Da
“Quel fantasma della deflazione” di Marcello
De Cecco, sul settimanale “Affari&Finanza” del 7 di aprile 2014: (…).
Gli economisti monetaristi, che hanno tenuto banco negli anni 70-80 quando
imperversava l'inflazione a due cifre, hanno contribuito non poco a confondere
le idee alla gente e in particolare a politici e banchieri, affermando che i
due processi, inflazione e deflazione, sono entrambi conseguenza diretta
dell'aumento della massa monetaria il primo e della sua diminuzione il secondo.
Innanzitutto non è certo che i movimenti dei prezzi siano conseguenza di
movimenti nella massa monetaria nello stesso senso. La supposta simmetria tra i
due processi è fallace. Nell'ultimo decennio, a fronte di aumenti massicci
della massa monetaria, i prezzi non si sono mossi nella stessa direzione: hanno
invece iniziato un rallentamento inesorabile. (…). Così l'aumento di massa
monetaria è andato a gonfiare a dismisura i prezzi delle attività finanziarie e
le dimensioni dell'intero sistema finanziario mondiale. In concomitanza con
aumenti continui e massicci della massa monetaria, il livello generale dei
prezzi è aumentato prima di poco. In anni più recenti, l'incremento ha
cominciato a decelerare e nei tempi recentissimi quasi a fermarsi e a
trasformarsi in una diminuzione, come è accaduto già in Grecia e Spagna. Negli
Stati Uniti se non si sono ancora raggiunti valori negativi, gli aumenti dei
prezzi sono di poco superiori allo zero. Eppure è proprio lì che la massa
monetaria è stata fatta crescere più massicciamente.
Gli Usa sono stati i primi
a gettare moneta nel sistema finanziario come acqua sul fuoco e sono in effetti
riusciti a spegnere almeno la parte evidente dell'incendio finanziario che
stava portando al crollo dell'intero sistema economico americano e mondiale.
L'economia reale americana, sotto la spinta di dosi massicce di nuovi lavori
pubblici attivati per contrastare la depressione che si paventava dopo la
crisi, è tornata per breve tempo a crescere ai ritmi pre-crisi ma subito dopo
si è infiacchita. E la disoccupazione, che era aumentata a livelli enormi, ha
iniziato a diminuire ma a tassi inferiori a quelli che caratterizzarono tutte
le fasi di ripresa precedenti. Il mercato del lavoro Usa si è ristretto con
l'uscita di milioni di disoccupati che hanno smesso di cercare lavoro, mentre
altri milioni lo cercano ancora senza trovarlo. La disoccupazione di lungo periodo
e i lavori precari e malpagati sono aumentati anche durante la ripresa. (…).
Verso la deflazione in Europa spinge la realtà istituzionalmente stabilita
delle modifiche costituzionali, dei “patti fiscali” e dei trattati
internazionali come lo statuto della Bce, ma anche la previsione degli effetti
che avrà la regolazione unica delle banche europee ora in costruzione. Tutti in
Occidente e in particolar modo in Europa, persino in Germania e negli altri
Paesi creditori, sono in grado di vedere coi propri occhi la deflazione che
avanza e stabilisce sulle economie un progressivo rigor mortis. Il flebile
movimento che il corpo fiaccato delle economie europee sembra mostrare in questi
giorni non deve illudere. È l'equivalente di quel che è accaduto negli Stati Uniti:
la prospettiva di fondo, prezzi fermi o addirittura in ribasso, gela nel lungo
andare le intenzioni positive mostrate dalle imprese riguardo agli investimenti
e alla forza lavoro. Negli Stati Uniti, ma anche altrove in Occidente, continua
intanto a crescere la disuguaglianza, che imperversa da un trentennio. E ci si
chiede come farà l'1% della popolazione a consumare tutto ciò che produrrà
un'industria col potenziale di quelle americana ed europea. I grandi economisti
che si formarono negli anni 20 e 30 sapevano bene che uno dei maggiori misteri
dell'economia era come, perché e quando si fermava il circolo vizioso della
deflazione. Con un sistema finanziario speculativo ancor più rigoglioso di
quello dei loro tempi, oggi non vale nemmeno la “formula della disperazione”
escogitata da Keynes contro la preferenza per la liquidità: vogliono carta e
dunque diamogliene quanta ne vogliono. Stampiamo moneta e prima o poi i prezzi
ricominceranno a salire, le prospettive di investimento volgeranno al bello,
salirà l'occupazione e i cittadini riceveranno di nuovo credito dalle banche da
spendere in beni di consumo e mutui per comprare case. (…). Ricordiamo (…) che
per ribaltare veramente e durevolmente le aspettative di imprenditori e
consumatori e dare un colpo decisivo alla disoccupazione europea potrebbe
essere necessario ricorrere al “deterrente ultimo” suggerito da Keynes e
applicato prima da Hitler e poi dalle democrazie: il ricorso a lavori pubblici
massicci e prolungati, che aumentino direttamente occupazione, massa salariale
e investimenti senza ricorrere alle intermediazioni finanziarie. Per gli
economisti tradizionali è l'arma della fine del mondo del dottor Strangelove, e
infatti in Europa ad essa si fece ricorso solo dopo che l'economia
capitalistica degli anni venti si era autodistrutta.
Da
“Deflazione la Yellen si preoccupa più
di Draghi” di Federico Rampini, sul settimanale “Affari&Finanza” del 14
di aprile 2014: (…). Il danno della deflazione è uno degli argomenti più ostici per il
cittadino medio (…). Siamo vissuti per decenni in un’economia inflazionistica,
perciò siamo sensibili al pericolo opposto. Se i prezzi aumentano il nostro
potere d’acquisto si riduce, il nostro reddito compra meno cose. Gli italiani
ancora non hanno perdonato all’euro quello shock inflazionistico,
misteriosamente assente dalle statistiche, che “arrotondò” molti prezzi al
rialzo nel passaggio dalla lira. Una parte del risentimento anti-euro di oggi è
ancora legato a quella sensazione di essere stati impoveriti. Tutto questo spiega
ma non giustifica la disattenzione verso il pericolo opposto. La Federal
Reserve ha un obiettivo d’inflazione del 2% annuo, oggi i prezzi al consumo in
America non salgono neppure dell’1%, che male c’è? Il male c’è, eccome.
Un’inflazione a zero non è una buona cosa. Proviamo a immaginare un paragone
col corpo umano. Se abbiamo la febbre a 40 gradi, è segno che siamo malati e
bisogna farla scendere in fretta. Ma la temperatura corporea deve comunque
rimanere positiva, l’aspirina ce la deve ridurre al livello normale di 37
gradi, non al di sotto dei 35 gradi (saremmo in piena crisi di ipotermìa e a
rischio di assideramento), certamente non a zero gradi: quella è la temperatura
di un cadavere all’obitorio. In un’economia sana un po’ d’inflazione ci dev’essere,
come la temperatura positiva nel corpo umano. L’inflazione zero è un pessimo
segnale, anche perché facilmente si scivola sotto lo zero. Prezzi declinanti
inducono i consumatori a rinviare le spese aspettando ulteriori ribassi; le
imprese sono danneggiate nelle vendite e nei profitti; con i prezzi scendono
anche occupazione e salari. Tutto questo non è teoria: è accaduto in Giappone
nell’ultimo ventennio, la deflazione è l’anticamera di una depressione. (…). È
significativa l’accoglienza trionfale che l’America progressista riserva a
Thomas Piketty, l’economista francese autore di “Le Capital au XXI siècle”
(Editions du Seuil). Riassumendo le sue conclusioni, Piketty evidenzia le cause
dell’aumento secolare nelle diseguaglianze. La più importante di tutte è il
rallentamento della crescita che automaticamente premia la rendita finanziaria
e ogni sorta di rendimenti che vanno ai patrimoni già accumulati. In questo
senso rilanciare la crescita è un imperativo prioritario, e tutti i mezzi sono
validi. (…).
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