Da Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere (1832), tratto dalle Operette morali di Giacomo Leopardi:
Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
(…). Passeggere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore. Saranno vent’anni, illustrissimo.
Passeggere. A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.
Passeggere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore. Cotesto si sa.
Passeggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore. Cotesto non vorrei.
Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passeggere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.
Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Speriamo.
Passeggere. Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.
Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere. Ecco trenta soldi.
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.
Dialogo tra un venditore ambulante ed una bambina (marzo 2011), tratto da Le agende di Giacomo Papi, pubblicato sul supplemento D del quotidiano la Repubblica:
(…). Venditore: Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Agende, bussole, orologi, carte geografiche. Bisognano, signorina, agendine?
Bambina: No.
(…). Venditore: E a che cosa stai giocando, bambina?
Bambina: A un giuoco...
Venditore: Questo lo vedo da me. Che giuoco?
Bambina: Un giuoco del telefonino.
Venditore: Come ti chiami, bambina?
Bambina: Moda.
Venditore: Come?
Bambina: Moooda!
Venditore: Che nome strano! E la tua mamma come si chiama?
Bambina: Uffa! Morte. Come quella che mi fai venire tu che mi fai anche perdere la partita. (…). Venditore: Scusami, Moda, posso farmi perdonare con un regalo?
Bambina: Che cosa?
Venditore: La vuoi un'agendina?
Bambina: C'è già dentro il mio telefono.
Venditore: Ma questa è diversa.
Bambina: Sì. È peggiore. Ci stanno pochi nomi, si riempie di cancellature, l'ordine alfabetico è approssimativo, mentre il mio software mi mette tutti i nomi che voglio e in ordine perfetto. E poi c'è un'altra cosa... con i telefonini non serve più imparare i numeri a memoria...
Venditore: Vero, pensa che mi ricordo ancora il mio numero di quando ero piccolo 599560 e quello del mio compagno di banco 588968...
Bambina: Tu lo sai, signore, perché i numeri si dicono in fila e non come numero intero? Se uno ha il 3398441628, perché non dice 3 miliardi 398 milioni 441mila 628?
Venditore: Non lo so! Però quando cambi agenda e riscrivi i tuoi indirizzi, fai un bilancio su quelli che sono rimasti amici e quelli che non lo sono più...
Bambina: Sai che bellezza, una volta ho visto un film - era di Jules Les Jour, credo - dove c'era un vecchio che riscriveva l'agenda e a ogni nome ricordava la sua vita e alla fine capiva che non era servita a niente, così alla zeta si sparava un colpo alla tempia.
Venditore: E una bussola la vuoi?
Bambina: Nel telefono c'è.
Venditore: Un diario?
Bambina: Anche.
Venditore: Vuoi questa bellissima mappa della città dove stiamo andando?
Bambina: Qui nel mio telefono c'è la mappa via satellite di tutto il mondo e mi dice anche dove mi trovo io in qualsiasi momento...
Venditore: Allora ti regalo un orologio. Sei contenta?
Bambina: Tze, figurarsi se non c'è l'orologio nel telefono.
Venditore: Giochiamo a tris, vuoi? A scacchi, dama, battaglia navale?
Bambina: C'è tutto nel telefono. (…).
Venditore: E una caramella la vuoi, stronzetta?
Almanacchi, agende, agendine, calendari, per non dire dei calendarietti profumati che venivano regalati nei negozi dei barbieri. Su di essi, su quei calendarietti, dall’odore accattivante e con le immagini delle donnine allegre del tempo, si avviava a compimento, con sguardi vogliosi e furtivi su di quelle paginette, l’educazione sentimentale dei giovani di allora. Io continuo ad usare le agende, come un tempo. Quelle di carta. Poiché la carta, con la quale son fatte, conferisce ad esse una fisicità sconosciuta alle agende elettroniche di moda. Diventano compagne discrete per un anno intero. Ci si illude, con esse, di registrare e mettere al giusto posto le piccolezze, e non solo, della nostra vita. Ci si illude che la grafia stesa su di esse abbia il potere di scacciare l’imprevedibilità della vita stessa. Un’illusione, appunto. Poiché la vita scorre per conto suo, siano stati o meno registrati gli appuntamenti e le ricorrenze che essa ci riserva. Affidiamo, o affidavamo una volta almeno ad esse, piccoli frammenti della nostra vita, e ci impegniamo a registrarli per imprigionarli per sempre, sottraendoli così alla impietosa casualità delle nostre esistenze.
Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
(…). Passeggere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore. Saranno vent’anni, illustrissimo.
Passeggere. A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.
Passeggere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore. Cotesto si sa.
Passeggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore. Cotesto non vorrei.
Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passeggere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.
Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Speriamo.
Passeggere. Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.
Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere. Ecco trenta soldi.
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.
Dialogo tra un venditore ambulante ed una bambina (marzo 2011), tratto da Le agende di Giacomo Papi, pubblicato sul supplemento D del quotidiano la Repubblica:
(…). Venditore: Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Agende, bussole, orologi, carte geografiche. Bisognano, signorina, agendine?
Bambina: No.
(…). Venditore: E a che cosa stai giocando, bambina?
Bambina: A un giuoco...
Venditore: Questo lo vedo da me. Che giuoco?
Bambina: Un giuoco del telefonino.
Venditore: Come ti chiami, bambina?
Bambina: Moda.
Venditore: Come?
Bambina: Moooda!
Venditore: Che nome strano! E la tua mamma come si chiama?
Bambina: Uffa! Morte. Come quella che mi fai venire tu che mi fai anche perdere la partita. (…). Venditore: Scusami, Moda, posso farmi perdonare con un regalo?
Bambina: Che cosa?
Venditore: La vuoi un'agendina?
Bambina: C'è già dentro il mio telefono.
Venditore: Ma questa è diversa.
Bambina: Sì. È peggiore. Ci stanno pochi nomi, si riempie di cancellature, l'ordine alfabetico è approssimativo, mentre il mio software mi mette tutti i nomi che voglio e in ordine perfetto. E poi c'è un'altra cosa... con i telefonini non serve più imparare i numeri a memoria...
Venditore: Vero, pensa che mi ricordo ancora il mio numero di quando ero piccolo 599560 e quello del mio compagno di banco 588968...
Bambina: Tu lo sai, signore, perché i numeri si dicono in fila e non come numero intero? Se uno ha il 3398441628, perché non dice 3 miliardi 398 milioni 441mila 628?
Venditore: Non lo so! Però quando cambi agenda e riscrivi i tuoi indirizzi, fai un bilancio su quelli che sono rimasti amici e quelli che non lo sono più...
Bambina: Sai che bellezza, una volta ho visto un film - era di Jules Les Jour, credo - dove c'era un vecchio che riscriveva l'agenda e a ogni nome ricordava la sua vita e alla fine capiva che non era servita a niente, così alla zeta si sparava un colpo alla tempia.
Venditore: E una bussola la vuoi?
Bambina: Nel telefono c'è.
Venditore: Un diario?
Bambina: Anche.
Venditore: Vuoi questa bellissima mappa della città dove stiamo andando?
Bambina: Qui nel mio telefono c'è la mappa via satellite di tutto il mondo e mi dice anche dove mi trovo io in qualsiasi momento...
Venditore: Allora ti regalo un orologio. Sei contenta?
Bambina: Tze, figurarsi se non c'è l'orologio nel telefono.
Venditore: Giochiamo a tris, vuoi? A scacchi, dama, battaglia navale?
Bambina: C'è tutto nel telefono. (…).
Venditore: E una caramella la vuoi, stronzetta?
Almanacchi, agende, agendine, calendari, per non dire dei calendarietti profumati che venivano regalati nei negozi dei barbieri. Su di essi, su quei calendarietti, dall’odore accattivante e con le immagini delle donnine allegre del tempo, si avviava a compimento, con sguardi vogliosi e furtivi su di quelle paginette, l’educazione sentimentale dei giovani di allora. Io continuo ad usare le agende, come un tempo. Quelle di carta. Poiché la carta, con la quale son fatte, conferisce ad esse una fisicità sconosciuta alle agende elettroniche di moda. Diventano compagne discrete per un anno intero. Ci si illude, con esse, di registrare e mettere al giusto posto le piccolezze, e non solo, della nostra vita. Ci si illude che la grafia stesa su di esse abbia il potere di scacciare l’imprevedibilità della vita stessa. Un’illusione, appunto. Poiché la vita scorre per conto suo, siano stati o meno registrati gli appuntamenti e le ricorrenze che essa ci riserva. Affidiamo, o affidavamo una volta almeno ad esse, piccoli frammenti della nostra vita, e ci impegniamo a registrarli per imprigionarli per sempre, sottraendoli così alla impietosa casualità delle nostre esistenze.
Come siamo diventati Str.....tti! Buon 2012, Aldo Ettore. Affettuosamente. Franca.
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