ministro
Berlusconi ha fatto ciò che è impossibile fare: a un livello che non ha
precedenti nella storia del Paese, lui ha preso in mano il controllo di una
nazione che appariva ingovernabile. Le opposizioni si lamentano, e intanto
Berlusconi, primo ministro per la terza volta, ha un sostegno popolare del 55
per cento. (…). Berlusconi, facendo buon uso di una legge elettorale del 2005
(si riferisce al Porcellum, legge di Calderoli, preparata per Berlusconi, ndr)
ha ottenuto una vittoria da cui l’opposizione deve ancora riprendersi (…) e ha
perso poco tempo nel consolidare la vittoria. Una delle sue prime leggi dà
immunità contro ogni procedura giudiziaria alle quattro più alte autorità dello
Stato, incluso il primo ministro. Ci sarebbe la questione del conflitto di
interessi, ma gli italiani sono troppo poveri per interessarsi di queste cose.
Essi chiedono sicurezza, non solo finanziaria. E Berlusconi risponde, con pugno
di ferro in guanto di velluto. (…). Già all’inizio di agosto ha inviato truppe
in varie località d’Italia per ripulire Napoli (sono i giorni in cui comincia a
esistere la Terra de fuochi, ndr), per tenere a bada l’immigrazione (per questo
serve il trattato di amicizia perenne con la Libia, ndr), per combattere il
crimine (i grandi processi saga per corruzione devono ancora cominciare, ndr)”.
La firma era di Jacopo Barigazzi, una firma allora ignota, in rete, che
sembrava finta, date le affermazioni stupefacenti e perché appariva una
celebrazione eccessiva persino per una pubblicazione di casa Berlusconi. Invece
era tutto vero. Non la storia di Berlusconi che controlla e domina l’Italia, l’immondizia
e la criminalità con le truppe. Ma la riproduzione, per conto di Berlusconi, di
un tipo di celebrazione identica alla narrazione, che Berlusconi imponeva di se
stesso. Forse il Barigazzi, personaggio che è sembrato comprensibilmente
improbabile, data la distanza dai fatti veri, ha un po’ esagerato, spostando la
sua celebrazione verso il grottesco, verso una involontaria presa in giro,
accolta con scrosci di applausi solo dai dipendenti di Berlusconi. (…).
Da “Expo,
precari e tasse sulla casa, è in arrivo l’Ufficio Promesse” di Alessandro
Robecchi, su “il Fatto Quotidiano” dell’8 di aprile 2015: Tra le tante riforme avviate,
annunciate, in via di votazione, aggiustate strada facendo, riviste, corrette,
ne manca una essenziale: la creazione di un piccolo Ufficio-promesse. Basta una
stanzetta, un computer e un funzionario. Chissà perché, me lo immagino come
quei travet dei grandi romanzi russi, grigi e aridi, ma puntigliosi e precisi
fino alla pignoleria. Uno, insomma, che controlli lo stato delle promesse,
anche e soprattutto quando queste hanno forma di impegni scritti, timbrati e
sottoscritti. Il caso più recente è il famoso pareggio in bilancio nella
Costituzione. Non una bella cosa, anzi una specie di imbragatura da alpinista
che impedisce politiche keynesiane o investimenti strategici. Doveva scattare
nel 2015, è stato rinviato al 2016 dicendo che era una eccezione, ora si chiede
di rinviarlo al 2017. Un caso di promessa molto rigida (si è addirittura
modificata la Costituzione) diventata molto elastica alla bisogna. Ora che
comincia il balletto sul Def se ne sentirà parlare. L’omino dell’Ufficio-promesse
avrà un bel daffare, e gli servirà parecchio bianchetto per cancellare tutti
quei bei discorsi sul pareggio di bilancio inserito nella Costituzione perché
“ce lo chiede l’Europa”. Altra cosa di cui si sentirà parlare, un grande
classico, sono le tasse sulla casa. Ora, a pochissima distanza dalla creazione
della Babele di sigle inventate per sostituire l’Imu (fu Ici), si parla di una
tassa unica. Ma per questa faccenda il piccolo travet dell’Ufficio-promesse si
troverà alle prese con un groviglio inestricabile. Berlusconi voleva abolire
l’Imu. Abolita l’Imu (sulle prime case) si disse che bisognava aumentare l’Iva
per compensare. Aumentata l’Iva si “ridisegnò” la politica fiscale sulle case.
Risultato di tre anni (2011-2014) di indefesso lavoro: l’Iva che doveva
sostituire l’Imu è aumentata e la tassazione sulle case è aumentata anche lei,
del 178 per cento (fonte: Confedilizia). Insomma all’Ufficio promesse il
computer glielo darei bello grosso, e forse dovrebbe anche aumentare il
personale. (…). E comunque, se esistesse un ufficio promesse, dovrebbe
aumentare l’organico per occuparsi dell’Expo. Fermi tutti, non parliamo qui di
costi, né di ritardi, né di malversazioni, corruzione e porcate, ma proprio
delle promesse. Quelle messe nero su bianco ai tempi della candidatura di
Milano e presentate al Bie (Bureau International des Expositions). Milano
(regnante sua maestà lady Moratti) si impegnò a fare: la Biblioteca europea, la
Città dello sport, la Città della giustizia, la Città del gusto , il Centro europeo
di ricerca biomedica, 70 chilometri di vie perdonali e ciclabili, venti
chilometri di canali, nonché di piantare 50 mila nuovi alberi in città. Non una
di queste solenni promesse è stata mantenuta. Ora che si litiga sulle opere
“fruibili” ma non “finite”, su ritardi e gufi, quelle promesse sono totalmente
dimenticate, e un buon funzionario dell’Ufficio promesse dovrebbe perfezionare
questa amnesia. Oppure, in alternativa, così come si secretano i lavori di
Expo, manco si fosse in un’economia di guerra, si secretino dopo un certo tempo
anche le promesse, con apposito avviso: “Attenzione, questa promessa si
autodistruggerà tra sei mesi”. Promesso.
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