"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 11 gennaio 2015

Lavitadeglialtri. 8 “Noi e loro così vicini”.



Scriveva Adriano Sofri il 13 di febbraio dell’anno 2011 sul quotidiano la Repubblica – “Noi e loro così vicini” -: “(…). Abbiamo assistito, in un rapido volgere di anni, dapprima increduli e sbigottiti, poi rassegnati e assuefatti, a una mutazione umana orrenda come quella degli assassini-suicidi che chiamiamo kamikaze. Uomini (e donne) che sacrificano con entusiasmo vite altrui, di innocenti tramutati in nemici o in ostaggi, per guadagnare il premio del paradiso: altra storia da quella antica degli umani disposti a sacrificare la propria vita per una causa sentita superiore. Contro umani votati alla morte può poco la premessa di ogni educazione e prevenzione e repressione, che è l´amore e comunque l´attaccamento alla vita.  (…). …sta di fatto che sulla sponda sud del Mediterraneo, luogo proverbiale di violenza o di apatia, sono avvenute due, finora, rivoluzioni popolari e non violente. (Lo fu anche quella iraniana, ma niente è detto una volta per tutte). Quelli sono paesi di giovani e non per giovani. (…). Sono andato a rileggere quella Sua analisi così lucida e così piena di umana considerazione e commiserazione. Poiché il rischio di questi giorni, dopo le tragedie parigine, è di lasciarsi guidare dai sentimenti più ancestrali che richiamino sangue al sangue versato da sì tanti innocenti.
Nei salotti “bene”, come in tutti gli altri luoghi d’incontro, non è dato ascoltare che parole di sdegno ed auspici di pronta vendetta. Contro chi? Contro coloro che inermi affrontano il mare “nostrum” per rimanerne il più delle volte inghiottiti, seppelliti per sempre, vite umane che avevano coltivato la speranza di salvezza per una vita che fosse più degna d’essere vissuta? Nei salotti “bene” ed altrove, nel ventre molle del paese, risalgono i borborigmi di un’inconfessabile avversione a tutto ciò che non sia “nostro”, che non abbia il colore della nostra pelle, la nostra cultura, il nostro credo. Nella tenaglia della “crisi” che stringe oramai tutte le società dell’occidente progredito e cristianizzato il “diverso da noi” è visto quale usurpatore di benessere e portatore dei germi insani e destabilizzanti delle nostre granitiche conquiste e certezze. Si ha un bel dire, in quei salotti “bene” della profonda “provincia”, inutilmente appellandosi alla mitezza ed alla “compassionalità” che dovrebbe esser propria del cristianesimo, di considerare quei giovani portatori di morte come vite violentate ancor prima pur esse, lacerate nelle più profonde e sottili fibrille del loro misero vissuto ed infine inutilmente sprecate, sollecitando al contempo il contenimento di quei risentimenti che dal profondo impetuosamente riemergono invocando lotta e sterminio. Lotta contro chi? Sterminio di chi? Emerge poi, dalle cronache, una realtà ben diversa: ovvero, come i crudeli, miserevoli protagonisti dei fatti tragici di questi giorni fossero da tempo ben conosciuti ed inutilmente schedati dalle (in)competenti autorità di polizia al di qua e al di là dell’oceano. È un tempo, questo, periglioso e propizio ai mestatori dell’intolleranza e dell’odio, in un paese che fa – o dovrebbe fare - della dottrina del Cristo la propria fonte di ispirazione e di guida nell’intricato percorso della vita. Ed è, in questa corale invocazione che sale da tutte le contrade ubertose del bel paese per un’azione che sia non di contenimento e di prevenzione giudiziaria e di polizia ma di scontro “tout court” verso tutto ciò che ha di “diverso” dal nostro vissuto, che si alza coraggiosamente la voce del teologo Vito Mancuso che sul quotidiano la Repubblica di ieri ha proclamato “Ma Islam vuol dire pace”. Riporto di seguito, in parte, la Sua riflessione che rappresenta la sollecitazione più umana e cristiana affinché, anche nei momenti più tragici e dolorosi, siano le nostre coscienze a segnare il sentiero seppur accidentato dei nostri passi:  Il paradosso è che Islam viene dalla radice s-l-m che in arabo forma “salam” e in ebraico “shalom”, cioé pace. Esso quindi significa pace e rimanda alla pace del cuore e della mente che si ottiene quando ci si sottomette a quella verità ultima del mondo tradizionalmente detta Dio. (…). Oggi (…) nella mente occidentale l’Islam è ben lontano dal venire associato a ciò a cui la sua radice rimanda. Evoca piuttosto il contrario, la guerra, la lotta, il terrore. Un duplice grande compito attende quindi ogni persona responsabile: prima capire, e poi far capire, che non è per nulla così. (…). …ora qualcuno provi a pensare di essere un musulmano quindicenne che ogni giorno si sente addosso sguardi diffidenti e rancorosi, e immagini che cosa finirebbe per pensare dell’occidente. Non sto per nulla dicendo che se c’è il terrorismo islamico è colpa nostra perché noi occidentali siamo malvagi e imperialisti, anche perché sono convinto del contrario, cioé che se c’è il terrorismo islamico è soprattutto per l’incapacità dell’Islam e delle sue guide spirituali di gestire l’incontro con la modernità, (…). Sto dicendo piuttosto che siccome il terrorismo islamico purtroppo c’è ed è in crescita nel cuore stesso dell’Europa, spetta a ognuno di noi decidere se trasformare ogni musulmano in un nemico e in un potenziale terrorista oppure no. E tutto procede da come parliamo dell’Islam e da come guardiamo i musulmani. L’Islam è una grande tradizione spirituale con quattordici secoli di storia e con oltre un miliardo di fedeli. L’idea che a questa religione sia essenzialmente connaturata la violenza è profondamente sbagliata da un punto di vista teorico e soprattutto è tremendamente nociva da un punto di vista pratico, perché non fa che suscitare a sua volta violenza e da qui il gorgo che può finire per risucchiare irrimediabilmente la vita delle giovani generazioni. È vero che nel Corano vi sono pagine violente e che la storia islamica conosce episodi violenti, ma questo vale per ogni fenomeno umano. La Bibbia ha pagine di violenza inaudita e sia l’ebraismo sia il cristianesimo conoscono il fanatismo religioso e la violenza che ne promana. Lo stesso vale per l’hinduismo con l’ideologia detta hindutva. Persino il più mite buddhismo conosce oggi episodi di intolleranza in Sri Lanka e Myanmar. Dando uno sguardo alla politica, che cosa abbiano prodotto la destra e la sinistra nel ‘900 è cosa nota: repressione dei diritti umani e milioni di vittime innocenti. Andando poi all’evento madre da cui è nata l’idea di laicità nella società europea, cioè la Rivoluzione francese, nei dieci anni della sua durata (1789-1799) si registra un numero di vittime variamente stimato dagli storici ma comunque enorme, visto che nei diciassette mesi del Terrore tra il 1793 e il 1794 si ebbero centomila vittime, una media di quasi 200 morti al giorno. E tutto questo nel nome di “liberté, égalité fraternité”, compresa, immagino, la libertà di stampa. Noi non abbiamo nessun titolo per dare lezioni ai musulmani, se non uno solo: che siamo più vecchi e abbiamo più storia. Oggi buona parte dell’Islam, come l’Occidente cristiano nel passato, sta vivendo l’incontro con la secolarizzazione sentendosi aggredito, nel senso che i processi di laicità e di modernità risultano per esso come dei virus infettivi a cui reagisce attaccando e facendo così venir meno la tradizionale tolleranza che ha contraddistinto buona parte della sua storia. Dalla Rivoluzione francese alla Seconda guerra mondiale, in un arco di oltre 150 anni, l’Occidente ha vissuto la sua influenza con febbri altissime, imparando alla fine a usare quel metodo della gestione della vita pubblica tra persone di diverso orientamento culturale e religioso che si chiama democrazia (per quanto ancora in modo molto imperfetto). (…).

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