È da tempo che ho abbandonato
quell’idea ed ho gagliardamente resistito alla tentazione d’essere spettatore e
partecipe - passivo - di quegli indecorosi spettacoli che il piccolo mostro
elettronico della casa ci vomita con la regolarità naturale delle stagioni.
Conservavo amorevolmente e gelosamente una sola nicchia, piccola, al sabato
sera ed alla domenica sera, sino a qualche tempo addietro, rappresentata dalla trasmissione
della terza rete della Rai, quel “Che tempo che fa” che sembrava ci
restituisse la dignità di cittadini adulti e pensanti, dignità brutalmente
azzerata dai tanti, tantissimi palinsesti adusi a considerare gli spettatori televisivi
del bel paese dei buoni “dodicenni non tanto svegli”. Al quale
mantra ci si era adeguati, colpevolmente dai programmatori delle reti
televisive, inconsapevolmente, forse, dai teleutenti-dipendenti. Una
mitridatizzazione su larga scala. Un’operazione di distrazione di massa. È da
un certo tempo in poi che la mia piccola nicchia non mi è stata più tanto cara.
Uno sguardo fuggevole e poco interessato ad essa – a quella che è stata la mia
piccola nicchia intendo dire - sul piccolo mostro elettronico nel mentre vomita
le sue scempiaggini; un passare ad altra visione per sfuggire ad un imprevisto
livellamento di essa su standard neghittosi che non le si addicono. È così che
mi sono persa l’ultima nefandezza. Ha scritto Francesco Merlo sul quotidiano la
Repubblica del 22 di ottobre – “Maradona,
Fazio, il fisco e il gesto dell’ombrello in tv” -: (…). …il pubblico televisivo più
colto d’Italia applaudiva il reato di evasione, che offende la disperazione del
Paese impoverito, proprio come la corte eversiva del Cavaliere celebra la frode
fiscale davanti al tempio di Palazzo Grazioli. (…). Potenza della televisione
che trasforma i delinquenti in eroi e viceversa. Di sicuro l’intervista di
Fabio Fazio a Maradona diventerà un classico della mancanza di equilibrio, del
rovesciamento di senso, dell’Italia migliore che sarebbe in fondo uguale
all’Italia peggiore, dei moralisti che fanno la morale a tutti, tranne a se
stessi. E ripartiamo dunque da Maradona che ha fatto il gesto dell’ombrello a
Equitalia “che mi vuole togliere tutto: tié”. Come Berlusconi, pure lui
pretende l’impunità. Il reato è, all’ingrosso, lo stesso. Entrambe le condanne
sono definitive. E anche la sfrontatezza è la medesima. Maradona si crede al di
sopra della legge perché ha la manina di Dio e il pibe de oro; Berlusconi
perché è stato eletto dal popolo ed è l’unto del Signore. E così è
stata profanata quella nicchia. Poiché non è pensabile che per un servizio che
sia “pubblico” debbano valere gli stessi parametri delle televisioni che si
definiscano commerciali. Che senso ha portare sul piccolo schermo un campione
dell’ambiguità, l’interprete di una vita sregolata che ha cercato di riempire
di senso ricorrendo agli intrugli che donano un benessere artificioso ed irresponsabile?
Il senso è che, anche per quella che era una nicchia nel marcescente spettacolo
delle televisioni, l’audience a tutti i costi ha bisogno d’essere raggiunto
costi quel che costi. Ma con un pessimo ritorno. Continua Francesco Merlo: A un
pubblico di sinistra il ‘tipo Maradona’ non dovrebbe piacere: per scelta di vita,
abitudini, modelli, letture e passioni. E sarà pure sussiegosa, e anche un po’
finta e verniciata di politicamente corretto, ma certamente quella che si
riconosce nel programma di Fazio non è l’Italia devota o prona ad una variante
del berlusconismo delinquenziale. A nessuno come a quel pubblico dovrebbe
essere chiaro che Maradona non è l’Italia che stringe la cinghia, ma quella che
salta le code e parcheggia in seconda fila, quella che eleva a pedagogia il
fregare il prossimo, quella che “meglio furbi che virtuosi”, quella della
prepotenza e non della solidarietà, quella affascinata dai delinquenti, quella
che si gira dall’altra parte, quella che non paga le tasse … (…). È chiaro che
dialogare con un genio del pallone che è però sregolato in tutto, sino alla
delinquenza fiscale, necessita di una misura, di un senno, di una regola. E ci
sono delle cose che non si possono perdonare neppure a Maradona, per rispetto
di chi paga le tasse e anche il canone televisivo. A meno che non si sostenga
che Maradona, che non le paga, è meglio di Fazio che le paga, come la settimana
scorsa aveva egli stesso ribadito a Brunetta che lo insolentiva. Come può lo
stesso pubblico averli applauditi entrambi? Esigenza di copione? A meno che non
si arrivi al ‘sottosopra’, un po’ in nome del pallone che ci rende tutti tifosi
sconclusionati, ma soprattutto in nome dell’audience che ‘stracangia’ Maradona
in Renzo Piano e trita alla stessa maniera Cacciari e Celentano: l’indifferenziato
televisivo. È questa la vera subalternità, la stessa che trasforma il
giornalista-nemico di Berlusconi nel giornalista-compare: Maradona non si può
contraddire perché non si può maltrattare l’audience. La verità è che c’è una
tecnica televisiva, quella di assecondare a tutti i costi l’ospite, che può fare
danni all’etica televisiva. E il pubblico addomesticato non è più né di destra
né di sinistra: è un pubblico di manichini. Certo, l’ospite va trattato con
educazione, ma non con soggezione, non‘alla Vespa’, che è sempre ben disposto
verso il potente, il vip e il divo di turno. Ed a questo punto, tentando
arditamente d’accostare il sacro al profano, che mi viene di proporre una
paginetta del professor Umberto Galimberti a proposito di quel “finto
dialogare” dei talk show. Scrive l’illustre Autore sul settimanale “D” del 19
di ottobre ultimo – “Se ogni scontro tra
idee diverse finisce in duello” -: Il dialogo (…) non è una cosa tranquilla,
come solitamente si crede, ma come diceva Eraclito, è una guerra (pólemos),
condotta però non per averla vinta sull'avversario, ma per cercare, a partire
dai diversi pareri, la verità. Al punto che, scrive Platone a più riprese, se
l'avversario adduce argomenti troppo deboli o insufficienti a sostenere la
propria tesi, invece di approfittarne per metterlo fuori gioco e umiliarlo,
occorre andargli in "soccorso (…)". Una delle ragioni, anche se non
la principale, per cui Platone riteneva che la politica dovesse essere affidata
ai filosofi è nel fatto che i filosofi, (…), hanno in vista la verità, e in
politica il bene comune, piuttosto che non la difesa strenua della propria
parte (in politica del proprio partito) a prescindere da ciò che è meglio per
la città. Ne sono una prova i talk show politici, dove vediamo prevalere (…)
l'inimicizia e la voglia di sopraffare l'avversario piuttosto che la ricerca di
ciò che sarebbe giusto fare, pur partendo da posizioni distanti. E questo
perché in televisione non si "dialoga". Non tanto perché si
sovrappongono le voci, quando non le grida, ma perché ciascuno tratta l'altro
non come un interlocutore con cui discutere, ma come un pretesto per
sopraffarlo onde riscuotere successo presso il pubblico televisivo. Questa è la
falsificazione di tutti i talk show televisivi: si finge di parlare con il
proprio interlocutore, ma in realtà si parla al pubblico per mostrare la
propria superiorità rispetto all'avversario. Ciò che si cerca, infatti, non è
la "verità", ma la propria "vittoria" su quanti partecipano
alla trasmissione. E siccome in televisione non si può articolare un ragionamento,
ma si deve procedere per frasi ad effetto, slogan, dettati ipnotici, per i
tempi ristretti imposti dal mezzo televisivo, i talk show sono del tutto
inutili perché non chiariscono le idee a nessuno, ma si limitano a confermare
nel pubblico le idee che già si possiedono a partire dalla propria
appartenenza, qualcosa di simile al tifo sugli spalti di un campo di calcio. Sono
stato il profanatore di un pensiero così dotto avendolo accostato –
imprudentemente? - alla ignominiosa vicenda di “Che tempo che fa”? A
quella che è stata per lungo tempo la mia nicchia, la mia ancora di salvezza,
la mia uscita di sicurezza di siloniana memoria? Poiché a “quellichelasinistra”
quell’artista delle pedate non ha nulla da trasmettere se non un moto di pietà
per una vita condotta e spesa al limite di qualsivoglia accettabile regola. Francesco
Merlo conclude: Eppure anche delicatamente si poteva dire a Maradona che le tasse
bisogna pagarle e che le sentenze definitive non possono essere ribaltate in
una trasmissione tv. Bastava immaginare che al posto di Diego Armando ci fosse
ancora Brunetta e ripetergli con fierezza di versare all’erario il 50 per cento
dello stipendio e di non avere nessuna condanna per frode fiscale. Ma è
da un bel pezzo che il Fabio Fazio sembra abbia smarrito la giusta via, per la
qual cosa sono stato costretto ad abbandonare quella nicchia dorata. Da quando
ha smesso di porre quelle domande che sollecitino quelle risposte che rendano
pienamente umani gli uomini del potere, o dello spettacolo o dello sport.
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