"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 17 marzo 2012

Storiedallitalia. 9 Il ritorno dello Yeh-teh.


“(…). Il mondo sarà certamente non poco stupito quando avrà appreso che la nuova era nella storia sta per essere inaugurata nientemeno che da logori e decrepiti ottuagenari, burocrati che hanno partecipato a quasi ogni governo dalla fine del secolo scorso, membri del gabinetto, doppiamente morti, per età e per usura, e richiamati in vita solo artificialmente. Ci viene promessa la scomparsa totale delle lotte tra i partiti, anzi la scomparsa dei partiti stessi: forse la cosa migliore che si può dire del governo di coalizione è che esso rappresenta l’impotenza del potere in un momento di transizione. (…).

Avete contezza di che cosa si rappresenti con il termine Yeh-teh? Forse no. Con Yeh-teh si rappresenta il più che famosissimo Yeti, la creatura abominevole delle montagne sud-asiatiche, che nel significato di quella lingua sta per "quella cosa là", intendendo per l’appunto lo Yeti. Da questa parte del mondo, alle nostre latitudini, lo Yeti, la creatura abominevole per antonomasia, nell’immaginario collettivo esasperato oramai dovrebbe rappresentare quanto di più negativo si possa pensare a proposito della “cattiva politica”. Non ci sono dubbi che lo Yeti de’ noantri è la nostra casta politica, una grossa, grossissima fetta di essa. È tutto un sussurrare ansioso ed ansiogeno, in questi giorni, di un ritorno dello Yeti ad occupare la scena della politica e della conduzione della cosa pubblica nel bel paese. Ecco perché un fremito di terrore percorre le verdi italiche contrade. Lo spettro dello Yeti si aggira inquietante. Spettro non direi, poiché con esso si ha da intendere una casta politica in carne ed ossa, ed interessi consolidati conseguenti, che ha elevato il disonore ed il malaffare a tratto inconfondibile del suo disdicevole operare. Senza mezzi termini. Con improntitudine mai pensata ed immaginata. Si ha un bel dire, poi, della “sospensione della politica”. Se una “sospensione” c’è stata della politica è la sospensione di “questa” politica, fatta di mercimonio, scandalosi compromessi, svilimento delle istituzioni, servaggio della condizione propria dei cittadini. "Quella cosa là" è, per l’appunto, la politica, “questa politica”, nel bel paese. Se, dubitando molto, la “sospensione” c’è stata, come dicono irati gli interessati, è perché sono stati messi nell’angolo i “bari” di essa, delle malefatte dei quali continuano a pervenire sinistre notizie dalle procure disseminate per il disastrato paese. È tutto un dire che la politica debba tornare a condurre la cosa pubblica. Quanta sfrontatezza nell’asserzione! Tornerebbe d’un sol colpo “quella” politica, fatta d’intrallazzi abominevoli, abominevoli come l’irsuto “signore delle nevi”. Dimenticavo del brano iniziale in grassetto e corsivo. Sembra essere stato scritto ai giorni nostri. Errore. È invece una corrispondenza del Moro di Treviri dell’anno del signore 1853 per il New York Tribune. Nasceva a quel tempo, nella florida Inghilterra, il “governo di tutti i talenti”, che potrebbe equivalere al governo tecnico d’oggigiorno. La Storia si ripete, a volte grottescamente; a quel tempo, il governo di George Hamilton Gordon conte di Aberdeen; oggigiorno il governo del dottor Monti Mario. Forse qualche passo avanti è stato fatto. Giudicate Voi. Del come e del perché nell’Italia d’oggi ne ha scritto, sempre magistralmente, Barbara Spinelli sul quotidiano la Repubblica del 16 di novembre dell’anno 2011 col titolo “La scommessa di un tecnico”. Di seguito lo trascrivo in parte.

“(…). La res publica italiana, che è lo spazio cui la nostra democrazia è avvezza, ha come complemento, ormai, una res publica europea: una cosa pubblica, con suoi organi di governo e controllo democratico, che influisce sulle nostre vite non meno dei governi nazionali. Che fa di ciascuno di noi, anche se non lo percepiamo, cittadini europei oltre che italiani. (…). Parlare di un potere di tecnocrati e banchieri centrali che avrebbe usurpato il trono del politico vuol dire ignorare coscientemente la realtà in cui viviamo, fatta non di evaporazione ma di differenziazione-moltiplicazione della sovranità politica. Siamo membri delle nazioni e al tempo stesso dell'Europa. La sovranità del popolo si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione italiana, ma anche di quella europea. La seconda Costituzione esiste di fatto - con le sue leggi preminenti sulle nazionali, con la sua Carta dei diritti inserita nel Trattato dunque giuridicamente vincolante - anche se gli Stati, vigliaccamente, si son rifiutati di dare al Trattato di Lisbona il nome di Costituzione. È per una sorta di ignoranza militante, strabica, che non scorgiamo quel che pure esiste. Un'ignoranza che paradossalmente affligge più i centristi che le forze estreme, di destra o sinistra. Queste ultime hanno visioni più apocalittiche e nazionaliste, ma spesso vedono più chiaro. Anche l'accusa di scarsa democraticità nasce da ignoranza militante. Le istituzioni europee non sono del tutto democratiche, il Parlamento europeo non ha i poteri che dovrebbe avere. Ma ne ha molti. Dipende dai partiti accorgersene, e fare vera politica europea: trasformando le elezioni dei deputati di Strasburgo in autentica deliberazione comune, imponendo l'elezione diretta del Presidente della Commissione, suscitando un'agorà europea. Quanto alla democrazia italiana, non è credibile chi ritiene lesa la Costituzione perché caduto un governo non si va subito alle urne. La prassi degli ultimi 18 anni ha personalizzato le elezioni sino a diffondere un'idea storta della nostra democrazia: l'idea che il popolo scelga il leader una volta per tutte. La personalizzazione è il riflesso della dottrina berlusconiana, non della Costituzione. Quando un Premier perde la maggioranza per governare, il Quirinale tenta di formare un altro esecutivo. Allo stesso modo è il Presidente del consiglio incaricato e non i clan partitici a proporre ministri al capo dello Stato (articolo 92 della Carta). Rifondare la democrazia è tornare alla Costituzione scritta, non a quella sfigurata da consuetudini e poteri più o meno occulti fin dai tempi della Prima repubblica. (…). L'esperto economico ha spesso la tendenza a contemplare tabelline. Cambiare il mondo, creare istituzioni politiche, non è precisamente la cosa cui è abituato. Invece dovrà farlo – (…) - se è vero che la crisi è una grande trasformazione sociale, democratica, geopolitica. Anche l'euro fu progetto politico, voluto da statisti come Kohl e Mitterrand: tecnici e banchieri centrali, di rado rivoluzionari, erano contrari. (…)”.

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