"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 30 marzo 2013

Cosecosì. 48 “La profonda affinità tra cristianesimo e marxismo”.



Riporta il professor Umberto Galimberti in “La profonda affinità  tra cristianesimo e marxismo” del 24 di marzo 2012, sul numero 784 del settimanale “D”: Scrive il filosofo cattolico Jacques Maritain in "Umanesimo integrale": - Si può criticare efficacemente il marxismo solo rimanendogli, sotto molti punti, debitori -. Tra cristianesimo e marxismo c'è una profonda e sotterranea parentela che non consiste tanto nella pretesa di educare l'umanità, quanto in una concezione del tempo, non più cadenzato sui cicli della natura, come lo era per i Greci, ma sui processi della storia carichi di promesse salvifiche, utopiche e rivoluzionarie. Se non si comprende questo, si rimane, come i più rimangono, in quella visione superficiale che contrappone il cristianesimo al marxismo sulla base dell'affermazione o della negazione dell'esistenza di Dio, che marca la differenza e nasconde quella sotterranea visione del mondo che li accomuna. All’approssimarsi della Pasqua cristiana i termini della riflessione proposta dall’illustre Autore tornano nella loro pregnanza. Ed è da quei termini che bisognerebbe ripartire oggi che le ideologie sono date per morte e che le moltitudini brancolano come se avessero perduto il senso della loro Storia e delle loro vite. Un brancolare che sino allo scoppio della “crisi” trovava una parvenza di appiglio – e di incerta salvezza - nella fatica del “consumare”, fatica che non trova oggigiorno più possibilità e senso stretti come si è nella tenaglia economico-finanziaria che stritola singoli e comunità. E quel qualcosa che accomuna le due visioni della vita e della storia, seppur all’apparenza contrastanti, trova ragione d’essere nella misura in cui esse, quelle visioni, sono state e permangono come anelito non riposto per un egualitarismo tra tutti gli esseri umani che sia intuibile e sperabile. Ambedue le visioni sono state (e lo sono tuttora) portatrici di quelle “promesse salvifiche, utopiche e rivoluzionarie” che solamente le grandi ideologie sono capaci di far permanere nonostante l’indifferenza sovrana ed imperscrutabile del cosmo che ci circonda e lo scorrere inarrestabile del tempo. È che le “ strutture e le sovrastrutture”  che quelle due ideologie hanno artatamente costruito nel corso della loro storia le hanno portate a contrapporsi come avversari irriducibili, ché la sola scomparsa dell’uno avrebbe concesso credibilità maggiore all’altro, risultato il vincente. Ed invece è potuto accadere che ambedue oggigiorno trovino le loro strade ingombre delle macerie di quelle “strutture e sovrastrutture” rovinosamente cadute a pezzi. Ha scritto Tahar Ben Jelloun nel Suo volume “La scuola o la scarpa”: Il cielo non ama i poveri. Nessuno li ama. È ingiusto e crudele. Ma cosa significa, poi, essere poveri? Significa risvegliarsi, il mattino, chiedendosi se la giornata passerà senza che i bambini piangano per la fame. Significa non avere fortuna, o più precisamente non avere nulla, neanche fave per i tempi di siccità. Significa non avere che le proprie mani, le proprie braccia e grandi occhi per controllare l’orizzonte. Qui, tutti hanno gli occhi rivolti all’orizzonte. Si pensa che il salvatore venga da lì. Si crede anche che le carestie siano un’invenzione degli uomini. A che cosa deve assomigliare un salvatore? A un branco di cammelli che porti cibo a tutto il villaggio? A un mago su un cavallo, con una bacchetta magica capace di rendere la terra fertile e gli uomini più produttivi? A un uccello rapace che rinunci alla sua rapacità e sappia trasformare  le nuvole in pioggia? A un profeta che parli del bene e del male, del paradiso e dell’inferno, e prometta la fine della miseria, a patto che si obbedisca ai suoi ordini? No, il salvatore non sarà né un profeta né un mago. Sarà l’insieme degli uomini che si uniscono, lavorano la terra, reclamano i loro diritti e impediscono che la carestia colpisca il villaggio. E la storia sta lì a parlarci di questo non-amore rivelato per i “poveri”, anzi per l’umanità tutta che stia fuori dalle “strutture e sovrastrutture” create con e per le ideologie imperanti e che hanno contribuito a creare elite di privilegiati e di indifferenti. Scrive ancora il professor Galimberti: A differenza dei Greci, per i quali il tempo, in quanto eterna ripetizione dei cicli della natura, non ospitava alcun senso, per la tradizione giudaico-cristiana, il tempo è fornito di "senso" dove, come scrive Salvatore Natoli in Teatro filosofico (Feltrinelli): "alla fine si realizza ciò che all'inizio era stato annunciato". E quando il tempo è fornito di un senso, nasce la "storia", dimensione del tutto assente nel mondo greco, dove gli "storici" Erodoto, Tucidide, si limitano a narrare le vicende di cui furono testimoni. Del resto la parola "hístor", in greco, significa "testimone". Una volta tradotto in storia, gli eventi che accadono nel tempo sono sottratti alla loro insignificanza e proiettati in una finalità: che per il cristianesimo è la salvezza che si realizza nell'altro mondo e per il marxismo il miglioramento della condizione umana da realizzare in questo mondo. Per quanto differenti siano gli obiettivi, ad accomunare le due visioni del mondo è la visione "escatologica" del tempo, dove alla fine (éschaton) si realizza quello che il cristianesimo annuncia e il marxismo si ripromette. La promessa cristiana non ha verifiche e la promessa marxista è storicamente fallita, ma non è esaurita la visione ottimistica della storia con cui il cristianesimo ha animato l'Occidente, contagiando col suo ottimismo la scienza che guarda il futuro non alla maniera greca come eterna ripetizione del passato, ma come "progresso", la sociologia come miglioramento delle condizioni umane, e in generale tutti i saperi le cui ricerche sono promosse dalla fiducia nel futuro che il cristianesimo e non altri ha istillato nella nostra cultura. Ma se è vero come ha annunciato Nietzsche che "Dio è morto", perché "non fa più mondo", dal momento che se tolgo la parola "Dio" non ho difficoltà comprendere il mondo contemporaneo, mentre se tolgo la parola "denaro" o la parola "tecnica" con tutta probabilità non capirei più come si muove il mondo, allora anche l'ottimismo che il cristianesimo ha immesso nella cultura occidentale, si spegne e, dalla "storia" carica di senso, si torna al "tempo" come successione di giorni senza finalità. Il denaro e la tecnica, infatti, non hanno altro scopo che il proprio accumulo (il denaro) e il proprio autopotenziamento (la tecnica), per cui non sono più "mezzi" per conseguire una finalità, ma, come oggi constatiamo sulla nostra pelle, "fini" da raggiungere in sé e per sé. Chi non si rassegna a vivere in un tempo senza finalità, chi non rinuncia a una visione escatologica del tempo come il cristianesimo e come il marxismo: non vedo che difficoltà si frapponga a un loro incontro, magari in nome del Vangelo, dove ai poveri era promesso un riscatto in "nuovi cieli e in nuove terre" per il cristianesimo, su questa terra per Marx. Ora che le macerie di quelle “strutture e sovrastrutture” ingombrano il cammino degli uomini e ne impediscono una rinascita non resta che essi, tutti gli uomini di buona volontà di questo mondo, come un sol uomo, si mettano a spalare di buona lena quelle macerie, si uniscano come fratelli, lavorino operosamente la terra, reclamino i loro diritti e impediscano “che la carestia colpisca il villaggio” degli umani.

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