(…). Berlusconi è stato il principale beneficiario politico di Mani pulite, non ne fu certo una vittima sacrificale come poi amerà dipingersi. E così il Cavaliere, che aveva gioito per l’avvio di una caccia grossa alla partitocrazia, si trasformò all’occorrenza in un insperato protettore del vecchio ceto per prenderne in dote voti e personale politico. Con sullo sfondo trenini che passavano lenti nei pressi del tribunale, i Tg del biscione diramavano degli entusiastici bollettini di guerra sul numero quotidiano dei caduti nelle spettacolari retate delle procure. La custodia cautelare fu trasformata in uno sbrigativo strumento di resa e sfruttata come l’occasione di una pubblica espiazione del politico caduto in rovina. I media parteciparono al gioco punitivo con lunghe riprese dei processi che mostravano alcuni vecchi politici acciuffati in manette rispondere alle requisitorie con la bava alla bocca. Con i suoi media Berlusconi prese parte alle danze e appoggiò il superamento per via giudiziaria di un granitico sistema di potere che pure l’aveva molto agevolato negli affari. Il suo settimanale faceva il tifo sfegatato per i pubblici ministeri e in copertina comparve il faccione dell’accanito inquirente molisano con il titolo sparato con grande evidenza «Di Pietro facci sognare». Anche la Lega fiancheggiava i giudici in azione salvifica contro la casta, gli odiati portaborse e in aula agitava minacciosa il cappio per cominciare da subito a fare piazza pulita. Ospite fisso e chiassoso delle calde trasmissioni della video politica che proprio allora furono inventate da Rai tre, la Lega sfondava nel paese anche grazie al verbo nuovista dei conduttori più politicizzati che divennero, loro malgrado, gli arnesi della destra populista trionfante. Il Msi fu anch’esso la ruota di scorta di mani pulite. A Roma le truppe di Gasparri e Storace assediarono Montecitorio e con le pietre infransero la vetrina della camera, che fu circondata e, al grido di «arrendetevi», fu intimata la resa ai deputati raggiunti dagli avvisi di garanzia. Senza più gruppi parlamentari stabili, privo di guide politiche autorevoli e in un clima divenuto molto pesante nell’affondo contro la nomenclatura, le Camere degli inquisiti operarono recuperando, proprio sull’orlo del precipizio, un senso di responsabilità per certi versi sorprendente. (…). A chi giovò Mani pulite? Alla lotta contro la corruzione non servì molto, vista la perdurante collocazione dell’Italia nei bassifondi delle classifiche internazionali sui livelli di etica pubblica. La lotta alla corruzione non può essere appaltata solo alla magistratura. Chiama in causa nodi più profondi (il senso delle istituzioni, la cultura civica, la lealtà dei poteri economico-finanziari, l’ossatura dell’amministrazione, la vitalità dei partiti) e con il tramonto dei soggetti politici è assai difficile che nella società civile prenda quota una spontanea reviviscenza etico- politica della nazione. Dopo i partiti, presi di petto come una oscura casta da aggredire, lo Stato venne dato in appalto ad aziende, cricche, combriccole, comitati d’affari. Vent’anni dopo, il clima è sempre lo stesso: per i media e i poteri forti ringalluzziti, la classe politica è solo una parassitaria nomenclatura da abbattere. In definitiva: Mani pulite fu l’inizio della rigenerazione o l’incubazione della lunga catastrofe? Un’unica certezza affiora negli anni: l’antipolitica non può mai avere uno sbocco di sinistra. L’antipolitica è oggi diventata l’ideologia di un sistema che, retto da immani poteri oligarchici, se non ritrova grandi partiti, è condannato al marciume.
Avete appena letto uno stralcio tratto da Tangentopoli vent’anni dopo. Ascesa e declino della Seconda Repubblica di Michele Prospero, pubblicato sul quotidiano l’Unità. Siamo a pochi giorni dal 17 di febbraio dell’anno 1992, due anni prima della “discesa in campo”. In quella data veniva arrestato Mario Chiesa, il “mariolo” di turno, a detta del latitante di Hammamet. Aveva le mani nel sacco, anzi nel cesso, ma non in senso metaforico, nel senso reale del termine; tentava di mandare via, con l’acqua dello sciacquone, la mazzetta richiesta e concordata con l’imprenditore Luca Magni. Gli finì male. Ma finì male anche al bel paese, che si beccò la “discesa in campo” e poi l’imporsi e l’imperversare del personale politico, col suo codazzo di famigli e reggi-borse, più sfrontato, più svergognato e più famelico che a memoria d’uomo si possa ricordare. È da ricordare come una triste data quel 17 di febbraio? Penso proprio di sì: nulla è cambiato, anzi tutto è andato per il verso peggiore. Ce ne dà contezza una interessante intervista concessa a Rinaldo Gianola, sempre del quotidiano l’Unità, da Gerardo D’Ambrosio che fu uno dei protagonisti di quegli avvenimenti. La trascrivo di seguito in parte:
(…). Perché Mani Pulite a un certo punto smarrì la sua forza propulsiva? «Questo, forse, è il capolavoro di Silvio Berlusconi. Se la ricorda Retequattro? Trasmetteva in diretta da palazzo di Giustizia, con Paolo Brosio che elencava gli arresti tra gli applausi dei passanti. Forza Italia vince le elezioni del 1994 sull'onda dell’antipolitica, contro i partiti che rubano. La mistificazione mediatica e politica fu enorme perché il creatore, il leader di Forza Italia era indagato e imputato. E quando Berlusconi arriva al governo le sue misure sono coerenti con le sue responsabilità e mirano a frenare l’azione della magistratura. (…). …c’è il tentativo di cambiare il codice di procedura penale annullando le confessioni rese al pm o alla polizia, poi la ex Cirielli con il taglio dei termini della prescrizione. E siamo alla legge ad personam per eccellenza, quella per alleggerire il falso in bilancio. È una legge propedeutica alla corruzione, favorisce la creazione di fondi neri».
(…). Qual è oggi la priorità del Paese? «La legalità. Dobbiamo essere crudeli con noi stessi: il Paese ha rifiutato la legalità. Anche oggi chi pratica la corruzione, chi evade le tasse non è considerato come un ladro che danneggia l’intera collettività. Eppure la corruzione vale 60 miliardi di euro e secondo la Banca d’Italia pregiudica la possibilità di investire, di creare sviluppo, occupazione. È una battaglia politica e culturale, bisogna ripartire dal basso, dalla scuola, insegnare e difendere il valore della legalità».
La cronaca offre i casi di parlamentari che abusano ancora di denaro pubblico o che guadagnano milioni su mediazioni immobiliari. Che impressione ricava da questi fatti? «Un’impressione terribile. Il politico che ruba soldi pubblici va subito emarginato, denunciato. Senza esitazione, senza timidezze».
Com’è la sua esperienza di parlamentare? «Non sono molto a mio agio. Conduco le mie battaglie, faccio proposte, ma c’è un grosso problema, inutile nasconderlo. Il sistema maggioritario, questa legge elettorale limitano la democrazia. Il deputato sa che sarà rieletto solo se si comporterà bene con i suoi dirigenti».
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