Sono uno soltanto di quel 43,8%
che ha votato ieri, domenica 23 di novembre, nella solatia Calabria. Nella
brumosa regione dei tortellini, del lambrusco e della mortadella quelli che
hanno pensato di raggiungere un seggio elettorale sono stati solamente il
37,7%. Tutto regolare? Si evince che nella Calabria solatia il 56,2% ha
disertato le urne. E nella brumosa Emilia-Romagna il 62,3% ha disertato le
urne. Tutto regolare? A chi interessa? Da un occhiello di un quotidiano ho
letto che Renzi Matteo ha esultato. Di cosa? Ma quell’esultare la dice lunga.
Il nuovo che quell’uomo avrebbe la pretesa di rappresentare è più vecchio di
quanto lo si possa immaginare. Quell’esultanza non nasconde affatto le mire di
potere della “casta” sopravvenuta. Sarà come per i candidati alle urne che
si vuole pervicacemente designati dai vertici dei partiti affinché siano ligi e
fedeli a chi li ha inseriti nelle liste elettorali ed ai posti giusti. La mira oggigiorno
si conferma ma su di un orizzonte più largo: l’elettorato tutto. Avverrà che di
questo passo ad eleggere gli “eletti” – nel senso di prescelti o
unti - sarà una minoranza di cittadini. Ovvero, non importando a nessuno il
massiccio abbandono da parte degli elettori aventi diritto – il dovere è
naufragato -, si costituirà ed anzi si incoraggerà affinché si formi un nerbo
elettorale, fedele ai partiti ed espressione degli stessi, che si incaricherà
di partecipare alle elezioni e di eleggere gli “eletti”, nel senso di
cui sopra. “Eletti” dai padroni dei partiti e dai loro manutengoli.
Non
per altro il Renzi Matteo sta lì a confermare il sospetto: non eletto in
nessuna delle competizioni elettorali più recenti ha esultato però al risultato
delle ultime elezioni europee: 11.172.861 voti al PD – il 40,81% - ma su di una
platea elettorale ridotta al 58,68%, ovvero a 28.908.004 su di un corpo
elettorale che vede registrati 49.256.169. A chi importa l’imponente atto di
astensione? Tanto meglio, si dirà nelle auguste stanze. A maggior ragione ci
sarà da esultare dopo quest’ultimo straripante risultato elettorale. Scriveva
Nadia Urbinati il 9 di settembre dell’anno 2010 sul quotidiano la Repubblica - “Il voto e la sovranità” -: Il
diritto di voto nelle democrazie moderne contiene due diritti, non uno: non
solo quello di eleggere un governo, ma anche quello di mandare in parlamento
rappresentanti (ed in tutte le altre assemblee elettive n.d.r.) con i
quali i cittadini credono di avere una corrispondenza di idee o interessi. La
democrazia moderna non è semplicemente un sistema di selezione elettorale della
classe dirigente, perché attraverso le elezioni si stabilisce anche una
relazione tra partecipazione e rappresentanza, tra società e istituzioni.
Questo comporta che il diritto dei cittadini di godere di un’eguale opportunità
di determinare la volontà politica con il loro voto dovrebbe essere
accompagnato da quello di avere un´opportunità non aleatoria di formarsi e far
sentire le proprie idee e infine controllare chi opera nelle istituzioni. I
sistemi elettorali dovrebbero essere pensati secondo questi due grandi criteri.
(…). Che cosa dire del (…) diritto, quello dei cittadini di essere
rappresentati? Una critica costante (…) è di mortificare “la soggettività degli
eletti”: dovendo costruire coalizioni pre-elettorali, la soggettività del
candidato e l´opinione che del candidato hanno i cittadini passano in secondo
piano. Una prova della irrilevanza del merito del candidato sta nelle liste
bloccate, per cui l´elettore si limita a votare solo per delle liste di
candidati, senza la possibilità di indicare preferenze. L´elezione dei
parlamentari dipende completamente dalle scelte e dalle graduatorie stabilite
dai partiti. Con l´aggiunta, non irrilevante, che a guadagnarci non sono i
partiti – se per partiti si intende l´intera struttura di appartenenza
politica, centrale e periferica, di iscritti e attivisti - ma sono invece le
segreterie. Le liste bloccate sono funzionali alle segreterie o, dove il
personalismo è centrale, al capo. (…). Si potrebbe insinuare che con (la)
legge elettorale un ceto politico ha voluto corazzarsi per sopperire alla
propria debolezza di legittimità, e quindi non rischiare di rimettersi alla
scelta da parte dell´elettore. Partiti che si auto-nominano sono una violazione
della democrazia come lo sono tutte le organizzazioni oligarchiche, gruppi di
potere che, ce lo aveva spiegato un secolo fa Gaetano Mosca, cercano di
perpetuare il loro stato. Per questo scopo non c´è metodo migliore della
cooptazione, della nomina d´autorità, il che equivale a togliere la possibilità
di scelta a coloro che, i cittadini elettori, dovrebbero essere invece i
depositari della sovranità. (…). Non è forse vero che questo sistema elettorale
soddisfa la (…) idea di democrazia populistica per cui al popolo sovrano è
riservato un unico potere: quello di acclamare o di ratificare la volontà del
capo? Libertà apparente e sovranità di ratifica! In conclusione, nessuno dei
due diritti che il diritto di voto esprime, viene soddisfatto dall´attuale
legge elettorale: non quello che si traduce in governabilità né quello che
pertiene alla rappresentanza. (…). Ci fu al tempo dei governi del
signor B. una proposta che apparve irriverente verso le istituzioni ed al
contempo fuori da ogni logica di democrazia rappresentativa: che a votare nelle
aule del Parlamento fossero soltanto i capi-gruppo delle forze politiche. Una
boutade? Uno scherzo? Un modo di dire per fare chiacchiericcio da bar?
Oggigiorno ci si accorge che la tendenza ha fatto scuola: avremo una selezione
del corpo elettorale ed i selezionati, per disaffezione dei rimanenti aventi
diritto, rappresenteranno quei “capi-gruppo” che saranno incaricati di votare,
nelle “libere” elezioni, gli “eletti” dei partiti. Una prassi
democratica più spiccia e di sicuro risultato. Nell’urna ieri, domenica 23 di
novembre, ho deposto la mia scheda dando la preferenza alla lista sicuramente
perdente: ché a perdere è solamente la democrazia. Scriveva Aldo Schiavone – “Un Paese in emergenza” – sul
quotidiano la Repubblica del 24 di luglio dell’anno 2010: Il problema non è di isolare
questa o quella «mela marcia», ma di rendersi conto di dove porta un metodo di
governo e di selezione dei gruppi dirigenti che sostituisce al merito, alla
trasparenza e al dibattito politico il giro delle amicizie e delle reti di
interessi, nel solo nome della fedeltà e della contiguità rispetto al capo. C'è
sempre un momento in cui bisogna salvare le formazioni politiche (e non solo
quelle) dall'accanimento dei loro fondatori. Scriveva il filosofo Michele
Ciliberto - “La sinistra e l’astensione”
- sul quotidiano l’Unità del 14 di giugno dell’anno 2013: Si è diffusa una idea della
politica come pura gestione dell`esistente, grigia adesione a una realtà
statica, presentata come necessaria e ineluttabile, impermeabile a cambiamenti
profondi, effettivi. E contemporaneamente, in nome del concretiamo, si è diffusa
indifferenza e perfino fastidio per i valori, le idee ridotti a pura e
sorpassata ideologia: roba dell`Ottocento, estranea al mondo attuale. Quale
sciocchezza! (…). Intendiamoci: ideologia non vuol dire mito e immaginazione,
(…). Vuol dire anzitutto valori di emancipazione e di liberazione, storicamente
definiti ed elaborati; ed è intorno a questi che deve oggi interrogarsi, e
ragionare, un partito di sinistra se vuol rompere il muro di ghiaccio
dell`astensione. (…). Oggi, per essere accettati e condivisi, i valori di
riferimento di una forza di sinistra devono essere netti, chiari, devono essere
alternativi, capaci di indicare una linea, un orizzonte preciso, una visione.
(…). Una forza di sinistra che voglia diventare oggi una funzione dell`Italia deve
sapere incrociare, e intrecciare, l`una e l`altra, radicalità e concretezza,
trasformando frustrazione e risentimento in azione politica positiva, in una
visione condivisa.
Ciao, Aldoettore,le nostre idee politiche coincidono sempre. Ora abbiamo lo statista di Rignano che ha firmato tra le altre "boiate" il TTIP. Io ho firmato contro. Spero anche Tu. Un abbraccio. Franca.
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