"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 24 gennaio 2012

Dell’essere. 4 Elogio della frugalità.

 - Già, Ettore. Dobbiamo imparare a dividere la pagnotta. Hai sentito a Servizio Pubblico Serge Latouche? Nel mio piccolo cerco di consumare poco e cercare di avere pochi soldi. Affettuosamente. Franca Maria -. È il commento che Franca Maria ha voluto lasciare al mio post L’indignazione si aggira per il pianeta. Il Suo commento mi sollecita a proporre una interessante intervista che Serge Latouche, tirato in ballo da Franca Maria, ha rilasciato al giornalista Gigi Riva sul settimanale L’Espresso. Non mi lascio sfuggire l’occasione. Titolo dell’intervista, che di seguito trascrivo in parte: Elogio della frugalità. Un elogio che sembra dal sen fuggito. Un anacronismo. Una provocazione. Proprio nei giorni della crisi più profonda durante i quali è tutto uno stracciarsi le vesti per i consumi che non ripartono. Sembra un invito, quello di Latouche, da bastian contrario. Negli anni trenta del secolo ventesimo, quelli segnati dal grande crack di Wall Street, amava affermare e riaffermare il Presidente degli Stati Uniti d’America, Franklin Delano Roosevelt, quello del New Deal: - La gente di questo Paese è stata erroneamente incoraggiata a credere che si potesse aumentare indefinitamente la produzione e che un mago avrebbe trovato un modo per trasformare la produzione in consumi e in profitti per i produttori. La felicità non viene unicamente dal possesso dei soldi ma dal piacere che viene dal raggiungimento di uno scopo -. Penso che oggigiorno un pensiero così debba necessariamente ritrovare un posto nella vita di tutti i giorni. Di quella parte degli uomini del pianeta chiamato Terra che hanno provveduto a sfruttare e dissipare ricchezze e risorse naturali ed economiche non più rinnovabili. A scapito di una moltitudine di esseri umani emarginati e sfruttati. È l’alternativa alla apocalisse ambientale.  Ha dichiarato il sociologo Mauro Magatti in un’intervista concessa a Paola Pilati del settimanale L’Espresso: - E' finito un ciclo iniziato quarant'anni fa, quando il '68 ha fatto saltare il modello sociale nato nel dopoguerra in nome della libertà soggettiva. Ora, dopo trent'anni di esplorazione e dissipazione, dobbiamo chiederci cosa fare dopo quella lunga adolescenza, e cosa costruire in questa fase che chiamerei della maturità -. È finito il tempo della esplorazione e dissipazione: urge la maturità nelle scelte e nei comportamenti personali e collettivi.

(…). Serge Latouche, una teoria – seppur affascinante – ha bisogno di un progetto politico. E se anche una fetta di sinistra, in epoca di crisi economica, pensa che la risposta sia la crescita, allora lei ha poche chances. “Il problema è un cambiamento culturale profondo. I giovani tornano al produttivismo perché cercano un impiego che non hanno e non riescono nemmeno a immaginare una società che crea lavoro senza essere dentro la logica della crescita. Nessuno gliel’ha spiegata”.
È invece possibile. “Partiamo dalla considerazione opposta. Da diverso tempo la crescita, almeno quella che noi conosciamo in Occidente e che negli anni più floridi è stata al massimo nell’ordine del 2 per cento, non crea posti di lavoro. Ci vorrebbe una crescita del 5-6 per cento per eliminare la disoccupazione. Cifra evidentemente impossibile da raggiungere”.
La politica, o meglio gli economisti che hanno sostituito i politici, si affannano su ricette che riducano i debiti pubblici e, se ci riescono, rilancino lo sviluppo. “Sì, il famoso programma del vertice del G8 di Toronto del 2009 che si è chiuso con la doppia impostura contenuta nelle parole rilancio e austerità. Basta andare a chiedere ai greci cosa ne pensano di questa politica e dei suoi risultati catastrofici. In Grecia il popolo aveva votato massicciamente per un partito socialista che non è riuscito a realizzare i suoi progetti perché, a causa della pressione dei mercati, si è visto imporre un’austerità neo-liberale. Dopo il fallimento del socialismo reale assistiamo al vergognoso scivolamento della socialdemocrazia verso il social-liberismo. E non vale solo per la Grecia”.
Una parte degli economisti di sinistra cerca in effetti di badare al sodo: rilancio di consumi e investimenti per ridare un segno più al prodotto interno lordo. “Lo fanno alcuni intellettuali, come Joseph Stiglitz, che rilanciano vecchie ricette keynesiane, ma è una terapia sbagliata. Almeno dagli anni Settanta i costi della crescita sono superiori ai suoi benefici e stiamo esaurendo le risorse naturali. Quella della crescita è solo un’illusione, un inganno che possiamo perpetuare per qualche anno, non di più. Prendiamo l’Europa ad esempio. Sia governi di sinistra come quelli di Papandreou o Zapatero, quando c’erano, sia di destra come Merkel o Sarkozy, continuano a proporre per uscire dalla crisi le stesse ricette che l’hanno prodotta. Quando ci vorrebbe il coraggio di uscire dalla logica della religione della crescita”.
Resta da capire con chi lei immagina di realizzare questo progetto. “Con una sinistra che sia davvero tale e che superi qualche tabù come quello dell’euro. La moneta unica ci sta strangolando perché è supervalutata e ci impedisce di fare politiche nazionali di protezionismo economico e sociale. Ci impedisce, di fatto, di gestire la crisi perché non possiamo svalutare la moneta”.
La sua ricetta, decrescere, o “a-crescere” come lei ha precisato, per alcuni evoca una lugubre stagione di privazioni e rinunce. “Siamo entrati lentamente nel capitalismo, che è il sinonimo di crescita, e lentamente ne usciremo. Grazie a un cambiamento lento, ma ineluttabile. Lavoreremo meno per produrre meno. Se si produce meno si distrugge meno natura, ma non è detto che si abbia necessariamente meno. Se invece di cambiare automobile ogni due anni e computer ogni anno li si cambia ogni dieci perché se ne producono di resistenti, la soddisfazione del bisogno di possedere quegli oggetti è esaudita ma c’è bisogno di meno denaro, dunque di meno lavoro. E si avrà più tempo libero per relazioni e affetti”.
C’è da chiedersi cosa faranno i dipendenti di quelle aziende di computer o auto. “A loro volta avranno bisogno di meno. È il nostro rapporto col tempo che va completamente rivisto. Siamo così stressati che dormiamo, in media, meno che in passato, guardiamo troppa televisione, non facciamo sport, diventiamo obesi (altro problema sociale) e non ci occupiamo dei nostri bambini”.
Lei, professor Latouche, sta dipingendo un perfetto modello occidentale. Ma il mondo è assai più vasto. “Infatti  decrescita è uno slogan da usare per i Paesi ricchi, senza pretesa di imporlo ad altri. Io so solo, però, che l’ideologia della crescita è catastrofica per tutti, a ogni latitudine. Ma ciascuna società deve poi gestire il funzionamento dell’a-crescita secondo i propri valori. I cinesi arriveranno a pratiche ecologiche per poter stare meglio. Per gli africani la parola crescita non ha granché senso e semmai devono pensare di produrre di più nel settore alimentare. Ma stando attenti a salvaguardare il territorio”.
Tornando a noi: è di gran moda l’espressione sviluppo sostenibile. “Mi spiace, non ci sto. Non c’è nessuno sviluppo che sia sostenibile oggi. Abbiamo dissipato troppe risorse. Dovremmo fare più attenzione. Penso sempre a due Tir che si incrociano sotto il tunnel del Monte Bianco e uno porta l’acqua minerale francese a voi, l’altro l’acqua minerale italiana a noi. Che spreco”.
Che altro guadagniamo dalla decrescita? “Mi viene in mente Baldassarre Castiglione e il suo Il cortigiano, in cui suggeriva al Principe di dare più tempo alla vita contemplativa e alla riflessione e meno all’azione. Ecco, il tempo per se stessi sarebbe davvero il regalo migliore della decrescita”.

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