(…). Il pensiero nuovo dovrà porre l’uomo al centro dell’attenzione. Questa società opulenta, piena di ricchezze, di nuove e immense tecnologie, deve essere riorganizzata in funzione delle necessità vere, importanti, degli esseri umani. Non può essere accettato, ora più di prima, che pochi abbiano ricchezze enormi, mentre miliardi di uomini continuino a “vivere” nella povertà più assoluta e chi aveva conquistato una decorosa qualità della vita, quale l’Italia, ritorni indietro. Le differenze sociali che in un qualche modo sono state “consentite” sino a poco tempo fa, non potranno più essere accettate. In Italia, soprattutto, dagli anni sessanta sino a oggi, una buona qualità di vita, quanto mai conosciuta prima, ha riguardato la stragrande maggioranza dei cittadini. Tutti hanno goduto di un buon sistema sanitario; della scuola per tutti; della possibilità, per com’è stato, che i figli dei lavoratori, dei contadini, di chi un tempo era ai margini, arrivassero anche a occupare i posti più importanti. Milioni di cittadini hanno posseduto la casa e arredi decorosi; l’automobile; la possibilità di godere e praticare l’arte e la cultura; di avere un orario di lavoro dignitoso. Le qualità ottenute, voglio ricordare, sono da accreditare all’impegno e alle lotte per la democrazia e i diritti, che hanno caratterizzato, in particolare gli anni ‘70/80. Insomma, si sono raggiunti e realizzati, nel secolo scorso, in particolare negli ultimi sessant’anni, condizioni di vita prima impensabili. Ora, per mantenere quest’organizzazione della società, che non può più dare risposte positive a tutti, si chiedono sacrifici, anche pesanti. Con quale prospettiva, se il sistema non regge più l’attualità? Possono le nuove generazioni, preparate alla qualità continua, essere cacciate indietro di un secolo? Ritengo di no. È, pertanto, necessario e urgente, avviare una forte discontinuità con quanto sino a oggi è stato fatto. La società dei mercati, che ha consentito, pur nelle diseguaglianze e nelle ingiustizie, di assicurare a masse enormi di essere umani di accedere al godimento, innanzitutto, delle necessità primarie, ma anche a tant’altro, un tempo riservate a solo determinati ceti, ora non è più in grado di governare la nuova realtà. Non può quest’organizzazione della società, assicurare il mantenimento dei livelli di qualità raggiunti. Infatti, può continuare a governare, solo a condizione, che la gran parte dell’umanità, in particolare per gli occidentali e nel caso nostro, degli europei, rinunci a tante conquiste e diritti. Il sistema, per sopravvivere, ha necessità di ridurre le certezze sulla qualità della vita. Quanto sta avvenendo pone all’attenzione della Politica, quella con la p maiuscola, la necessità di una rivisitazione del sistema. Questo non è più capace di metabolizzare e scegliere un percorso positivo. Insistere con aggiustamenti nel suo ambito, non darà risultati accettabili. Anzi con il passare del tempo, si creeranno tensioni e conflitti. È, pertanto necessario avviare una nuova stagione per l’umanità. Ciò è inevitabile, per dare risposte credibili e certezze di prospettiva e di vita. Se non si hanno questa consapevolezza e la lungimiranza di andare oltre il consolidato, non si potranno evitare strappi traumatici e gravi conflitti. È, allora, urgente rimettere in discussione l’attuale modello di sviluppo. Il problema, oggi di attualità in Italia, il “posto fisso”, è un esempio importante di come questo sistema affronta il delicato tema del lavoro. È nelle cose che, per non intaccare la struttura dello stesso, il lavoro torna a essere solo merce di scambio. La definizione “mercato del lavoro”, offende l’uomo; la dignità e il valore in sé, che ha questa importante e fondamentale attività umana. Il mercato è il luogo in cui si riuniscono venditori e compratori per contrattare, vendere e acquistare merce. L’uomo è altra cosa. Deve essere altra cosa! Le idee e la politica devono esaltare la valentia del lavoro dell’uomo. (…). Ora è ovvio che una società che ha subito e sostiene continui mutamenti, deve pensare che in tanti casi, il rapporto tra la persona e il lavoro, avrà sempre più una maggiore e diversa dinamicità. Pertanto il posto fisso, tradizionale, a prescindere se monotono, non può più essere, sempre, garantito. Ciò, che, però, dovrà garantire, la società nuova, quale distinguo fondamentale, pena la distruzione dell’uomo, è il “lavoro fisso per tutta la vita attiva”, a prescindere da dove e con quale diversità e cambiamenti si dovrà compiere. Il nuovo e urgente sodalizio, deve garantire a tutti i diritti di cittadinanza e per primo quello di poter accedere al lavoro. Non si dovrà prescindere da quest’assunto fondamentale, pena la frustrazione profonda dei progetti di vita e delle certezze che fanno dell’esistenza la ragione fondamentale. Non vi è dubbio che molto cambierà, anzi sta già mutando. Il lavoro sarà sempre più realizzato in termini nuovi e sconosciuti. L’epoca industriale, oramai alle nostre spalle, ha profondamente mutato lo stato sociale, economico, comportamentale, morale e dei valori della società. L’epoca nuova che si è avviata con il terzo millennio, è ugualmente, se non di più, portatrice di sconvolgimenti storici. Ecco perché è necessario che ogni cambiamento metta al centro il rispetto e la difesa dei diritti dell’uomo. (…). La nuova società, fondata sui valori di solidarietà, dovrà essere l’obiettivo della politica. La politica, per perseguire tale obiettivo dovrà riprende in mano il governo dell’umanità che oggi, di fatto, è in mano alla sola finanza, ai grandi potentati e alle leggi di mercato. È, dunque, necessario e urgente un pensiero nuovo e rivoluzionario. Questo è il compito storico che ha oggi il mondo occidentale e l’Europa. Io penso che il pensiero nuovo, le proposte di riorganizzazione del modello di sviluppo, spetti in particolare alla sinistra riformista e progressista, perché da sempre è portatrice dei valori di solidarietà.
Avete appena finito di leggere l’interessante lettera, trascritta in parte, della quale l’amico Sabatino Nicola Ventura mi ha fatto destinatario privilegiato. La lettera ha un titolo estremamente interessante: Sostituiamo il posto fisso con il lavoro fisso. Come in altre occasioni mi sento di affermare che la crisi ci offre delle opportunità che vanno colte con uno spirito nuovo e con un occhio al divenire che sarà riservato alle nostre società future. Dalla lettera di Ventura mi preme cogliere un aspetto importante, laddove egli scrive che dalla crisi deve sortire una nuova società, fondata sui valori di solidarietà, aspetto che è esplicitato con forza nell’interessante editoriale di Alain Touraine, pubblicato sull’ultimo numero dell’anno 2011 della rivista MicroMega e già citato nel post del 6 di febbraio, col titolo L’individuo al centro della nuova sinistra. Poiché la sinistra, dice bene Ventura, da sempre è portatrice dei valori di solidarietà. Trascrivo di seguito un breve ma significativo passo di Alain Touraine da quell’editoriale – pag. 43 -, poiché ritengo che sia necessario ristabilire punti precisi di orientamento ideologico ora che il liberismo che ha imperato mostra drammaticamente la corda.
L’elemento di definizione che per primo viene alla mente è che la destra pensa in termini di oggetti e di rapporti tra gli oggetti, e che definisce gli attori tramite le loro situazioni oggettive. (…). Ciò che definisce, all’opposto, la sinistra, è che pensa e agisce in termini di diritti. Il populismo di destra, che lamenta le deplorevoli condizioni dell’infanzia, dei poveri, delle donne e dei prigionieri è sempre esistito. Ma il pensiero e l’azione diventano di sinistra solo quando il pensiero si interroga sulle ragioni della disuguaglianza, o della dipendenza e della violenza, cercando nelle vittime i possibili protagonisti di volontà e desiderio d’azione.
È l’opportunità grande che la crisi ci offre, di un ri-orientamento ideologico delle masse affinché si sciolga quell’amalgama indistinto, ibrido, innaturale, artatamente creato nel cinquantennio del liberismo più sfrenato conclamatosi ora nella sua ultima versione del capitalismo finanziario, un capitalismo senza doveri, senza responsabilità sociali e senza etica alcuna, amalgama che in tante occasioni mi sono sentito di definire una zuccherosa melassa sociale che, nell’indistinto ideologico creato, ha consentito, per dirla ancora chiaramente con Ventura, che pochi abbiano ricchezze enormi, mentre miliardi di uomini continuino a “vivere” nella povertà più assoluta. Un nuovo rinvigorito umanesimo urge.
Nessun commento:
Posta un commento