« (…). Lei scrive che la grande crisi dell´economia capitalista – questa sorta di implosione dell´Occidente – non è solo finanziaria ma innanzitutto etica. Perché? «Perché questa è una crisi che evidenzia il disprezzo e il misconoscimento del Bene comune, l´accaparramento senza freni delle risorse di tutti: il lavoro, le leggi, le istituzioni, la natura... Quando la spinta al godimento diventa compulsiva e non conosce limiti, quando l´avidità non ha più fondo, è la stessa idea di comunità che viene meno. Per dirla in termini analitici, è la pulsione di morte che prevale e travolge la dimensione del legame sociale».
C´è un´angoscia particolare che accompagna questi anni terribili di impoverimento anche emotivo, anche intellettuale? «L´angoscia contemporanea non è l´angoscia di fronte al nulla di cui parlano i filosofi, ma piuttosto è l´angoscia di fronte all´eccesso: come se mancasse una prospettiva, un progetto. Non sorge dalla mancanza ma da un troppo pieno, dalla sensazione di essere imprigionati in un sistema che ci avvolge e ci comprime e sembra non permettere – nemmeno nella fantasia – di un altro mondo, di un altro orizzonte... Il nostro è senz´altro il tempo di un immiserimento materiale e mentale diffuso, è un tempo di precarietà dove l´angoscia – come dimostra la diffusione epidemica del panico – è di massa. Ma io tendo a escludere che sarà una condizione permanente». (…). È quanto sostiene Massimo Recalcati nell’intervista rilasciata a Luciana Sica del quotidiano la Repubblica in occasione della pubblicazione del Suo ultimo lavoro Ritratto del desiderio – Cortina editore, pagg. 190, € 14 -. Titolo dell’intervista: Desidero dunque sono, che ho trascritto in parte. È che, in questo drammatico, pesantissimo frangente, tutte le menti sono indirizzate e disposte ad interessarsi agli aspetti economico-finanziari della cosiddetta crisi. Tutto il resto è un di più, un vuoto interrogarsi secondo i molti, su quell’immiserimento materiale e mentale diffuso che lamenta e denuncia l’illustre scienziato. Poiché, a ben ragione, il tempo nostro è stato il tempo dell´accaparramento senza freni delle risorse di tutti - il lavoro, le leggi, le istituzioni, la natura... -, accaparramento che attanaglia le coscienze di fronte ad un nulla morale che nasce non dalla mancanza - da un nulla materiale e non solo -, ma da un troppo pieno che è incapace di frenare l’angoscia generata in questi anni terribili di impoverimento emotivo ed intellettuale. Ho trovato rispondente ed in assonanza grande alle analisi ed agli allarmi dell’illustre psicoanalista l’interessante intervista di Rinaldo Gianola al professor Giulio Sapelli della Università Statale di Milano. Titolo dell’intervista, pubblicata sul quotidiano l’Unità: «Non ci sono innocenti davanti al neoliberismo e ai suoi disastri sociali», che di seguito trascrivo in parte. Contestava il grande Aleksandr Isaevic Solženicyn (1918 – 2008) a chi esultava ciecamente alla caduta del muro di Berlino: Anche se l’ideale mondano del comunismo e del socialismo è crollato, i problemi che esso proclamava di voler risolvere sono rimasti: la sfacciata prevaricazione sociale e lo smodato potere del denaro, che spesso dirige il corso degli eventi. Un profeta, come tanti altri, ché, per dirla con le parole di Michael Hardt e Antonio Negri – sull’ultimo numero 8/2011 della rivista MicroMega pag. 23 –, L’accumulazione capitalistica è ormai organizzata in termini finanziari, il capitale sfrutta una ricchezza socialmente prodotta e la capta prevalentemente nella forma di rendite finanziarie. Così, sempre più drammaticamente nella nostra epoca, la natura sociale della produzione confligge con la natura privata dell’accumulazione capitalistica. Un ritorno alla sola, vera natura dei problemi sociali di sempre, dopo un’ubriacatura di crudo e feroce liberismo.
C´è un´angoscia particolare che accompagna questi anni terribili di impoverimento anche emotivo, anche intellettuale? «L´angoscia contemporanea non è l´angoscia di fronte al nulla di cui parlano i filosofi, ma piuttosto è l´angoscia di fronte all´eccesso: come se mancasse una prospettiva, un progetto. Non sorge dalla mancanza ma da un troppo pieno, dalla sensazione di essere imprigionati in un sistema che ci avvolge e ci comprime e sembra non permettere – nemmeno nella fantasia – di un altro mondo, di un altro orizzonte... Il nostro è senz´altro il tempo di un immiserimento materiale e mentale diffuso, è un tempo di precarietà dove l´angoscia – come dimostra la diffusione epidemica del panico – è di massa. Ma io tendo a escludere che sarà una condizione permanente». (…). È quanto sostiene Massimo Recalcati nell’intervista rilasciata a Luciana Sica del quotidiano la Repubblica in occasione della pubblicazione del Suo ultimo lavoro Ritratto del desiderio – Cortina editore, pagg. 190, € 14 -. Titolo dell’intervista: Desidero dunque sono, che ho trascritto in parte. È che, in questo drammatico, pesantissimo frangente, tutte le menti sono indirizzate e disposte ad interessarsi agli aspetti economico-finanziari della cosiddetta crisi. Tutto il resto è un di più, un vuoto interrogarsi secondo i molti, su quell’immiserimento materiale e mentale diffuso che lamenta e denuncia l’illustre scienziato. Poiché, a ben ragione, il tempo nostro è stato il tempo dell´accaparramento senza freni delle risorse di tutti - il lavoro, le leggi, le istituzioni, la natura... -, accaparramento che attanaglia le coscienze di fronte ad un nulla morale che nasce non dalla mancanza - da un nulla materiale e non solo -, ma da un troppo pieno che è incapace di frenare l’angoscia generata in questi anni terribili di impoverimento emotivo ed intellettuale. Ho trovato rispondente ed in assonanza grande alle analisi ed agli allarmi dell’illustre psicoanalista l’interessante intervista di Rinaldo Gianola al professor Giulio Sapelli della Università Statale di Milano. Titolo dell’intervista, pubblicata sul quotidiano l’Unità: «Non ci sono innocenti davanti al neoliberismo e ai suoi disastri sociali», che di seguito trascrivo in parte. Contestava il grande Aleksandr Isaevic Solženicyn (1918 – 2008) a chi esultava ciecamente alla caduta del muro di Berlino: Anche se l’ideale mondano del comunismo e del socialismo è crollato, i problemi che esso proclamava di voler risolvere sono rimasti: la sfacciata prevaricazione sociale e lo smodato potere del denaro, che spesso dirige il corso degli eventi. Un profeta, come tanti altri, ché, per dirla con le parole di Michael Hardt e Antonio Negri – sull’ultimo numero 8/2011 della rivista MicroMega pag. 23 –, L’accumulazione capitalistica è ormai organizzata in termini finanziari, il capitale sfrutta una ricchezza socialmente prodotta e la capta prevalentemente nella forma di rendite finanziarie. Così, sempre più drammaticamente nella nostra epoca, la natura sociale della produzione confligge con la natura privata dell’accumulazione capitalistica. Un ritorno alla sola, vera natura dei problemi sociali di sempre, dopo un’ubriacatura di crudo e feroce liberismo.
«Lei vorrebbe parlare della crisi del capitalismo? Ma sta scherzando? Se lo facciamo in questo Paese ci mettono in galera».
(…). Professor Sapelli, anche il Financial Times è preoccupato per le condizioni del capitalismo. Magari è morto e nessuno ci ha avvertito? «Distinguiamo. Il capitalismo neoliberista è fallito, non ci sono dubbi. Il capitalismo tout-court non ancora. Vedremo».
Un requiem per il neoliberismo? «Sicuramente, anche se molti continuano a far finta di niente. Il capitalismo neoliberista si è dimostrato incapace di procurare sviluppo e benessere. Nei paesi dell’Ocse si contano 250 milioni di disoccupati di cui almeno 60-70 milioni sono disoccupati strutturali, destinati a restare senza lavoro per sempre. È una cosa che fa tremare i polsi perché parliamo di paesi con sistemi politici democratici ed economie avanzate. Oggi misuriamo il fallimento neoliberista. Un secolo dopo dobbiamo rendere omaggio a Rudolf Hilferding che nel suo Il capitale finanziario immaginava la prevalenza della finanza sul capitalismo industriale, anche se veniva svillaneggiato da Lenin e Plekhanov».
Oggi siamo in mezzo ai guai per il neoliberismo… «Certo. Il neoliberismo si è presentato come un megacapitalismo con qualche cosa in più e di peggio: un nichilismo morale di massa che ha alimentato l’ingiustizia, la diseguaglianza sociale».
Data di nascita del capitalismo neoliberista e principali sostenitori-responsabili? «L’anno è il 1989. Il neoliberismo inizia quando la Securities exchange commission (Sec), la Consob americana, autorizza la libera contrattazione sul mercato dei prodotti derivati, di finanza strutturata. È la svolta, assieme alla nuova disciplina delle banche d’affari e commerciali. Anche in Italia c’è un segnale forte con Amato e Ciampi che mettono in soffitta la legge bancaria del 1936. Inizia la stagione del capitalismo deregolato».
Adesso fuori i nomi. «Ronald Reagan, la signora Thatcher. Ma storicamente è sbagliato pensare che il neoliberismo sia solo il prodotto di quella destra. La deregulation come ideologia di massa viene perfezionata e divulgata da Bill Clinton e da Romano Prodi. Nessuno può dirsi innocente davanti ai disastri del neoliberismo. (…).».
Il capitalismo ha ancora speranza? «Il suo futuro è incerto. Io spero in un capitalismo ben temperato, polifonico, che convive con imprese non capitalistiche il cui obiettivo non è massimizzare il profitto, ma garantire il lavoro, la collettività. Ho fiducia nella filosofia dell’impresa cooperativa, nella divisione delle ricchezze nelle piccole comunità».
Ma queste idee non maturano da sole. Ci vorrebbe la politica, non crede? «Certo. Ma guardiamo la realtà. Le classi politiche del mondo avanzato sono state conquistate o acquistate dal neoliberismo. (…).».
Allora siamo tutti morti, non c’è più alcuna speranza politica? «La politica tornerà, è questione di tempo. Credo nelle minoranze, nei piccoli gruppi. Ho fiducia nei movimenti sociali, anche in quelli che sono apparsi all’improvviso in America, nel mondo a contestare il capitalismo, le ingiustizie, l’arricchimento truffaldino. Ci sono alternative. Grandi paesi come il Canada e l’Australia non sono stati coinvolti nella crisi finanziaria perché hanno forti banche cooperative».
Da dove ripartire? «Dal basso, con umiltà, imparando dal passato, ascoltando anche gli insegnamenti delle religioni».
La religione? «Ha un ruolo decisivo. Il buddismo in Asia ha temperato il capitalismo. Potrebbe farlo anche il cattolicesimo, così come l’ebraismo ha avuto un’influenza positiva sull’ideologia dei kibbutz. E anche l’Islam: noi siamo preoccupati per la minaccia dell’integralismo, ma le banche islamiche sono istituzioni serie. Ricorda il famoso discorso di Togliatti a Bergamo? La religione è un potente afflato per la rivoluzione, il cambiamento sociale, la giustizia».
Se il capitalismo è così malmesso perché la sinistra non rialza la testa? «Perché la sinistra ha perso la sua autonomia culturale. Non propone più nulla, qualcuno scimmiotta il neoliberismo e pensa di apparire moderno. Papa Ratzinger dice cose più di sinistra di certi leader del Pd. La questione è culturale. Lo sa perché i signori del Financial Times discutono apertamente del capitalismo e dei suoi limiti?Sono preoccupatissimi di perdere potere e interessi. Sono pronti a tutto per resistere». (…).
(…). Professor Sapelli, anche il Financial Times è preoccupato per le condizioni del capitalismo. Magari è morto e nessuno ci ha avvertito? «Distinguiamo. Il capitalismo neoliberista è fallito, non ci sono dubbi. Il capitalismo tout-court non ancora. Vedremo».
Un requiem per il neoliberismo? «Sicuramente, anche se molti continuano a far finta di niente. Il capitalismo neoliberista si è dimostrato incapace di procurare sviluppo e benessere. Nei paesi dell’Ocse si contano 250 milioni di disoccupati di cui almeno 60-70 milioni sono disoccupati strutturali, destinati a restare senza lavoro per sempre. È una cosa che fa tremare i polsi perché parliamo di paesi con sistemi politici democratici ed economie avanzate. Oggi misuriamo il fallimento neoliberista. Un secolo dopo dobbiamo rendere omaggio a Rudolf Hilferding che nel suo Il capitale finanziario immaginava la prevalenza della finanza sul capitalismo industriale, anche se veniva svillaneggiato da Lenin e Plekhanov».
Oggi siamo in mezzo ai guai per il neoliberismo… «Certo. Il neoliberismo si è presentato come un megacapitalismo con qualche cosa in più e di peggio: un nichilismo morale di massa che ha alimentato l’ingiustizia, la diseguaglianza sociale».
Data di nascita del capitalismo neoliberista e principali sostenitori-responsabili? «L’anno è il 1989. Il neoliberismo inizia quando la Securities exchange commission (Sec), la Consob americana, autorizza la libera contrattazione sul mercato dei prodotti derivati, di finanza strutturata. È la svolta, assieme alla nuova disciplina delle banche d’affari e commerciali. Anche in Italia c’è un segnale forte con Amato e Ciampi che mettono in soffitta la legge bancaria del 1936. Inizia la stagione del capitalismo deregolato».
Adesso fuori i nomi. «Ronald Reagan, la signora Thatcher. Ma storicamente è sbagliato pensare che il neoliberismo sia solo il prodotto di quella destra. La deregulation come ideologia di massa viene perfezionata e divulgata da Bill Clinton e da Romano Prodi. Nessuno può dirsi innocente davanti ai disastri del neoliberismo. (…).».
Il capitalismo ha ancora speranza? «Il suo futuro è incerto. Io spero in un capitalismo ben temperato, polifonico, che convive con imprese non capitalistiche il cui obiettivo non è massimizzare il profitto, ma garantire il lavoro, la collettività. Ho fiducia nella filosofia dell’impresa cooperativa, nella divisione delle ricchezze nelle piccole comunità».
Ma queste idee non maturano da sole. Ci vorrebbe la politica, non crede? «Certo. Ma guardiamo la realtà. Le classi politiche del mondo avanzato sono state conquistate o acquistate dal neoliberismo. (…).».
Allora siamo tutti morti, non c’è più alcuna speranza politica? «La politica tornerà, è questione di tempo. Credo nelle minoranze, nei piccoli gruppi. Ho fiducia nei movimenti sociali, anche in quelli che sono apparsi all’improvviso in America, nel mondo a contestare il capitalismo, le ingiustizie, l’arricchimento truffaldino. Ci sono alternative. Grandi paesi come il Canada e l’Australia non sono stati coinvolti nella crisi finanziaria perché hanno forti banche cooperative».
Da dove ripartire? «Dal basso, con umiltà, imparando dal passato, ascoltando anche gli insegnamenti delle religioni».
La religione? «Ha un ruolo decisivo. Il buddismo in Asia ha temperato il capitalismo. Potrebbe farlo anche il cattolicesimo, così come l’ebraismo ha avuto un’influenza positiva sull’ideologia dei kibbutz. E anche l’Islam: noi siamo preoccupati per la minaccia dell’integralismo, ma le banche islamiche sono istituzioni serie. Ricorda il famoso discorso di Togliatti a Bergamo? La religione è un potente afflato per la rivoluzione, il cambiamento sociale, la giustizia».
Se il capitalismo è così malmesso perché la sinistra non rialza la testa? «Perché la sinistra ha perso la sua autonomia culturale. Non propone più nulla, qualcuno scimmiotta il neoliberismo e pensa di apparire moderno. Papa Ratzinger dice cose più di sinistra di certi leader del Pd. La questione è culturale. Lo sa perché i signori del Financial Times discutono apertamente del capitalismo e dei suoi limiti?Sono preoccupatissimi di perdere potere e interessi. Sono pronti a tutto per resistere». (…).
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