Da “Il segreto di Matteo Renzi il presidente giovane” di Furio Colombo,
su “il Fatto Quotidiano” del 30 di marzo dell’anno 2014: (…). Il punto è che Matteo Renzi
è entrato direttamente nella stanza dei bottoni (niente prescrive o prevede che
uno passi di lì e vi entri perché è uno bravo o si presume che sia bravo) e vi
resta non solo incontrastato ma abbastanza apprezzato. La ragione è che non è
mai stato eletto. (…). …non mi pare vero di avere individuato la ragione che,
con un po’ di fortuna e di faccia tosta (che non gli manca), lo salverà a lungo
dal crollo dei controsoffitti politici che colpiscono così presto quasi tutti i
regolari della politica. (…). I suoi modi simpatici e disinvolti devono avere
fatto presa anche sul capo dello Stato, che aveva previsto una situazione
eccezionale breve, e si trova di fronte a una situazione eccezionale
lunghissima. Ma forse anche lui aveva visto che Renzi ha un lasciapassare
prezioso: può dimostrare di non essere stato votato. Non è l’on. Renzi o il
senatore Renzi. È il dottor Renzi. Fa una differenza grandissima, e Renzi in
persona è ben cosciente di questo privilegio che a tutti gli altri non sembra
bello ricordare (infatti non se ne parla mai). (…).
Tipica è la frase con cui
liquida il dissenso della leader di Cgil e del presidente di Confindustria:
“Vuol dire che ce ne faremo una ragione”. Vi immaginate se un regolare politico
eletto si abbandonasse a tanto giovanile sarcasmo? Per capire è bene non
illudersi che l’ondata fortissima di avversione alla politica prima o poi si
esaurisce. Occorre un forte choc perché questo accada. Al momento non sembra né
imminente né probabile. Cose enormi e non cancellabili (certo non adesso) hanno
segnato e sfregiato la politica. E il colpo di grazia è avvenuto nello
stabilire che “sono tutti uguali”, legittimo grido di esasperazione, ma anche
salda barriera di protezione per i peggiori, che possono continuare (e
continuano, salvo occasionale detenzione) nei propri affari poltico-privati
proprio perché protetti dal discredito che ha colpito tutti. Tutti ma non gli
estranei al sistema. Chi è più contrario al sistema di uno che non è mai stato
eletto, ma è incaricato di portare a termine una lunga e operosa legislatura,
mettendo al lavoro, con giovanile impeto, gli eletti sia d’accordo che non
d’accordo? (…). Una lucidissima controprova ci viene offerta da Grillo. Non
appena i suoi liberi, nuovi, rispettabili e rispettati cittadini che si sono
offerti per la candidatura a Cinque Stelle sono stati eletti, è come se fossero
andati in convento. Devono tacere, obbedire e togliersi dalla testa di
decidere. Decide il capo (non eletto) che sta battendosi per togliere dalla
Costituzione la frase “senza vincolo di mandato”, e imporre una multa
all’eletto che si ribella al capo non eletto. Dunque in Parlamento (ci stanno
dicendo anche i nuovi arrivati) non conta la coscienza. Conta l’obbedienza. E
dunque il “vincolo di mandato” deve diventare un cappio. Se ti muovi per conto
tuo, io stringo. Renzi ha notato, con l’attenzione vorace di chi impara subito.
Primo, forma un governo modesto (tanto il governo è lui, Renzi), con persone
giovani, persino più giovani di lui, così è sicuro che non sdottorino con pretese
di competenza e noiose storie di esperienza. Secondo, si accerta che non
sappiano la materia, in modo da evitare che pretendano di insegnartela. Terzo,
fa pesare il fatto che ogni decisione grande o piccola, tocca a lui, non tanto
e non solo perché lui è il capo, ma perché lui è esente. Nessuno lo ha eletto,
e perciò è esente dalla squalifica che marchia i politici. Per ora funziona.
Certo, non conosciamo ancora le conseguenze.
Dal volume di Vittorio Dotti – ex
legale dell’egoarca di Arcore e compagno di Stefania Ariosto, accusatrice nel
processo a carico di Cesare Previti – “L’avvocato
del diavolo”, Chiarelettere editore - "Berlusconi
io lo conosco bene è uomo facilmente ricattabile", pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” del 20 di
maggio dell’anno 2014: Io Silvio Berlusconi lo conosco bene. So che
non disdegna la menzogna, so che faccia fa quando bleffa. In genere aggrotta la
fronte e assume un'aria compunta, come a dire: "Purtroppo è così, non
posso farci nulla". Simula gravita ed è una cosa che gli riesce piuttosto
facilmente. La gente ci casca quasi sempre. E terrorizzato dalle minacce ed è
vulnerabile ai ricatti. Tanti piccoli faccendieri lo hanno capito al volo,
hanno agito di conseguenza e ci hanno costruito una fortuna. Conosco il suo
modo di parlare. Lo ricordo alle convention di Publitalia a Montecarlo, negli
anni Ottanta, quando macinava chilometri su e giù per il palco, il volto
sorridente e il mi crofono in mano, inculcando sogni nella platea di fedeli. Se
la cava egregiamente, ma ha un tallone d'Achille: il suo scarso vocabolario.
Spesso non sa trovare le parole. Non di rado per esprimere un concetto deve
girarci attorno e ricorrere a perifrasi, un po' come Alberto Sordi in quella
famosa scena dell'esame di francese, quando, di fronte alla commissione, non
sapendo come tradurre la parola 'zia' si salvava in corner dicendo la soeur de
ma mère. Nel marzo del 1996 esplode il caso giudiziario che travolge Cesare
Previti, uomo vicinissimo a Silvio, eletto al Senato e già ministro nel primo
governo Berlusconi. A inguaiarlo sono le rivelazioni fatte ai pm di Milano, di
nascosto da me, dalla mia fidanzata Stefania Ariosto, amica e frequentatrice di
Previti da ben prima di conoscermi e depositarla di segreti a me del tutto
sconosciuti. Una vera bomba giudiziaria che ha riempito le pagine dei giornali
per mesi e che rappresenta un tassello importante della storia politica della
Seconda Repubblica. Da Previti e dall'ala dura del partito vengo accusato
ingiustamente di essere l'ispiratore della Ariosto o, comunque, di non avere
impedito la sua testimonianza. Ciò costringe Berlusconi a negarmi la
ricandidatura nelle imminenti elezioni dell'aprile 1996 (vinte poi dal
centrosinistra di Prodi) e sancisce di fatto la fine dei nostri "Smentisci
la Ariosto e io ti fac cio sindaco di Milano". È il 15 marzo 1996. Roma è
incappucciata dalle nuvole. Pioviggina e spira un vento fresco. Silvio
Berlusconi è seduto di fronte a me, nell'elegante salotto della sua dimora
capitolina di via dell'Anima. I suoi occhi sono fissi nei miei. Siamo soli,
senza testimoni: è la resa dei conti. "Ti metto a disposizione i miei
telegiornali, mi dice. Non ti chiedo molto, basta una tua semplice
dichiarazione". Da qualche giorno è scoppiato il caso Previti. Le
rivelazioni della mia fidanzata, Stefania Ariosto, tengono banco sulle prime
pagine di tutti i quotidiani. Sono sconvolgenti e inequivocabili, potenti come
un pugno nello stomaco. Il Corriere della Sera, appena due giorni prima del mio
incontro con Berlusconi, annuncia: Previti indagato: "Per due volte Il
colloquio fra me e Berlusconi durò circa mezz'ora e fu doloroso per entrambi. Il
patto proposto da Berlusconi era allettante. Sapeva della mia aspirazione a
diventare sindaco di Milano, la città dove vivo e lavoro da sempre. Ma
accettarlo non era possibile.
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