Annotava nell’incipit del Suo
pezzo il professor Galimberti il 2 di aprile dell’anno 2011, occupando la
piazzaforte del potere il signor B. – sul settimanale "D" del quotidiano “la Repubblica”, “È davvero necessaria la guerra?” -: Scrive
Wilfred Owen: Ai fanciulli ansiosi di farsi raccontare gesta disperate, non
ripetere la vecchia menzogna: Dulce et decorum est pro patria mori. È
che è dei potenti considerare il popolo tutto come “fanciulli ansiosi” ai
quali offrire sempre, come scriveva il sommo Orazio nelle Sue “Odi” (III, 2, 13) “dulce et decorum est pro patria
mori”, ovvero “è dolce ed onorevole morire per la patria”.
Solo che a morire andranno poi i più poveri, i più disgraziati, quelli che non
hanno nulla da perdere se non la propria vita resa fastidiosa e quasi inutile,
come l’immane carneficina della “grande guerra” ebbe a dimostrare
molto amaramente nel primo ventennio del secolo decimonono. L’Orazio di quel
tempo stimolava in verità i giovani romani ad imitare le virtù e l’eroismo
guerriero degli antenati. Al tempo meschino nostro abbiamo visto (e deriso) un
servitore del paese camuffarsi con tuta mimetica e con quant’altro lo facesse
assomigliare ad un feroce ed indomabile guerriero. È che la storia, ebbe a dire
un grande, si ripete sempre, ma nelle sue puntate successive frana immancabilmente
e rovinosamente nella più esilarante delle “farse”. È quel che ci è toccato di
vivere. E l’illustre studioso non può non ricordare, nella annotazione Sua,
come quella oraziana locuzione sia stata utilizzata, ma con significato
opposto, ovvero come denuncia della insensata “bestialità” della
guerra, dal poeta inglese Wilfred Owen che la scrisse nell’anno di guerra 1917
mentre era ricoverato in ospedale per le ferite e lo schock causati da un bomba
esplosagli accanto in battaglia e che sarebbe morto pochi giorni prima che quella
prima “grande guerra” terminasse. Mi veniva da pensare a tutto questo
- ed alla riflessione del professor Galimberti - nei giorni della “crisi”
italo-indiana. E mi veniva da temere che a qualcuno dei nostri tonitruanti “tromboni”,
sfuggiti magari in altri tempi alla ferma di leva, quand’essa era obbligatoria,
oggigiorno in posa in tuta mimetica e telefonino, venisse in mente d’invocare
il grande Orazio per la “battaglia” finale da portare in
quegli sperduti oceani a difesa, per l’appunto, dell’”onor di patria” offeso.
Ed a ripensar bene alla storia di quei due sciagurati, accolti come eroi in un
paese d’imboscati “usi ad obbedir tacendo” e sempre in prima fila stretti e
compattati nel pensiero primigenio dell’”armiamoci e partite”, ripensando a
quella sciagurata storia non ho potuto fare a meno d’accostarne le vicende a
quella di un certo capitano di nave fuggito per primo mentre il suo battello affondava
al largo di una scogliera amica. Anche nella terrificante seconda storia di quell’inane
un popolo tutto si mobilitava, nel paesello natio suo, per celebrarne l’”innocenza”
a priori, come se un popolo belluino potesse sostituirsi agli organi allo scopo
preposti. Messo al posto dei due sciagurati fucilieri mi sarei sentito tradito
ed offeso – a quel pensiero - ed avrei invocato il rispetto dei patti e degli
accordi. Uno “spicchio” della pochezza e della insensatezza degli atti dei governanti
accorsi allo sbarco aereo dei due fucilieri ce lo ha offerto Barbara Spinelli
in un Suo folgorante pensiero (postato a lato) che ho tratto da “I partiti al bivio di papa Francesco” pubblicato
sul quotidiano la Repubblica del 27 di marzo. Ed adesso che facciamo? Facciamo
la guerra all’India? Rileggiamo, di seguito ed in parte, quanto ha scritto, in
quella remota data, il professor Galimberti: (…). …siccome la guerra è il male
assoluto, da cui l'umanità, dal primo giorno della sua comparsa non si è ancora
liberata, per giustificarla occorre ricorrere a una sua descrizione in termini
ora razionali ora sacrali, che una buona retorica riesce a mescolare in una
giusta ed efficace miscela. I motivi razionali, che di solito sono di natura
economica (come ad esempio la nostra sete di petrolio i cui giacimenti o i
canali di conduzione devono essere assolutamente garantiti), non sempre sono
esplicitamente confessabili, perché tutti noi, non si sa fin quando, ma per il
momento ancora, fatichiamo ad accettare che il prezzo dei beni di cui
necessitiamo debba comportare la morte di giovani vite. E allora un motivo
razionale più convincente e persuasivo è il pericolo del terrorismo, (…). Anche
per i poveri morti indiani, pescatori, scomparsi in carne ed ossa ma ancor più
dalla collettiva memoria senza che si rendesse loro giustizia, come se la loro
morte fosse del tutto “insignificante”, si è invocata, a
tutela forse dei due sciagurati fucilieri, la loro appartenenza alla pirateria
del secolo ventunesimo. Come con uno strano teorema: se pirati, le
responsabilità degli uccisori scemano. Lasciamolo decidere ai tribunali. O
facciamo la guerra? Aggiunge il professor Galimberti: Quando i motivi razionali non
tengono si ricorre a suggestioni sacrali, come la difesa della nostra civiltà,
della nostra cultura, della nostra religione, e qui il discorso sale a un
livello dove non è più necessario discutere in termini razionali dividendo il
campo tra i pro e i contro, perché quando sono in gioco patria, civiltà,
cultura, religione, identità e appartenenza, allora entriamo nella sfera del
sacro, dove la guerra è benedetta da Dio, come da una parte e dell'altra si
diceva in occasione della guerra in Iraq, e precisamente sia da Bush sia da Bin
Laden, dimenticando, sia l'uno sia l'altro, che è lo stesso Dio, quello
cristiano e quello musulmano, che ciascuno proclamava schierato dalla propria
parte. Di fronte al sacro i motivi razionali, sia quelli confessabili, sia
soprattutto quelli inconfessabili, escono di scena, e in tal modo risultano
meglio e definitivamente protetti. Messe da parte le parole della ragione, al
loro posto subentrano le parole del sacro che parlano di eroismo, di martirio,
di sacrificio estremo: ad esse non si può fare alcuna obiezione perché
suonerebbe come una bestemmia. Attraverso l'alone di sacralità, con cui la si
circonda, la guerra in questo modo è salva e può continuare il suo teatro
lugubre e truce. Anche in nome di quegli “stranissimi” nostri eroi.
Nessun commento:
Posta un commento