Da una “memoria” di Oncle Bernard – “Quando Charlie aveva vent’anni” – redattore
di “Charlie Hebdo” ucciso nell’attentato di Parigi, pubblicata su “il Fatto Quotidiano”
il mercoledì 14 di gennaio 2015: (…). Charlie è piuttosto di sinistra, anche
se certuni che si dicono sinistri (fine e pedante allusione all’etimologia di
“sinistra”) sono dei reazionari spaventosi; io, per esempio, che contrariamente
a Cavanna (redattore di “Hara-Kiri” che ha preceduto nelle
pubblicazioni “Charlie Hebdo” n.d.r.) sono e rimango un nemico radicale del
progresso e sogno di tornare alla candela per illuminare la mia femmina che
decora la grotta Chauvet, prima di piombarle addosso, abbagliato. Charlie di
sinistra, sì, ma sempre dandosi la possibilità di commentare qualsiasi
avvenimento sociale, internazionale, che fa rizzare i peli all’intelligenza, la
quale è pelosa, un po’ più della poesia.
Così, Charlie ha proposto la messa al
bando del Front National. Poi, Charlie ha sostenuto gli altermondialisti, ATTAC
e tutti quelli che dicevano: “Un altro mondo è possibile”. Tutti erano quasi
d’accordo. Poi Charlie, nei suoi editoriali, ha appoggiato i bombardamenti
della Nato sulla Serbia. Parte della squadra era contro. Successivamente,
sempre nei suoi editoriali, Charlie ha detto “Viva l’Europa” e sì al trattato
costituzionale. Parte della squadra era contro. Stessa cosa sul conflitto
israelo-palestinese: certi erano filo-israeliani, altri filo-palestinesi.
Stessa cosa sull’11 settembre. Nessuno di questi è stato un dibattito da bar
dello sport. Gli editoriali erano lunghi e argomentati. Le vignette erano
penetranti e piene di senso (il vantaggio di un disegno è che non deve per
forza essere lungo e argomentato). Più tardi, Charlie è diventato ferocemente
anti-Sarko, il che ha posto un problema: per qualche tempo la negazione ha
fatto le veci del pensiero. È molto difficile non cedere all’invettiva,
all’insulto o allo sghignazzo cinico. Salvo che Charlie con certi non discute.
Per esempio gli elettori del Front National (contrariamente a numerosi uomini
politici) e i cacciatori. “Cacciatori tutti stronzi” mette fine a qualsiasi
discussione prima ancora che questa cominci. Altri esempi: gli islamisti, gli
omofobi, ecc. Charlie ha osato pubblicare le caricature di Maometto, e se
questo non è un atto di grande coraggio politico, gli assomiglia. Lungo tutte
queste vignette vedrete svilupparsi la linea politica di Charlie. Scoprirete –
caso raro – le sue debolezze quando l’invettiva maschera la mancanza di pensiero.
Le sue debolezze: altrettanti interrogativi su ciò che costituisce il sale
della vita. Perché secondo Charlie la politica non consiste nel declamare, ma
nel sollevare interrogativi: perché la vita non è come la sogniamo? Poetica,
pacifica, intelligente, argomentata e brava ad argomentare, speculativa,
contraddittoria, ma fatta in modo che nessuna contraddizione, nessun bisticcio
non possa, al termine di una bella discussione, sciogliersi in un bicchiere di
vino rosso e mai in una pozza di sangue? La politica di Charlie è non violenta
e non carica di odio. È allegra. Vuole essere così. Nessun problema politico
deve resistere a una buona risata. Ridete, amici, ridete. (…).
Da “Van Gogh
a Charlie è la politica il vero bersaglio” di Ian Buruma, sul quotidiano la
Repubblica del 12 di gennaio 2015: (…). Lo scopo dei distruttori di tabù è
scoprire fin dove si spingono i limiti, legali e sociali, della libertà di
espressione. Perché nonostante i proclami un po' isterici che abbiamo sentito
sull'onda dei raccapriccianti omicidi della settimana scorsa, la libertà di
espressione non è assoluta. Quasi tutti i Paesi europei hanno leggi contro
l'incitamento all'odio. La libertà di espressione in realtà è abbastanza
relativa. Quello che può dire un artista o un romanziere non può dirlo un
giudice o un politico; il linguaggio che usano i neri americani fra loro
suonerebbe oscenamente offensivo se lo usasse un bianco; e così via. Le
semplici regole della buona educazione creano barriere sociali che ci
impediscono di dire tutto quello che vogliamo. Il ruolo dei provocatori è
sfidare quelle barriere sociali. Deve esserci spazio per questi iconoclasti,
nelle arti e ai margini del giornalismo, e di sicuro non devono essere oggetto
di attacchi violenti. (…). La civiltà occidentale stessa è un concetto
piuttosto vago: si intende la civiltà greco-romana, quella cristiana, quella
giudaico- cristiana? O si intende l'Illuminismo? E in tal caso, quale
Illuminismo? Voltaire? Locke? Adam Smith? In ogni caso, l'esigenza di
infrangere i tabù non è certo una peculiarità esclusivamente occidentale. E la
cultura dell'insulto e della provocazione per certi versi è il contrario del
modo in cui funziona la democrazia. La democrazia è basata sulla disponibilità
a fare compromessi, a risolvere pacificamente i conflitti di interessi
nell'ambito dello Stato di diritto. Perché la democrazia possa funzionare, i
cittadini devono essere pronti a dare e ricevere. Questo significa anche che
accettiamo di convivere con le differenze culturali o religiose, senza
offendere deliberatamente quelli di cui non condividiamo i valori. Non è una
vile collaborazione con il male, non è una rinuncia alla nostra libertà di
espressione. E non è nemmeno, come qualcuno sosterrebbe, una mancanza di
principi. La tolleranza non è necessariamente un segnale di debolezza. La
tolleranza dimostra una riluttanza a vedere i valori sociali in termini
assoluti, o a dividere il mondo in bene e male. Perfino la tolleranza non è
assoluta. Una cosa che nessuna società democratica può accettare è l'uso della
violenza per imporre le nostre idee, che siano religiose o politiche, o l'una e
l'altra cosa. (…). L'intimidazione brutale dei critici reali e potenziali è
solo uno degli scopi dei gruppi rivoluzionari. Quello che i rivoluzionari
odiano più di ogni altra cosa non sono gli attacchi diretti da parte dei loro
nemici più radicali, ma i compromessi necessari, le negoziazioni e gli
accomodamenti che accompagnano la vita di una democrazia liberale. L'obiettivo
più importante dei rivoluzionari è conquistare più adepti alla causa. Se sono islamisti,
devono cercare di costringere i musulmani pacifici e rispettosi della legge a
smettere di fare compromessi con le società laiche in cui vivono. Hanno bisogno
di un maggior numero di guerrieri santi. (…). Più i musulmani in Europa si
sentiranno spaventati, rifiutati e sotto assedio da parte della maggioranza non
musulmana, più probabilità vi saranno che sostengano gli estremisti. Se la
conclusione che ricaviamo dagli omicidi della settimana scorsa è che l'islam è
in guerra con l'Occidente, i jihadisti avranno incassato una vittoria
importante. Se abbracceremo la maggioranza pacifica dei musulmani trattandoli
come nostri alleati contro la violenza rivoluzionaria, e li tratteremo come
concittadini uguali a noi in tutto e per tutto, le nostre democrazie ne
usciranno più forti.
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