"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 4 febbraio 2012

Dell’essere. 5 Una donna. Un ricordo di Anna Maria Longo.

È sorprendente come la vita prepari gli eventi suoi e li concateni in maniera che gli stessi appaiano sì nella loro sempiterna casualità ma pregni di messaggi, che oggi definiremmo subliminali, occulti ma non tanto solo se gli stessi appartenessero pienamente al mondo degli umani. E quali sono stati gli eventi che mi spingono a vergare queste mie poche righe? Ho potuto vedere, ché mi era sfuggito nel corso della normale distribuzione nelle sale, lo straordinario film Milk, di Gus Van Sant, con un eccezionale Sean Penn, Emile Hirsch e Josh Brolin. Vi si racconta di minoranze e delle loro lotte affinché venissero riconosciuti ad esse gli irrinunciabili diritti di tutti gli esseri umani. È il mio primo evento. Il secondo si è materializzato all’accensione del mio portatile, accensione inconsueta per l’avanzato orario della sera, allorquando una e-mail dell’amico carissimo  Sabatino Nicola Ventura mi informa dell’avvenuta scomparsa di una donna straordinaria, la compagna Anna Maria Longo. Scrive Ventura, ricordando Anna Maria Longo, essere stata la “donna dell’impegno e delle battaglie per l’emancipazione femminile a Catanzaro e in Calabria, (…). Dalla fine degli anni ’50 a oggi è stata la protagonista delle lotte per il riscatto della donna. E’ stata una studiosa e una teorica della battaglia di genere. Le donne progressiste e democratiche di Catanzaro, ma dell’intera Calabria si sono riconosciute in Anna Maria. Non per nulla Sabatino Nicola Ventura ha intitolato la e-mail, che ho avuto il privilegio di ricevere e per il quale privilegio lo ringrazio, Un ricordo di Anna Maria. E di seguito scrive ancora affettuosamente: “Nella qualità di dirigente dell’Unione Donne Italiane, ha svolto un lavoro di grande importanza. Rivedo, come se fosse ora, le numerose donne e ragazze di Catanzaro che attorno ad Anna Maria affermavano il diritto di esserci e di contare alla pari degli uomini, ma anche attraverso il riconoscimento delle peculiarità, diverse, della donna. Gli esseri umani sono una comunità di genere. Devono stare assieme con pari dignità e cittadinanza. Anna Maria ha fatto scoprire a tante donne il diritto alla peculiarità di genere. Ha insegnato a tanti uomini che la mortificazione della donna è frutto di costruzioni culturali: sovrastrutture, come si usava definirle tanti anni fa”. È questa e-mail il secondo evento di quella concatenazione che la vita ci regala sorprendendoci il più della volte. Ha scritto il professor Umberto Galimberti nel Suo “Vestali della memoria”, pubblicato sul quotidiano La Repubblica del 7 di giugno dell’anno 2003: “(…). Chi è custode della memoria se non la donna, il cui ancoraggio alla natura, che al pari della donna è madre, la rende così solidale alla vita, da spingerla a ricostruirla là dove passa la potenza distruttiva degli uomini, il cui ancoraggio alla natura  è davvero flebile e immemore rispetto al fascino che su di loro esercita, quel campo da gioco che è per loro la storia? Non la storia antica, che avendo parentela con l’origine e la nascita delle civiltà è evento femminile, ma con la storia di oggi, che, sradicata dalla memoria delle origini, è pura volontà di potenza. (…)". Ecco, è venuto a mancare non solo un essere umano, una donna vera, ma si è spento un pezzo della memoria collettiva di questo Paese. Anna Maria Longo ha combattuto per l’affermazione dei diritti, quelli delle donne, di tutte le donne, così come nel film di Gus Van Sant si è narrato delle lotte, della vita e della morte, tragica, di uno dei protagonisti massimi del secolo ventesimo. Il terzo evento, che si concatena mirabilmente agli altri due, è lo straordinario pezzo che Sabatino Nicola Ventura mi ha trasmesso nella e-mail e, per come mi scrive, è tratto da “un Suo libro, molto autobiografico dei sentimenti e delle scelte, Il guscio, pubblicato circa venti anni fa”, pezzo che di seguito trascrivo in parte.

I ricordi si stagliano in immagini di vissuto politico; trattengono il valore simbolico assunto nei momenti, nelle tappe decisive e importanti del percorso di liberazione. E’ l’otto marzo del ’77. Ogni anno siamo scese in piazza nella storica data, ma la novità di questa festa non ha precedenti. Il corteo è immenso, festoso, variopinto: gonne lunghe di cotonina fiorata, fiori nei capelli, facce splendidamente truccate; mani alzate con i pollici e indici congiunti a simbolo d’utero; un solo grido, una sola voce e siamo tante. La gente ci guarda stupita, frastornata; non comprende; legge nei nostri gesti un’oscenità che offende pudori e rispettabilità; inorridisce alle nostra grida; è “un impazzimento” recita ogni commento, anche se ad essere impazzite siamo in tante e tra queste vi sono donne insospettabili, di indiscussa serietà e rispettabilità. Il corteo è un annuncio politico: l’UDI si fa movimento; si rompe la gabbia dell’organizzazione paludata con regole e riti; si scompiglia la gerarchia. Cambiano le motivazioni della militanza; il personale è politico e rivendica bisogni nuovi, differenziati; ridisegna, a sua immagine, obiettivi e modalità originali di lotta. Scoprire il desiderio e piacere di sé, in quanto donna; è rivoluzione! A partire da sè si scava sul comune denominatore di sofferenza: l’oppressione maschile è senso comune delle donne e si assume ad obiettivo di lotta del nostro pensare e lavorare assieme. Sono trascorsi appena due anni, da quando ho partecipato alla competizione elettorale, candidata dal PCI, per il coniglio regionale della Calabria. Per pochi decine di voti non sono stata eletta; il maschilismo del partito aveva fatto trincea; lì per lì, la delusione mi era sembrata una cocente sconfitta. “Fuori le donne dalle istituzioni” è lo slogan del movimento ed io ne sono più delle altre convinta; appartiene al passato la mia esperienza elettorale. E’ inesauribile la creatività delle donne: la politica si fa corpo, perde astrattezza, assume volti, comportamenti propri ad ogni singola donna; concettualizza i bisogni comuni; si fa simbolo. I manifesti diventano tazebao, si personalizzano; ore ed ore di lavoro paziente per farli: la fantasia cromatica disegna soggetti, scampoli di storie che narrano la nostra esperienza. Alba e Silvana ci insegnano come usare matite e pennelli; impariamo, ci divertiamo. Vogliamo parlare a tutte:  giovani e meno giovani; ignoranti e colte; alle inquiete ed alle depresse; il nostro linguaggio povero, stenta a trovare parole che dicano il “non-dicibile”: il desiderio, il piacere,il segreto dell’esperienza di ognuna, il dramma di ogni occulta sofferenza, di ogni solitudine. E’ anche per alcune il momento dell’addio! Lasciano, abbandonano il movimento; hanno paura. Si sottraggono al rischio della messa in discussione della propria vita; cercano scampo dagli interrogativi impietosi sul rapporto coniugale; cedono alle pressioni dei mariti insospettiti, incattiviti per quello stare “insieme tra donne” senza che si possa esercitare il solito, abituale, controllo. Sono allontanamenti dolorosi , ma non irreversibili perdite. Un filo sotterraneo, una affinità segreta le terrà agganciate al movimento anche senza militanza; anche se di fatto, si lasciano chiudere tra i muri di casa in trincea, obbligate all’impegna di custodi del nido: Il femminismo è stato per loro, come per tutte, un incontro irreversibile: la partenogenesi della propria identità e di amore per sé. Nessuna può tornare indietro, ad essere quella di prima. Verranno tutte al congresso dell’UDI di Catanzaro del ’78, convocato come il”decimo” dell’associazione nazionale; ha come slogan: “La mia coscienza di donna in un grande movimento organizzato”. Sono presenti quasi seicento donne: parlano con facilità; usano parole della quotidianità e sono efficaci, comunicano, stimolano, insidiano antiche rassegnazioni, passività stratificate; strappano i veli al “potere” che li usa, prospettano dove e come vogliono investire l’esplosione di energia liberata. Cantano, recitano, sferzano con l’ironia tagliente; il congresso è anche spettacolo: “Donna è bello”. (…). A casa riporto la mia eccitazione; voglio comunicarla, coinvolgere, vivificare il rapporto con Lui; vorrei che mi apprezzasse, sollecitandolo ad una più calda intimità. Parlo sinceramente di me, tento di parlare di noi ed è un muro di gomma che mi trovo, quando non scatta sulla difensiva scaricandomi una genericità di problemi gravosi, di soldi, di cose da fare e che mai si fanno; svicola e si perde nell’irrilevante. Imperterrita continuerò a parlare fingendo l’ascolto fino a quando mi sarà sconvolgente misurare tutta la fatica retrodatata dell’inanità di tante mie parole al vento. Sicuramente l’affettività con le amiche surroga e, senza accorgermi, sostituisce in qualche modo il legame che continuo a ritenere fondante ed indispensabile al mio equilibrio sessuale-affettivo e psichico di donna…

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