C’è dialogo e dialogo. C’è il
dialogo impegnato e quello “tanto per ammazzare il tempo”. C’è il dialogo che
ti schiude la mente e l’animo ed il dialogo che ti incupisce o ti rattrista.
Dialogo. Proprio degli umani. Fatto di parole. A volte alate, a volte leggere,
a volte pesanti. Ma è nel dialogo che l’animo dell’uomo si innalza e si scuote
dalla sua iniziale ferinità. Non dimentico un dialogo. È che quel dialogo l’ho
pure detestato. Si può odiare un dialogo? Se sì, ebbene ho odiato quel dialogo.
Aveva un inizio quasi in sordina: Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi;
lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi? Passeggere. Almanacchi per l’anno
nuovo? L’ho odiato ogni qualvolta mi si costringeva a mandarne a
memoria un bel pezzo. Che noia! Memorizzare per esercitare la memoria. Che
barba! E poi quel “passeggere”! Non mi dava pace. Ma non si direbbe meglio “passeggero”?
V.
Sì signore. P. Credete che sarà felice quest’anno nuovo? V. Oh
illustrissimo sì, certo. P. Come quest’anno passato? V.
Più più assai. Un inizio così, pacato, sotto tono, come avviene in
tante melodie che iniziano con una nota, una sola, che permane un tempo che
sembra infinito, lì, in alto, come sospesa. È che in quel dialogo ci stanno
parole e non note. Ma a rileggerlo mi fa lo stesso effetto se ascoltassi una
melodia. E poi il fluire di un suono (parole) leggero, quasi sotto tono, come a
voler sospendere ogni altra incombenza per l’ascolto: P. Come quello di là? V.
Più più, illustrissimo. P. Ma come qual altro? Non vi piacerebb’egli
che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi? V.
Signor no, non mi piacerebbe. Ed è a questo punto, come nello
svolgimento d’una melodia, che ai fiati si sovrappongano gli archi. Archi. Note
(parole) sibilanti, con note prima sotto tono, poi sempre più marcate, alte, ma
sempre come sospese nell’aria: P. Quanti anni nuovi sono passati da che voi
vendete almanacchi? V. Saranno vent’anni, illustrissimo.
P.
A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo? V.
Io? Non saprei. E qui è come se ai fiati ed agli archi si unissero gli ottoni.
Ottoni dalle voci basse, possenti: P. Non vi ricordate di nessun anno in
particolare, che vi paresse felice? V. No in verità, illustrissimo.
P.
E pure la vita è una cosa bella. Non è vero? V. Cotesto si sa. E la
melodia (parole) incalza. Incalza. Fiati. Archi. Ottoni. Ed ecco esplodere le
percussioni: P. Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il
tempo passato, cominciando da che nasceste? V. Eh, caro signore, piacesse a
Dio che si potesse. P. Ma se aveste a rifare la vita che avete
fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati? V.
Cotesto non vorrei. E l’armonia del tutto, come inatteso miracolo,
prende il sopravvento sulle note (parole) degli strumenti singoli: P. Oh
che altra vita vorreste rifare? La vita ch’ho fatta io, o quella del principe,
o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro,
risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che
avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro? V. Lo credo cotesto. P. Né
anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
V.
Signor no davvero, non tornerei. Ed avanti di questo passo, con le note
(parole) che sembrano disegnare arabeschi, come nelle migliori scuole
calligrafiche: P. Oh che vita vorreste voi dunque? V. Vorrei una vita così, come Dio
me la mandasse, senz’altri patti. Alte s’innalzano le note (parole) dei
fiati, prima come rimaste sotto tono: P. Una vita a caso, e non saperne altro
avanti, come non si sa dell’anno nuovo? V. Appunto. Spegnendosi
quelle s’odono librarsi alte le note degli archi, struggenti: P.
Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che
il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che
ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è
toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo
bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa
bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita
passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi
e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero? V.
Speriamo. Altissime s’innalzano le percussioni incalzate dagli archi,
dai fiati, dagli ottoni possenti in un tripudio di note (parole): P.
Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete. V. Ecco, illustrissimo. Cotesto
vale trenta soldi. P. Ecco trenta soldi. V.
Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.
E le note (parole) si spengono ad una ad una. Chiudono i fiati, sotto
tono ed è come se rilasciassero note (parole) che non vogliano spegnersi più. È
come se volessero ondeggiare nell’aria all’infinito. Per non lasciarci più soli.
Come tutte le parole che abbiamo amato. Anche quelle non dette ma attese
invano. È dopo la vita da scolaro che ho amato il dialogo del grande di
Recanati.
Quadro secondo. Dialogo riportato in “Quei segnali in arrivo dai 5Stelle” di Eugenio Scalfari, sul
quotidiano la Repubblica del 17 di marzo:
“Volevo salutarla – (…) - Lei ci tratta molto male nei suoi articoli ma
io mi sono formato leggendola fin da quando ero al liceo, mio padre portava
Repubblica a casa e me la dava. Leggi con attenzione - mi
diceva -
leggi le pagine della cultura e dell’economia, ti aiuteranno a capire
qual è il mondo in cui dovrai vivere e lavorare”.
(…). Ha voglia di scambiare
qualche parola con me? Spero che non le crei problemi. “Nessun problema, anche
se la mia posizione politica è quella del nostro Movimento, perciò lei la
conosce già”.
Infatti, non ho domande politiche
da farle, vorrei invece capire quali sono i suoi sentimenti ora che è arrivato
fin qui. Lei guarda con interesse il lavoro che l’aspetta? “Sì, certamente,
siamo qui per questo”.
Pensa che durerà a lungo oppure
si augura nuove elezioni che forse vi darebbero più forza di oggi? “Credo che
ci siano molte cose utili da fare, soprattutto per quanto riguarda la moralità
pubblica, il lavoro precario e il sistema fiscale. Queste riforme non possono
aspettare, la gente ci ha votato per realizzarle. Quando saranno state fatte si
tornerà al voto”.
Non potrete farle da soli le
riforme che avete in programma. “Certo, ma non saremo noi a cercare gli altri,
sarà il popolo ad imporle”.
Siete contro l’Europa? “Siamo
europeisti ma vogliamo un’Europa dei popoli non della burocrazia e dei ricchi”.
Lei parla un linguaggio di
sinistra. Posso chiederle chi ha votato cinque anni fa? “Non ho votato”.
Non ha mai votato prima che
nascesse il grillismo? “Non lo chiami così. Dieci anni fa votai per Berlusconi
ma presto mi sono accorto di aver sbagliato”.
Non mi sembra che la lettura dei
miei articoli abbia avuto molto effetto su di lei. “Non è così, capii alcune
cose che mi sono rimaste bene fisse nella mente: l’eguaglianza dei cittadini di
fronte alla legge, la libertà di ciascuno, i diritti di cittadinanza. Le
5Stelle vogliono queste cose, i partiti esistenti le vogliono a parole ma non
le hanno tradotte in fatti, perciò con loro non collaboreremo, ma accetteremo i
loro voti se ce li daranno”.
Non importa da dove verranno?
“No, non importa”.
Qual è stato il suo lavoro
finora? “Ho fatto volontariato per servizi all’estero dove ci sono i caschi blu
dell’Onu. Sono stato in Libano e anche in Kenya”.
Ed ora è un cittadino di 5Stelle.
“Già e mi sembra molto coerente col mio lavoro”.
Non ha figli? “No, non ancora”.
Un personaggio storico che sente
vicino? “Direi Papa Giovanni ma adesso la saluto, sento suonare il campanello,
si vota”.
Lei è credente? “Lo sono a modo
mio” e se ne andò correndo verso l’ingresso dell’aula. (…).
Nessun commento:
Posta un commento