Scriveva Adriano Sofri il 13 di
febbraio dell’anno 2011 sul quotidiano la Repubblica – “Noi e loro così vicini” -: “(…). Abbiamo assistito, in un rapido
volgere di anni, dapprima increduli e sbigottiti, poi rassegnati e assuefatti,
a una mutazione umana orrenda come quella degli assassini-suicidi che chiamiamo
kamikaze. Uomini (e donne) che sacrificano con entusiasmo vite altrui, di
innocenti tramutati in nemici o in ostaggi, per guadagnare il premio del
paradiso: altra storia da quella antica degli umani disposti a sacrificare la
propria vita per una causa sentita superiore. Contro umani votati alla morte
può poco la premessa di ogni educazione e prevenzione e repressione, che è
l´amore e comunque l´attaccamento alla vita. (…). …sta di fatto che sulla sponda sud del
Mediterraneo, luogo proverbiale di violenza o di apatia, sono avvenute due,
finora, rivoluzioni popolari e non violente. (Lo fu anche quella iraniana, ma
niente è detto una volta per tutte). Quelli sono paesi di giovani e non per
giovani. (…). Sono andato a rileggere quella Sua analisi così lucida e
così piena di umana considerazione e commiserazione. Poiché il rischio di
questi giorni, dopo le tragedie parigine, è di lasciarsi guidare dai sentimenti
più ancestrali che richiamino sangue al sangue versato da sì tanti innocenti.
Nei
salotti “bene”, come in tutti gli altri luoghi d’incontro, non è dato ascoltare
che parole di sdegno ed auspici di pronta vendetta. Contro chi? Contro coloro
che inermi affrontano il mare “nostrum” per rimanerne il più delle volte
inghiottiti, seppelliti per sempre, vite umane che avevano coltivato la
speranza di salvezza per una vita che fosse più degna d’essere vissuta? Nei salotti
“bene” ed altrove, nel ventre molle del paese, risalgono i borborigmi di un’inconfessabile
avversione a tutto ciò che non sia “nostro”, che non abbia il colore della
nostra pelle, la nostra cultura, il nostro credo. Nella tenaglia della “crisi” che
stringe oramai tutte le società dell’occidente progredito e cristianizzato il “diverso
da noi” è visto quale usurpatore di benessere e portatore dei germi insani e destabilizzanti
delle nostre granitiche conquiste e certezze. Si ha un bel dire, in quei
salotti “bene” della profonda “provincia”, inutilmente appellandosi alla mitezza
ed alla “compassionalità” che dovrebbe esser propria del cristianesimo, di
considerare quei giovani portatori di morte come vite violentate ancor prima pur
esse, lacerate nelle più profonde e sottili fibrille del loro misero vissuto ed
infine inutilmente sprecate, sollecitando al contempo il contenimento di quei
risentimenti che dal profondo impetuosamente riemergono invocando lotta e sterminio.
Lotta contro chi? Sterminio di chi? Emerge poi, dalle cronache, una realtà ben
diversa: ovvero, come i crudeli, miserevoli protagonisti dei fatti tragici di
questi giorni fossero da tempo ben conosciuti ed inutilmente schedati dalle
(in)competenti autorità di polizia al di qua e al di là dell’oceano. È un tempo,
questo, periglioso e propizio ai mestatori dell’intolleranza e dell’odio, in un
paese che fa – o dovrebbe fare - della dottrina del Cristo la propria fonte di
ispirazione e di guida nell’intricato percorso della vita. Ed è, in questa
corale invocazione che sale da tutte le contrade ubertose del bel paese per un’azione
che sia non di contenimento e di prevenzione giudiziaria e di polizia ma di
scontro “tout court” verso tutto ciò che ha di “diverso” dal nostro
vissuto, che si alza coraggiosamente la voce del teologo Vito Mancuso che sul
quotidiano la Repubblica di ieri ha proclamato “Ma Islam vuol dire pace”. Riporto di seguito, in parte, la Sua
riflessione che rappresenta la sollecitazione più umana e cristiana affinché,
anche nei momenti più tragici e dolorosi, siano le nostre coscienze a segnare il
sentiero seppur accidentato dei nostri passi: Il paradosso è che Islam viene dalla radice
s-l-m che in arabo forma “salam” e in ebraico “shalom”, cioé pace. Esso quindi
significa pace e rimanda alla pace del cuore e della mente che si ottiene
quando ci si sottomette a quella verità ultima del mondo tradizionalmente
detta Dio. (…). Oggi (…) nella mente occidentale l’Islam è ben lontano dal
venire associato a ciò a cui la sua radice rimanda. Evoca piuttosto il
contrario, la guerra, la lotta, il terrore. Un duplice grande compito attende
quindi ogni persona responsabile: prima capire, e poi far capire, che non è
per nulla così. (…). …ora qualcuno provi a pensare di essere un musulmano
quindicenne che ogni giorno si sente addosso sguardi diffidenti e rancorosi, e
immagini che cosa finirebbe per pensare dell’occidente. Non sto per nulla
dicendo che se c’è il terrorismo islamico è colpa nostra perché noi
occidentali siamo malvagi e imperialisti, anche perché sono convinto del
contrario, cioé che se c’è il terrorismo islamico è soprattutto per
l’incapacità dell’Islam e delle sue guide spirituali di gestire l’incontro con
la modernità, (…). Sto dicendo piuttosto che siccome il terrorismo islamico
purtroppo c’è ed è in crescita nel cuore stesso dell’Europa, spetta a ognuno
di noi decidere se trasformare ogni musulmano in un nemico e in un potenziale
terrorista oppure no. E tutto procede da come parliamo dell’Islam e da come
guardiamo i musulmani. L’Islam è una grande tradizione spirituale con
quattordici secoli di storia e con oltre un miliardo di fedeli. L’idea che a
questa religione sia essenzialmente connaturata la violenza è profondamente
sbagliata da un punto di vista teorico e soprattutto è tremendamente nociva da
un punto di vista pratico, perché non fa che suscitare a sua volta violenza e
da qui il gorgo che può finire per risucchiare irrimediabilmente la vita delle
giovani generazioni. È vero che nel Corano vi sono pagine violente e che la
storia islamica conosce episodi violenti, ma questo vale per ogni fenomeno
umano. La Bibbia ha pagine di violenza inaudita e sia l’ebraismo sia il
cristianesimo conoscono il fanatismo religioso e la violenza che ne promana. Lo
stesso vale per l’hinduismo con l’ideologia detta hindutva. Persino il più
mite buddhismo conosce oggi episodi di intolleranza in Sri Lanka e Myanmar.
Dando uno sguardo alla politica, che cosa abbiano prodotto la destra e la sinistra
nel ‘900 è cosa nota: repressione dei diritti umani e milioni di vittime
innocenti. Andando poi all’evento madre da cui è nata l’idea di laicità nella
società europea, cioè la Rivoluzione francese, nei dieci anni della sua
durata (1789-1799) si registra un numero di vittime variamente stimato dagli
storici ma comunque enorme, visto che nei diciassette mesi del Terrore tra il
1793 e il 1794 si ebbero centomila vittime, una media di quasi 200 morti al
giorno. E tutto questo nel nome di “liberté, égalité fraternité”, compresa,
immagino, la libertà di stampa. Noi non abbiamo nessun titolo per dare lezioni
ai musulmani, se non uno solo: che siamo più vecchi e abbiamo più storia.
Oggi buona parte dell’Islam, come l’Occidente cristiano nel passato, sta
vivendo l’incontro con la secolarizzazione sentendosi aggredito, nel senso che
i processi di laicità e di modernità risultano per esso come dei virus
infettivi a cui reagisce attaccando e facendo così venir meno la tradizionale
tolleranza che ha contraddistinto buona parte della sua storia. Dalla
Rivoluzione francese alla Seconda guerra mondiale, in un arco di oltre 150
anni, l’Occidente ha vissuto la sua influenza con febbri altissime, imparando
alla fine a usare quel metodo della gestione della vita pubblica tra persone di
diverso orientamento culturale e religioso che si chiama democrazia (per quanto
ancora in modo molto imperfetto). (…).
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