Riporta il professor Umberto
Galimberti in “La profonda affinità tra cristianesimo e marxismo” del 24 di
marzo 2012, sul numero 784 del settimanale “D”: Scrive il filosofo cattolico
Jacques Maritain in "Umanesimo integrale": - Si può criticare
efficacemente il marxismo solo rimanendogli, sotto molti punti, debitori -. Tra
cristianesimo e marxismo c'è una profonda e sotterranea parentela che non
consiste tanto nella pretesa di educare l'umanità, quanto in una concezione del
tempo, non più cadenzato sui cicli della natura, come lo era per i Greci, ma
sui processi della storia carichi di promesse salvifiche, utopiche e
rivoluzionarie. Se non si comprende questo, si rimane, come i più rimangono, in
quella visione superficiale che contrappone il cristianesimo al marxismo sulla
base dell'affermazione o della negazione dell'esistenza di Dio, che marca la
differenza e nasconde quella sotterranea visione del mondo che li accomuna. All’approssimarsi
della Pasqua cristiana i termini della riflessione proposta dall’illustre
Autore tornano nella loro pregnanza. Ed è da quei termini che bisognerebbe
ripartire oggi che le ideologie sono date per morte e che le moltitudini
brancolano come se avessero perduto il senso della loro Storia e delle loro
vite. Un brancolare che sino allo scoppio della “crisi” trovava una parvenza
di appiglio – e di incerta salvezza - nella fatica del “consumare”, fatica che
non trova oggigiorno più possibilità e senso stretti come si è nella tenaglia
economico-finanziaria che stritola singoli e comunità. E quel qualcosa che
accomuna le due visioni della vita e della storia, seppur all’apparenza
contrastanti, trova ragione d’essere nella misura in cui esse, quelle visioni,
sono state e permangono come anelito non riposto per un egualitarismo tra tutti
gli esseri umani che sia intuibile e sperabile. Ambedue le visioni sono state
(e lo sono tuttora) portatrici di quelle “promesse salvifiche, utopiche e
rivoluzionarie” che solamente le grandi ideologie sono capaci di far
permanere nonostante l’indifferenza sovrana ed imperscrutabile del cosmo che ci
circonda e lo scorrere inarrestabile del tempo. È che le “
strutture e le sovrastrutture”
che quelle due ideologie hanno artatamente costruito nel corso della
loro storia le hanno portate a contrapporsi come avversari irriducibili, ché la
sola scomparsa dell’uno avrebbe concesso credibilità maggiore all’altro,
risultato il vincente. Ed invece è potuto accadere che ambedue oggigiorno
trovino le loro strade ingombre delle macerie di quelle “strutture e sovrastrutture”
rovinosamente cadute a pezzi. Ha scritto Tahar Ben Jelloun nel Suo volume “La scuola o la scarpa”: Il
cielo non ama i poveri. Nessuno li ama. È ingiusto e crudele. Ma cosa
significa, poi, essere poveri? Significa risvegliarsi, il mattino, chiedendosi
se la giornata passerà senza che i bambini piangano per la fame. Significa non
avere fortuna, o più precisamente non avere nulla, neanche fave per i tempi di
siccità. Significa non avere che le proprie mani, le proprie braccia e grandi
occhi per controllare l’orizzonte. Qui, tutti hanno gli occhi rivolti
all’orizzonte. Si pensa che il salvatore venga da lì. Si crede anche che le
carestie siano un’invenzione degli uomini. A che cosa deve assomigliare un
salvatore? A un branco di cammelli che porti cibo a tutto il villaggio? A un
mago su un cavallo, con una bacchetta magica capace di rendere la terra fertile
e gli uomini più produttivi? A un uccello rapace che rinunci alla sua rapacità
e sappia trasformare le nuvole in
pioggia? A un profeta che parli del bene e del male, del paradiso e
dell’inferno, e prometta la fine della miseria, a patto che si obbedisca ai
suoi ordini? No, il salvatore non sarà né un profeta né un mago. Sarà l’insieme
degli uomini che si uniscono, lavorano la terra, reclamano i loro diritti e
impediscono che la carestia colpisca il villaggio. E la storia sta lì a
parlarci di questo non-amore rivelato per i “poveri”, anzi per
l’umanità tutta che stia fuori dalle “strutture e sovrastrutture” create con
e per le ideologie imperanti e che hanno contribuito a creare elite di
privilegiati e di indifferenti. Scrive ancora il professor Galimberti: A
differenza dei Greci, per i quali il tempo, in quanto eterna ripetizione dei
cicli della natura, non ospitava alcun senso, per la tradizione
giudaico-cristiana, il tempo è fornito di "senso" dove, come scrive
Salvatore Natoli in Teatro filosofico (Feltrinelli): "alla fine si
realizza ciò che all'inizio era stato annunciato". E quando il tempo è
fornito di un senso, nasce la "storia", dimensione del tutto assente
nel mondo greco, dove gli "storici" Erodoto, Tucidide, si limitano a
narrare le vicende di cui furono testimoni. Del resto la parola
"hístor", in greco, significa "testimone". Una volta
tradotto in storia, gli eventi che accadono nel tempo sono sottratti alla loro
insignificanza e proiettati in una finalità: che per il cristianesimo è la
salvezza che si realizza nell'altro mondo e per il marxismo il miglioramento
della condizione umana da realizzare in questo mondo. Per quanto differenti
siano gli obiettivi, ad accomunare le due visioni del mondo è la visione
"escatologica" del tempo, dove alla fine (éschaton) si realizza
quello che il cristianesimo annuncia e il marxismo si ripromette. La promessa
cristiana non ha verifiche e la promessa marxista è storicamente fallita, ma
non è esaurita la visione ottimistica della storia con cui il cristianesimo ha
animato l'Occidente, contagiando col suo ottimismo la scienza che guarda il
futuro non alla maniera greca come eterna ripetizione del passato, ma come
"progresso", la sociologia come miglioramento delle condizioni umane,
e in generale tutti i saperi le cui ricerche sono promosse dalla fiducia nel
futuro che il cristianesimo e non altri ha istillato nella nostra cultura. Ma
se è vero come ha annunciato Nietzsche che "Dio è morto", perché
"non fa più mondo", dal momento che se tolgo la parola
"Dio" non ho difficoltà comprendere il mondo contemporaneo, mentre se
tolgo la parola "denaro" o la parola "tecnica" con tutta
probabilità non capirei più come si muove il mondo, allora anche l'ottimismo
che il cristianesimo ha immesso nella cultura occidentale, si spegne e, dalla
"storia" carica di senso, si torna al "tempo" come
successione di giorni senza finalità. Il denaro e la tecnica, infatti, non
hanno altro scopo che il proprio accumulo (il denaro) e il proprio
autopotenziamento (la tecnica), per cui non sono più "mezzi" per
conseguire una finalità, ma, come oggi constatiamo sulla nostra pelle, "fini"
da raggiungere in sé e per sé. Chi non si rassegna a vivere in un tempo senza
finalità, chi non rinuncia a una visione escatologica del tempo come il
cristianesimo e come il marxismo: non vedo che difficoltà si frapponga a un
loro incontro, magari in nome del Vangelo, dove ai poveri era promesso un
riscatto in "nuovi cieli e in nuove terre" per il cristianesimo, su
questa terra per Marx. Ora che le macerie di quelle “strutture
e sovrastrutture” ingombrano il cammino degli uomini e ne impediscono
una rinascita non resta che essi, tutti gli uomini di buona volontà di questo
mondo, come un sol uomo, si mettano a spalare di buona lena quelle macerie, si
uniscano come fratelli, lavorino operosamente la terra, reclamino i loro
diritti e impediscano “che la carestia colpisca il villaggio”
degli umani.
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