Da “Non è
successo nulla” di Concita De Gregorio, sul quotidiano la Repubblica dell’1
di novembre 2014: Quello che rende la storia di Stefano Cucchi la storia di tutti è nelle
semplicissime parole di sua madre: c'era un giovane uomo di 31 anni e non c'è
più, era nelle mani dei custodi della Legge lo hanno ammazzato ma non è stato
nessuno dunque non è successo niente. Vada a casa signora, ci dispiace. Suo
figlio è morto mentre era nelle strutture dello Stato, una caserma poi
un'altra, una cella di sicurezza poi un'altra, un ospedale poi un altro. È
stato picchiato, è vero. Aveva le vertebre rotte gli occhi tumefatti: lo
sappiamo, le perizie lo confermano, non potremmo d'altra parte certo negarlo.
Le sue foto avete deciso un giorno di renderle pubbliche e da allora le vediamo
ogni volta, anche oggi qui, ingigantite, in tribunale. Un ragazzo picchiato a
morte. Ma chi sia stato, tra le decine e decine di carabinieri e agenti,
pubblici ufficiali e dirigenti, medici infermieri e portantini che in quei sei
giorni hanno disposto del suo corpo noi non lo sappiamo. Dalle carte non
risulta. Nessuno, diremmo. Anzi lo diciamo: nessuno. Dunque vada a casa, è
andata così. Dimentichi, si dia pace. (…). Quella che se non paghi una multa ti
pignorano casa, ed è giusto, se dimentichi una scadenza sei fuori dalle
graduatorie, ed è giusto, se commetti un'imprudenza o violi una norma sei
sottoposto a giudizio, ed è naturalmente giusto. Bisogna però essere
certissimi, ma proprio certissimi, che non esista un'omertà di Stato per cui se
è chi veste una divisa o ricopre un pubblico ufficio, a violare le norme,
nessuno saprà mai come sono andate le cose perché si coprono fra loro
nascondendo le carte e le colpe. (…). Disorienta e mina le fondamenta del
vivere in comunità, una sentenza così. Servirebbe un gesto forte e simbolico,
comprensibile a tutti. Ci sono giorni che chiamano all'appello l'umanità e
l'intelligenza di chi, sovrano, incarna le istituzioni. Questo è uno.
Da “Non
chiedeteci la verità assoluta” di Francesco Caringella (magistrato e
scrittore), su “il Fatto Quotidiano” del 29 di ottobre 2014: (…). Anzitutto
bisogna distinguere tra giustizia e processo. La giustizia è un’istituzione, un
potere, una garanzia, un bene comune in cui ogni cittadino deve avere per forza
fiducia. La delegittimazione della magistratura e del potere giudiziario,
troppo spesso innescata da grida, urla e insulti di chi vuole rovesciare il
tavolo per sottrarsi alle proprie responsabilità, conduce allo smarrimento del
senso delle regole e a un qualunquismo anarcoide non degno di un paese che ha
dato i natali a giuristi come Carnelutti e Sandulli e a magistrati come Falcone
e Borsellino. Diverso è il discorso per i singoli processi, lambiti, oltre che
dall’eventualità remotissima della malafede e della corruzione, dal rischio
dell’errore che connota ogni azione dell’uomo. L’errore giudiziario, che
significa non solo condannare un innocente, ma anche liberare un criminale, non
è eliminabile per legge, in quanto discende dalla fallibilità dell’essere
umano. La ricerca della verità, in cui si risolve il compito del giudice, è una
sfida temeraria, se non impossibile nel secolo della death of truth. (…). Compito
del giudice non è la ricerca della verità assoluta, insondabile per chi
partecipa delle debolezze e della fragilità della condizione umana, ma la
verità processuale, quella che, in base alle carte del giudizio, è più
probabilmente vera. Non esiste quindi un’unica verità assoluta, ma più verità
relative e soggettive tra le quali il giudice, usando il vetro con il colore
giusto e origliando dal buco della serratura meglio posizionato, deve trovare
quella che più si avvicina alla verità oggettiva e, quindi, alla realtà
storica. Due sono i grandi nemici del giudice alla ricerca della verità
migliore: le bugie e i pregiudizi. Quanto alle bugie, può accadere che tutti i
protagonisti del processo mentano: perché pensano che la menzogna sia più
seducente e colorata della realtà (Canetti), perché la verità non sembra mai
vera (Simenon), perché dev’essere mescolata con un po’ di menzogna per
risultare verosimile (Dostoevskij), perché dev’essere esagerata per risultare
credibile (Foster), perché ci sono poche ragioni per dire la verità mentre ce
ne sono infinite per raccontare una bugia (Wilde), perché in un mondo di
illusioni e inganni la verità è un atto rivoluzionario (Orwell). Quanto al pregiudizio,
Cicerone insegna che il nemico più pericoloso per chi cerca la verità con la
lanterna in mano non è la menzogna, ma la convinzione: una menzogna può essere
scoperta, ma grande è la tendenza dell’animo umano, specie di un potente, a non
cambiare mai idea. L’umiltà di Calamandrei è l’antidoto al virus del
pregiudizio e della presunzione che ne è il bacino di coltura: “Giudici,
l’umiltà è il prezzo che dovete pagare all’enorme potere che avete”. (…). …non
esiste la sentenza giusta o sbagliata in senso assoluto. Tutte le sentenze sono
giuste e sbagliate, visto che la verità che ogni decisione afferma è
soggettiva, relativa e quindi revocabile in dubbio. Esiste però la sentenza
corretta: quella che afferma una verità processuale all’esito di un percorso durante
il quale è stato usato un colore del vetro non inquinato da bugie, pregiudizi
ed errori. Se tali fattori inquinanti saranno stati sconfitti, resterà solo
l’ineliminabile opinabilità di ogni giudizio, croce e delizia della condizione
dell’uomo, alla ricerca eterna di una perfezione che per fortuna gli sfugge.
Da “Sentenza
Ruby, qualcosa ancora non torna”, di Bruno Tinti (già magistrato), su “il
Fatto Quotidiano” del 24 di ottobre
2014: (…). Bene. Aveva ragione Travaglio. La sentenza della Corte d’Appello
ha escluso la concussione per costrizione perché (diversamente dal Tribunale)
non ha ritenuto esistessero valide prove di minacce, neppure implicite, rivolte
da Berlusconi a Ostuni; e ha escluso la concussione per induzione perché non
esisteva prova della sussistenza di un indebito vantaggio atteso da Ostuni come
conseguenza della sua acquiescenza alle richieste di Berlusconi. Il
riconoscimento pieno della lungimiranza del condirettore del Fatto Quotidiano
non mi impedisce di dire che la Corte d’Appello ha sbagliato e che attendo una
mia riabilitazione dalla Cassazione; che, se non arriverà, sarà causa di mia
eterna vergogna. (…). Dunque attribuire all’indebito vantaggio il solo effetto
di consentire la punibilità del concusso, ferma restando la responsabilità del
concussore se detto vantaggio non vi fosse, sembrerebbe soluzione corretta. La
Corte d’Appello di Milano non ha ragionato in questo modo e ha sostenuto che,
per il reato di concussione per induzione, occorrono tre requisiti: carattere
indebito della prestazione richiesta dal concussore (che dunque commette abuso
d’ufficio); consapevolezza di ciò da parte del concusso; perseguimento di un
indebito vantaggio da parte del concusso. Ha quindi ritenuto sussistente
l’abuso d’ufficio da parte di Berlusconi (pag. 250 della sentenza) ma carente
l’aspettativa di indebito vantaggio in capo a Ostuni. Conseguenza: fatto non
sussiste. Ebbene, anche se fosse corretto questo ragionamento, esso è inficiato
da un’erronea valutazione quanto alla sussistenza del vantaggio atteso dal
concusso. Proprio le Sezioni Unite hanno infatti chiarito che il privato può
accedere alla richiesta illecita del pubblico ufficiale anche solo “per
acquisire la benevolenza del pubblico agente, foriera potenzialmente di futuri
favori, posto che il vantaggio indebito, sotto il profilo contenutistico, può
consistere, oltre che in un beneficio determinato e specificamente individuato,
anche in una generica disponibilità clientelare del pubblico agente”. E che
questa fosse la posizione psicologica del capo di Gabinetto Ostuni è la stessa
Corte d’Appello a sostenerlo (pagg. 233 e 234). Insomma, anche seguendo la
linea giuridica adottata dalla Corte, Berlusconi andava condannato. Questa
volta sono io a dire: “vedremo”. Però su un punto concordo pienamente con
Travaglio. La Corte d’Appello ha ritenuto provato che nella villa di Arcore si
svolgessero festini sessuali e che Berlusconi ne profittasse, tra l’altro,
accoppiandosi con Ruby. E, soprattutto, ha ritenuto provato che la richiesta
avanzata da Berlusconi al Capo di Gabinetto Ostuni fosse illecita. Devo dire
che, al posto di B., io non sarei così soddisfatto.
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