"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 8 gennaio 2015

Sfogliature. 35 “Del senso cinico”.



Ha scritto il professor Ilvo Diamanti sul quotidiano la Repubblica del 5 di gennaio - “Se torna in campo un leader usurato” -: (…). …vent'anni caratterizzati da Berlusconi hanno influenzato profondamente i modelli di azione e di organizzazione politica. Ma anche gli stili di vita e i valori degli italiani. Hanno, cioè, "berlusconizzato" politica e società, contribuendo ad accentuare il (tradizionale) distacco dalle istituzioni e ad affermare il senso "cinico" al posto di quello "civico". (…). È l'eredità di Berlusconi che (…) ha inibito la formazione di una Destra liberaldemocratica. Lasciandoci un Paese dove il PDR di Renzi, oggi, governa senza una vera alternativa. Ecco, per l’appunto, il riscoperto “senso cinico”, che non è un refuso di stampa e che non ha nulla da condividere con il più banale, vetusto e sorpassato “senso civico”. Quel “senso” lì è ben altra cosa. È che ad allarmarsi nel suo affermarsi nella cosiddetta società civile si era in verità, all’epoca, in sparutissimo numero. Il “senso cinico” ha fatto scuola e giunge un tantino in ritardo la dotta riscoperta dell’illustre professor Diamanti. E qui occorre che prenda in prestito quell’arte sublime del “citarsi addosso” che è propria del Woody Allen nella Sua forma più smagliante. E tanto per doverosamente “citarmi addosso” posso affermare d’aver parlato dell’oggi famigerato “senso cinico” sin dal lontanissimo, anzi remotissimo 25 di gennaio dell’anno 2008. Nell’e-book, fortunosamente salvato dal naufragio nelle profondità immense ed oscure della rete, la rubrichetta che aveva per titolo, per l’appunto, “Del senso cinico”, occupa le pagine che vanno dal numero 183 al numero 234. 51 paginette abbondanti per dire, in quel tempo remoto, del “senso cinico” dilagante e vittorioso sulle virtù della cittadinanza attiva e responsabile. Ripesco tra quelle paginette quella del 27 di aprile dell’anno 2010 che aveva per titolo “Anche con la volgarità si rappresenta un popolo”.
Scrivevo in quel tempo andato… “L’ossessione degli autocrati di confermare la propria autorità per il tramite della trasfigurazione estetica e di esigerne l’asseverazione con la complicità dello specchio è la prova della loro inettitudine vanitosa e la spia della loro intrinseca debolezza. (…). Il riflesso, avverte il mitologema, dovrebbe insegnare modestia, senso del limite, saggezza e ironia. Se serve solo a rafforzare l’autocelebrazione e la presunzione, lo specchio acceca se non ascolti ciò che, con Sallustio, ti domanda: - Non pudet vantatis? – Non ti vergogni della tua vanità? Meglio romperselo in testa per fare penitenza”. Da “Il trafiletto” di Michele Mirabella, rubrica settimanale su “il Venerdì di Repubblica”. “Specchio delle mie brame chi è la più bella del reame?”. Patetica l’astuta e cattiva regina della fiaba. È che il suo specchio non ha potere alcuno al confronto con lo specchio dell’era della comunicazione di massa: la TV. Lo “specchio mediatico” può far tutto. Mi è capitato di ricevere alcune fuggevoli immagini di una celebrazione funebre. Di un grande della TV. Trapassato. La cosa sgradevole che ho colto è che l’infingardo “specchio mediatico” rifletteva esclusivamente le immagini di un vivente presente al fatto doloroso per alcuni. Che, come ebbe a dire un grande che lo avversò, partecipando ad un funerale quel vivente è portato irresistibilmente ad invidiare il morto che gli sottrae incautamente la scena. Oppresso e divorato dal suo narcisismo, occuperebbe volentieri l’angusto guscio di legno pur di essere incontestabilmente il primattore della rappresentazione funebre. Al di là della oggettiva situazione. Quelle immagini della celebrazione funebre avevano in sé qualcosa di sgradevole assai, di poco caritatevole, quasi di un atto di offesa al comune sentire, da incalliti miscredenti. Sono corso via per non rimanerne irrimediabilmente segnato. Di queste mie sensazioni ho avuto pudore a parlarne con chicchessia. Mi sembravano sensazioni fuori misura, fuori tono, stante la situazione alla quale esse si rifacevano. Un personale pudore mi ha indotto al silenzio. Sennonché, mi sono imbattuto nella riflessione del professor Pancho Pardi, sul sito di MicroMega, riflessione che di seguito trascrivo nella sua interezza. La riflessione ha per titolo “Fenomenologia dell’osceno”; essa ha dato la stura a queste poche mie righe di personali impressioni. Oscenità. Forse è la giusta categoria nella quale inquadrare tutta la penosa, invereconda vicenda. L’aspetto veramente “osceno” della inqualificabile vicenda è che quelle immagini, venute ed abbondantemente riflesse dallo “specchio mediatico”, ricreano il sortilegio – per ritornare alle fiabe - di rafforzare il potere di un certo vivente e di mantenerne, se non accrescerne, il consenso elettorale che lo stesso gode presso la sapientemente mitridatizzata pubblica opinione del bel paese. “Specchio delle mie brame chi è il più bello del reame?”. “IO“. “In rari momenti la televisione riesce ad essere strumento di verità. Cerimonia funebre per Vianello: Berlusconi arriva circondato dalla scorta, si leva il cappotto e senza girarsi, con indifferenza che deve considerare regale, lo lascia nelle mani dell’agente che lo segue. Si avvicina alla vedova, inferma, semisdraiata e circondata dai due figli adottivi. Col braccio ne scansa uno per farsi posto al centro dell’inquadratura. Per una minuscola frazione di secondo il gesto occupa la scena. Subito si accorge di quanto possa essere sgradevole e rimedia con una sorta di meccanico abbraccio ai due figli attoniti. Si china sulla malata e lascia indovinare sussurri affettuosi. Poi, forse al richiamo della voce di Pippo Baudo che sta parlando, rialza la testa e si produce in un lungo, insistito sorriso impudico a tutto beneficio dell’inquadratura, manichino pubblicitario di sé stesso. Non sappiamo se questo attimo di verità televisiva verrà replicato o, come è più probabile, censurato nelle sue brevi parti imbarazzanti fino a trasformarlo in uno dei tanti frammenti di rappresentazione servile del potere. Forse scomparirà ma negli occhi di chi l’ha visto resta come documento di volgarità innata. La stessa del gesto triviale cui mandava al diavolo l’ex Presidente Scalfaro, intervenuto in Senato. Gesto e movimento labiale per esprimere l’inequivocabile: ma va a fan culo. Ora, sull’onda del successo, ottenuto con lo strapotere mediatico, nelle elezioni regionali, il campione della volgarità italiana ripresenta come inevitabile la sua candidatura al Quirinale. Sostanziali ostacoli si oppongono: il suo passato di falsificatore di bilanci e corruttore di magistrati, il suo passato-presente di monopolista dell’informazione. Ma nel suo partito si troverà certo qualcuno capace di sostenere che anche con la volgarità si rappresenta un popolo”.

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