Come è stato possibile? Perché dio lo ha permesso? Quale dio? Quante volte abbiamo sentito porre o abbiamo posto quegli interrogativi? Come se rimandare il tutto alla disattenzione di un dio qualsivoglia ci scaricasse delle nostre responsabilità di umani. Ha scritto il professor Umberto Galimberti nel Suo La negazione del 6 di marzo dell’anno 2010: - Scrive Stanley Cohen: - È un modo per mantenere segreta a noi stessi la verità che non abbiamo il coraggio di affrontare - (…) La negazione consiste nel non percepire quel che si vede. (…). L'autore ricorda che negli anni Cinquanta, quando aveva dodici anni e viveva a Johannesburg in Sudafrica, una notte d'inverno, mentre scivolava nel suo letto riscaldato con lenzuola di flanella e piumino ben imbottito, prese a riflettere perché lui era dentro al caldo e invece un nero adulto (…) fosse fuori al freddo, strofinandosi le mani per riscaldarsi, con il bavero del cappotto rialzato. L'indomani chiese alla madre quale fosse il paese d'origine di quell'uomo nero, dove fossero sua moglie e i suoi figli, e soprattutto perché dormiva fuori al freddo. La risposta della madre fu che Stanley, il suo bambino, era troppo sensibile. La cosa finì lì. Ma qualche anno dopo, il ricordo riemerse, e Stanley, ormai studente di sociologia a Oxford, incominciò a chiedersi: - Ma i miei genitori vedevano quello che io vedevo o vivevano in un altro universo percettivo, dove spesso gli orrori dell'apartheid erano invisibili, e la presenza fisica della gente di colore sfuggiva alla loro consapevolezza? Oppure vedevano esattamente ciò che vedevo io, ma semplicemente non gliene importava nulla o non ci trovavano niente di sbagliato? -. (…). Quale meccanismo induce la gente a negare come se non sapesse quello che sa? Non c'è in questo mancato riconoscimento, che è l'esatto contrario della negazione, la prima radice, e se vogliamo la più profonda, dell'immoralità collettiva? Ogni tanto fa capolino la tentazione della negazione dei crimini contro gli ebrei. Contro l’umanità. È una tentazione comoda, che restituisce sicurezza. Quella tentazione potrebbe un giorno essere messa in atto per gli atti compiuti verso altri gruppi sociali, etnici, poiché la violenza del legno storto che è l’uomo non ha confini né regole che siano. Ché il giorno della memoria aiuti a scacciare quella ricorrente tentazione. Ha lasciato scritto, in un cartiglio ritrovato ad Auschwitz, l’ebreo polacco Salmen Gradowski: - Caro scopritore futuro di queste righe, ti prego, cerca dappertutto, in ogni centimetro di terreno qui dove noi fummo. Qui troverai tanti documenti, ti diranno quanto è accaduto qui, tramanda tracce di noi milioni di morti al mondo che verrà dopo -. Di seguito ho trascritto il testo de’ La stella d’oro (sul link è possibile ascoltare il brano) del musicista Herbert Pagani.
Quando esisteva ancora un dio
il nonno di un bisnonno mio
di professione contadino
tirava avanti con fatica
un campicello da formica
tre zolle al fuoco del mattino
ed era un uomo calmo e pio
che divideva l’esistenza
tra la famiglia ed il suo dio
e non aveva che un tesoro
una stella d’oro.
Un giorno che era lì a zappare
vide degli uomini arrivare
in una nuvola di guerra
-Volete acqua?- domandò
quelli risposero -Ma no
quello che vogliamo è la tua terra-
Ma questa poca terra è mia
quelli risposero -Va via-
lui prese il libro del signore
la moglie i figli e il suo tesoro
la sua stella d’oro.
E camminando attraversò
la notte dell’eternità
chiedendo terra da zappare
-Datemi anche una palude
ed io con queste mani nude
ve la saprò bonificare-
-Va via straniero o passi un guaio
se vuoi restare l’usuraio
è tutto quello che puoi fare
tanto sei ricco d’un tesoro
la tua stella d’oro.-
Rimasto senza campicello
si disse -Ho solo il mio cervello
e quello devo coltivare-
divenne scriba e poi dottore
poi violinista e professore
ed Archimede nucleare
-Ma quanti sono santo iddio
come ti volti c’è un giudìo
come bollare questa peste
gli cuciremo su la sua veste
la sua stella d’oro.-
E cominciò una grande caccia
e mille cani su ogni traccia
e fu la fiera del terrore
braccati in casa e per le strade
erano facili le prede
con quella stella sopra il cuore
e il nostro vecchio contadino
perdette tutto in un mattino
moglie figli cuore e testa
e disse -Adesso non mi resta
che la mia stella d’oro.-
Allora corse verso il mare
lo attraversò per ritrovare
la terra che era stata sua
-Signore la vorrei comprare-
-Le dune qui costano care-
-Ma gliela pago-
-Allora è tua-
Piccola vanga nel deserto
quando un sparo all’orizzonte
attraversò lo spazio aperto
lui cadde in terra e sulla fronte
una stella d’oro.
Quando esisteva ancora un dio
il nonno di un bisnonno mio
di professione contadino
tirava avanti con fatica
un campicello da formica
tre zolle al fuoco del mattino
ed era un uomo calmo e pio
che divideva l’esistenza
tra la famiglia ed il suo dio
e non aveva che un tesoro
una stella d’oro.
Un giorno che era lì a zappare
vide degli uomini arrivare
in una nuvola di guerra
-Volete acqua?- domandò
quelli risposero -Ma no
quello che vogliamo è la tua terra-
Ma questa poca terra è mia
quelli risposero -Va via-
lui prese il libro del signore
la moglie i figli e il suo tesoro
la sua stella d’oro.
E camminando attraversò
la notte dell’eternità
chiedendo terra da zappare
-Datemi anche una palude
ed io con queste mani nude
ve la saprò bonificare-
-Va via straniero o passi un guaio
se vuoi restare l’usuraio
è tutto quello che puoi fare
tanto sei ricco d’un tesoro
la tua stella d’oro.-
Rimasto senza campicello
si disse -Ho solo il mio cervello
e quello devo coltivare-
divenne scriba e poi dottore
poi violinista e professore
ed Archimede nucleare
-Ma quanti sono santo iddio
come ti volti c’è un giudìo
come bollare questa peste
gli cuciremo su la sua veste
la sua stella d’oro.-
E cominciò una grande caccia
e mille cani su ogni traccia
e fu la fiera del terrore
braccati in casa e per le strade
erano facili le prede
con quella stella sopra il cuore
e il nostro vecchio contadino
perdette tutto in un mattino
moglie figli cuore e testa
e disse -Adesso non mi resta
che la mia stella d’oro.-
Allora corse verso il mare
lo attraversò per ritrovare
la terra che era stata sua
-Signore la vorrei comprare-
-Le dune qui costano care-
-Ma gliela pago-
-Allora è tua-
Piccola vanga nel deserto
quando un sparo all’orizzonte
attraversò lo spazio aperto
lui cadde in terra e sulla fronte
una stella d’oro.
La stella d' oro! Un simbolo solare, diventato un marchio d' infamia. Ciao, Ettore.
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