Ha scritto il professor Ilvo
Diamanti sul quotidiano la Repubblica del 5 di gennaio - “Se torna in campo un leader usurato” -: (…). …vent'anni caratterizzati da
Berlusconi hanno influenzato profondamente i modelli di azione e di
organizzazione politica. Ma anche gli stili di vita e i valori degli italiani.
Hanno, cioè, "berlusconizzato" politica e società, contribuendo ad
accentuare il (tradizionale) distacco dalle istituzioni e ad affermare il senso
"cinico" al posto di quello "civico". (…). È l'eredità di
Berlusconi che (…) ha inibito la formazione di una Destra liberaldemocratica.
Lasciandoci un Paese dove il PDR di Renzi, oggi, governa senza una vera
alternativa. Ecco, per l’appunto, il riscoperto “senso cinico”, che non è
un refuso di stampa e che non ha nulla da condividere con il più banale,
vetusto e sorpassato “senso civico”. Quel “senso”
lì è ben altra cosa. È che ad allarmarsi nel suo affermarsi nella cosiddetta
società civile si era in verità, all’epoca, in sparutissimo numero. Il “senso
cinico” ha fatto scuola e giunge un tantino in ritardo la dotta
riscoperta dell’illustre professor Diamanti. E qui occorre che prenda in prestito
quell’arte sublime del “citarsi addosso” che è propria del
Woody Allen nella Sua forma più smagliante. E tanto per doverosamente “citarmi
addosso” posso affermare d’aver parlato dell’oggi famigerato “senso
cinico” sin dal lontanissimo, anzi remotissimo 25 di gennaio dell’anno
2008. Nell’e-book, fortunosamente salvato dal naufragio nelle profondità immense
ed oscure della rete, la rubrichetta che aveva per titolo, per l’appunto, “Del
senso cinico”, occupa le pagine che vanno dal numero 183 al numero 234.
51 paginette abbondanti per dire, in quel tempo remoto, del “senso
cinico” dilagante e vittorioso sulle virtù della cittadinanza attiva e responsabile.
Ripesco tra quelle paginette quella del 27 di aprile dell’anno 2010 che aveva
per titolo “Anche con la volgarità si
rappresenta un popolo”.
Scrivevo in quel tempo andato… “L’ossessione degli autocrati di
confermare la propria autorità per il tramite della trasfigurazione estetica e
di esigerne l’asseverazione con la complicità dello specchio è la prova della
loro inettitudine vanitosa e la spia della loro intrinseca debolezza. (…). Il
riflesso, avverte il mitologema, dovrebbe insegnare modestia, senso del limite,
saggezza e ironia. Se serve solo a rafforzare l’autocelebrazione e la
presunzione, lo specchio acceca se non ascolti ciò che, con Sallustio, ti
domanda: - Non pudet vantatis? – Non ti vergogni della tua vanità? Meglio
romperselo in testa per fare penitenza”. Da “Il trafiletto” di
Michele Mirabella, rubrica settimanale su “il Venerdì di Repubblica”. “Specchio delle mie brame chi è la più bella
del reame?”. Patetica l’astuta e cattiva regina della fiaba. È che il suo specchio
non ha potere alcuno al confronto con lo specchio dell’era della comunicazione
di massa: la TV. Lo “specchio mediatico”
può far tutto. Mi è capitato di ricevere alcune fuggevoli immagini di una
celebrazione funebre. Di un grande della TV. Trapassato. La cosa sgradevole che
ho colto è che l’infingardo “specchio
mediatico” rifletteva esclusivamente le immagini di un vivente presente al
fatto doloroso per alcuni. Che, come ebbe a dire un grande che lo avversò,
partecipando ad un funerale quel vivente è portato irresistibilmente ad
invidiare il morto che gli sottrae incautamente la scena. Oppresso e divorato
dal suo narcisismo, occuperebbe volentieri l’angusto guscio di legno pur di
essere incontestabilmente il primattore della rappresentazione funebre. Al di
là della oggettiva situazione. Quelle immagini della celebrazione funebre
avevano in sé qualcosa di sgradevole assai, di poco caritatevole, quasi di un
atto di offesa al comune sentire, da incalliti miscredenti. Sono corso via per
non rimanerne irrimediabilmente segnato. Di queste mie sensazioni ho avuto
pudore a parlarne con chicchessia. Mi sembravano sensazioni fuori misura, fuori
tono, stante la situazione alla quale esse si rifacevano. Un personale pudore
mi ha indotto al silenzio. Sennonché, mi sono imbattuto nella riflessione del
professor Pancho Pardi, sul sito di MicroMega, riflessione che di seguito trascrivo
nella sua interezza. La riflessione ha per titolo “Fenomenologia dell’osceno”; essa ha dato la stura a queste poche
mie righe di personali impressioni. Oscenità. Forse è la giusta categoria nella
quale inquadrare tutta la penosa, invereconda vicenda. L’aspetto veramente “osceno” della inqualificabile vicenda
è che quelle immagini, venute ed abbondantemente riflesse dallo “specchio mediatico”, ricreano il
sortilegio – per ritornare alle fiabe - di rafforzare il potere di un certo
vivente e di mantenerne, se non accrescerne, il consenso elettorale che lo
stesso gode presso la sapientemente mitridatizzata pubblica opinione del bel
paese. “Specchio delle mie brame chi è il
più bello del reame?”. “IO“. “In rari momenti la televisione riesce ad essere
strumento di verità. Cerimonia funebre per Vianello: Berlusconi arriva
circondato dalla scorta, si leva il cappotto e senza girarsi, con indifferenza
che deve considerare regale, lo lascia nelle mani dell’agente che lo segue. Si
avvicina alla vedova, inferma, semisdraiata e circondata dai due figli
adottivi. Col braccio ne scansa uno per farsi posto al centro
dell’inquadratura. Per una minuscola frazione di secondo il gesto occupa la
scena. Subito si accorge di quanto possa essere sgradevole e rimedia con una
sorta di meccanico abbraccio ai due figli attoniti. Si china sulla malata e
lascia indovinare sussurri affettuosi. Poi, forse al richiamo della voce di
Pippo Baudo che sta parlando, rialza la testa e si produce in un lungo,
insistito sorriso impudico a tutto beneficio dell’inquadratura, manichino
pubblicitario di sé stesso. Non sappiamo se questo attimo di verità televisiva
verrà replicato o, come è più probabile, censurato nelle sue brevi parti
imbarazzanti fino a trasformarlo in uno dei tanti frammenti di rappresentazione
servile del potere. Forse scomparirà ma negli occhi di chi l’ha visto resta
come documento di volgarità innata. La stessa del gesto triviale cui mandava al
diavolo l’ex Presidente Scalfaro, intervenuto in Senato. Gesto e movimento
labiale per esprimere l’inequivocabile: ma va a fan culo. Ora, sull’onda del
successo, ottenuto con lo strapotere mediatico, nelle elezioni regionali, il
campione della volgarità italiana ripresenta come inevitabile la sua
candidatura al Quirinale. Sostanziali ostacoli si oppongono: il suo passato di
falsificatore di bilanci e corruttore di magistrati, il suo passato-presente di
monopolista dell’informazione. Ma nel suo partito si troverà certo qualcuno
capace di sostenere che anche con la volgarità si rappresenta un popolo”.
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