"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 1 gennaio 2013

Cosecosì. 37 Buon Anno (a chi?).



Ricevo dalla carissima Carolina Benincasa, e posto di seguito, una lirica. Non sfuggirà ai più la superficialità che oggigiorno connota i rapporti umani. Le cause di essa? Le sue origini? È una superficialità propria dei tempi, ché gli altri tempi ne abbiano avuta una ben diversa, viene quasi spontaneo da chiedersi. Fatico a dare una risposta. E mi vien difficile rifugiarmi nel sempre frequente ed avvilente dire “ai miei tempi”, che non dice nulla, ignora il problema e glissa che è una meraviglia. È la superficialità del vivere, forse. E la risposta la si potrebbe trovare – forse - nella “fatica” che è il vivere stesso. E la spaventevole superficialità della “fatica” del vivere è il tema della lirica che segue; ne affiora prepotente ad ogni passo, ne è  tema di denuncia, denuncia che si rinnova e si reitera senza che da essa possa scaturirne la speranza per un diverso modo di “essere”.

A coloro che puntualmente sprecano denaro pubblico in luminarie buttate giù dal noto “zefiro”, restituendo alla lux dei lampioni ferruginosi un centro che attende di diventare umano?
Ai rivenditori che, incamerati  introiti extra “rivestono” del  solito grigiore  le  vetrine?
Agli ideali di umanità azzerati alle 0,00 del primo gennaio come un contachilometri di una    utilitaria sgangherata e d’occasione?
A chi lascia l’asfalto con i “soliti” rattoppi, gli intonaci cadenti e sbocconcellati per sottolineare eterne indifferenze?
A quel manipolo di gaudenti e pasciuti per le abboffate festaiole e doverose, che ridiventano - deposte le toilette – i soliti monsieur e madamin travet – anche per retaggi genetici – al servizio del solito padrone a testa bassa e senza dignità?
A coloro che  brontolano  su  tutto, senza  trovare  il  coraggio di  modificare  alcunché?
Agli inamovibili nuclei familiari che - giganti dai piedi di argilla – stanno su  per  prosaici  motivi   economici, illudendosi che nessuno sa di una disarmonia nota a tutti?
Agli incantesimi infranti di una favola vissuta con epidermico entusiasmo?
Ai sorrisi stirati con le mollette, ai baci umidi e mollicci dati in tandem al “verso”: Auguri, Felicità?
Alla mediocrità endemica che, prepotente, emerge dal luccichio di strass con il “Bla Bla” formale ed allegrotto riesumati ed entrambi destinati allo sfoggio di  sentimenti mai esistiti ?
A chi degli animali fa oggetto di sadica violenza o crudele indifferenza, abbandonandoli per non   variare il “profumo” degli   ambienti (in inverno) o di noiose appendici (in estate)?
A coloro che gestiscono il trascendentale (i Preti) circondandosi di politici dalle estrazioni    diverse, nella speranza di aver favori ma negando gesti umanitari che non gratificano il  protagonismo  ?
Ad una società che – come in passato -  presenterà le tare di sempre?
O   Buon   Anno
A coloro che, dicendo no ai falsi doverismi ed alla ipocrisia, buttan giù giganti dai  piedi di argilla?
A chi sa donare la vera amicizia senza imporre la parvenza di essa, per chetare una coscienza   pregna di torti, soffocati per non impazzire?
A chi non cerca affetti pro-tempore per soddisfare futili desideri di affermazioni del proprio ego?
A quei rarissimi genitori che, in nome di una sensibilità vissuta, arricchisce il quotidiano donando esempi di rispetto verso se stessi e  del prossimo, ai propri  rampolli?
A coloro che, per dovere o scelta umanitaria, trascorrono  il  periodo  festaiolo, fra ammalati,  anziani o  persone  sole, ma, donando  affetto?
A chi avanti negli anni, intuisce che, forse, sarà l’ultimo?
A  coloro  che   vivono   l’esigenza  di  realizzare  attività  sociali senza trionfalismi,  nel credo di    lenire ferite inferte dall’indifferenza altrui?
A chi crede nel proprio impegno culturale e politico, sinonimo di altruismo e maturità interiore e, con  costanza continua  - indefesso  -  l’inevitabile lotta di sempre?
A chi,  giorno dopo giorno,  spera di accrescere la propria spiritualità - in verità - senza etichette o credi occasionali o - peggio - senza imporre sofferenze gratuite ed inutili a coloro che conoscono   solitudini ben più gravi e più  profonde?
Buon anno a  chi svolge il proprio lavoro – day after day – senza servilismo o viscida umiltà ma  con  dignità?
Buon  Anno  a  chi   ingoia  ogni  mattina  un  caffè  sempre   più  amaro?

mercoledì 26 dicembre 2012

Doveravatetutti. 7 Il ritorno dell’illusionista.



Ha scritto Giovanni Valentini – la Repubblica del 15 di dicembre, “L’ultimo revival dell’illusionista” -: (…). Ora Pierferdinando Casini scopre che l'illusionista è in uno "stato confusionale". Ma da quanto tempo è così? E dov'era Casini all'inizio della malattia? Dov'erano tutti gli altri, amici, sodali, cortigiani, quando la degenerazione era ormai in atto? Oggi fa quasi impressione ascoltare dalla loro viva voce che tanti ex berluscones non lo sopportano più, lo detestano, anzi lo "odiano". L'infatuazione è finita, l'incantesimo s'è rotto. La Sindrome di Arcore finalmente è superata. Ma quanti danni nel frattempo sono stati prodotti all'Italia, anche con la complicità di chi non voleva vedere né sentire; quanti errori sono stati commessi; quante occasioni e quante opportunità sono state perse; quante risorse sono state sprecate. (…). Ed ancora oltre, in quel pregevole pezzo: "Ma chi è questo B?", si chiede adesso con malcelato sarcasmo Roberto Maroni, l'erede del senatùr alla guida del Carroccio, dopo aver fatto più volte il ministro del misterioso personaggio in questione. Già, Mister X: un nome impronunciabile, una figura da rimuovere, un incubo da dimenticare. Ma anche la Lega è correa del misfatto, alleata e complice per vent'anni del "signor B". (…). Due citazioni che rendono ancor degna ed accettabile l’esistenza di questa rubrichetta da quattro soldi. La rubrichetta del “doveravatetutti”, allora… Con quella che voleva pur essere una domanda, la più perfida che si possa immaginare. E che abbisognerebbe di risposte. Ma di risposte non ce ne sono. E non ce ne saranno. Mai. E poi mai. Non rientra nello stile, nei canoni della gente del bel paese avventurarsi sulle impervia strade delle domande. Ché, per dirla con una famosissima battuta cinematografica, è pur vero che le domande rendono saggi, ma le risposte rendono umani. Manca l’umanità al nostro tempo, per l’appunto. L’umanità che è mancata anche al natale appena passato. Ed ora che il natale ha preso la sua via, allontanandosi con il suo diluvio d’inutile bontà, anzi di inutile buonismo dispensato a buon prezzo, non ci resta che confrontarci con la squallida e perigliosa realtà dei nostri giorni. Ché tali rimangono, cadute le ultime illusioni. Ovvero, l’illusione d’avere messo da parte cialtronerie e cialtroni e quant’altro afferisca alla turpe pratica dell’illusionismo collettivo. E forse di un ritorno non sarebbe il caso proprio di parlare. Ché poi è stato sempre lì, ben acquattato dietro le quinte di quel teatrino della politica che tanto, a suo dire, aborre. Ma che non pensa di abbandonare. È che questo natale ci ha portato anche la prima ricorrenza, tristissima, della dipartita di un testimone dei nostri tempi, di quel Giorgio Bocca l’assenza del quale rende ancor più difficili i giorni nostri. Scriveva quel testimone attento – il Venerdì di Repubblica del 28 di gennaio dell’anno 2011, “Il turpe spettacolo che dà il sultano sul viale del tramonto” -: “Nei giorni del suo tramonto, il Cavaliere continua a dispensarci i suoi detti e motti di vanità e di stoltezza. In un suo messaggio alla nazione ha detto: “Fra le quattro mura di casa, nel suo privato, ciascuno può dire e fare quello che vuole”. L’esatto contrario della morale kantiana dell’uomo solo di fronte agli imperativi della sua coscienza. Ecco la morale degli uomini che fanno e non pensano: occhio non vede cuore non duole. Nei giorni del suo tramonto il sultano dà il peggio di sé. “Mi diverto un mondo” ha detto, “non me ne vado”. E, per rammentare ai suoi accusatori la sua umana generosità, ha ricordato di aver aiutato il gran ruffiano di corte che gli forniva le donne da conio. Se c’è un peccatore di cui i moralisti dovrebbero ricordarsi per la tristezza della lussuria è proprio lui. Si sa che le orge sono le manifestazioni più vergognose dell’umanità, quelle in cui si perde ogni rispetto di sé e degli altri, in cui ci si abbandona al turpe e al ridicolo. L’idea che erano il solo modo di svagarsi che il nostro avesse dopo una giornata di duro governo è deprimente. Al sultano in disgrazia i nemici, ma anche gli amici, consigliano “un passo indietro”, che nel linguaggio della politica significa scappa, ritirati se vuoi evitare il peggio. Ma lui digrigna i denti, dice che non mollerà mai il potere, promette danni e lutti e sale al Quirinale, dice al capo dello Stato di essere ingiustamente calunniato, accusa l’intera magistratura di complotto ai suoi danni, prima di lui Tiberio aveva avuto l’accortezza di far sparire i testimoni dalle rupi di Capri. Ma lui è buono, se li è tenuti tutti attorno e ora racconta per filo e per segno ai sudditi sbalorditi di quali vergogne fosse al centro. La stampa al suo servizio continua a difenderlo con l’unico risultato che vengono fuori le debolezze e i vizi pubblici, la generale acquiescenza al potere, la viltà di fronte alle sue minacce. Se si pensa al regime fascista, alla dittatura mussoliniana si fa un confronto umiliante per il presente: il dittatore fascista era attento alla sua immagine di amico del popolo, era di vita privata modesta, di peccati nascosti. Si dirà che nel regime fascista si rubava poco perché c’era poco da rubare e che l’attuale abbondanza è una delle ragioni della corruzione generale, ma anche nella dittatura alcuni ritegni, alcune vergogne, alcuni timori di una punizione restavano. Con il Cavaliere siamo scesi al fondo e ci vorranno anni, decenni per risalirne”. Cadono così le illusioni. Tutte. Mi pare di rendere così un omaggio, in questo sempre più svogliato natale, alla carissima memoria di quel testimone, nell’indifferenza generale di quanti non amano proprio che si pongano domande del tipo “doveravatetutti” quando Giorgio così scriveva. O che forse disturbava proprio per quella Sua scrittura diretta e spigolosa, come il Suo carattere di resistente, d’intrepido montanaro.

mercoledì 19 dicembre 2012

Cosecosì. 36 Quando il Natale era un’orgia consumista.



Quando il Natale era un’orgia consumista. Mi viene da scrivere al passato. Che non lo sia più un’orgia consumista? Auspicabile. Però, come si suol dire, “i casi della vita”: “L’idolatria del Natale contemporaneo è bel altra cosa dalle sue origini pagane. Fa prevalere l’arroganza di chi ha rispetto a chi non ha, il misurarsi sulla quantità dei doni” . È che me ne sono ricordato, di quella intervista ad Enzo Bianchi priore di Bose, concessa a Gad Lerner il 24 di dicembre dell’anno 2010 e pubblicata sul settimanale il Venerdì di Repubblica, dopo aver ascoltato per televisione l’ultima intemerata del capo della chiesa di Roma. Come sempre giunge tardi, l’intemerata intendo dire. Fuori tempo massimo. Pronunciata quella, prima di eccellere nell’arte del magistero etero-diretto con l’intemerata pronunciata contro le sessualità diversamente vissute che metterebbero a rischio la pace planetaria. Trasecolo. In quella intemerata, pronunciata con notevole ritardo rispetto ai tempi della umana storia, che è certamente diversa e diversamente scandita rispetto alla storia pensata e vissuta dalla chiesa di Roma, il capo di quella chiesa declama l’orrore suo per la mercificazione della imminente festività natalizia. Sic! Per l’imminente, a suo dire, orgia consumista che stravolgerebbe il senso cristiano della festa. Desta impressione per tanto tempismo. È che a cancellare l’imminente paventata orgia consumista ci ha pensato la “crisi” che da un lustro almeno striglia convenientemente le famiglie spingendole a più consapevoli comportamenti. E le tasse e le gabelle imposte pure. E la mancanza di lavoro per milioni di persone pure . E l’incertezza di un futuro più nero che mai pure. Di tutto ciò al capo della chiesa di Roma non sarà giunta notizia alcuna. È che nel magistero etero-diretto qualche intoppo avrà creato un possibile “baco” nel fluire della spirituale ispirazione dall’alto. Non desta impressione la discrepanza temporale nell’azione del magistero dei capi della chiesa di Roma. Ne è una costante. Ne è la cifra che la rende riconoscibilissima. La pratica sanguinosa dell’inquisizione, l’uso smodato delle armi benedette nelle crociate, il rogo di Giordano Bruno, l’isolamento della mente eccelsa dello scienziato Galileo, e di quant’altri ancora finiti nell’abbraccio delle sue amorevoli cure, stanno lì a dimostrare come quel magistero etero-diretto a flussi incostanti sia solamente il frutto di una preoccupazione eminentemente temporale che non accoglie la trascendenza come riferimento primo della azione pastorale tra gli uomini. La non dimenticata intervista rilasciata da Enzo Bianchi – che di seguito trascrivo in parte - sta lì a dimostrare la caparbia arretratezza di un magistero che si rinchiude tetragono alle novità che il mondo che sta “fuori” prospetta e aspetta siano ascoltate se non amorevolmente accolte senza l’attesa di un pentimento che verrà dopo, ma molto tempo dopo.

(…). “Che male c’è se il Natale è festa accogliente per i pagani?”, mi sorride con gli occhi furbi da contadino il priore di Bose. “Non ce lo insegna pure l’Antico Testamento? Nel Tempio di Gerusalemme i sacerdoti avevano pensato il cortile dei goyim, cioè un luogo adibito a ricevervi i non ebrei. Ed era uno spazio più grande di quello riservato a Israele nel Tempio”.
Dunque tu immagini un Natale rivolto ai pagani? “A tutte le genti, direi meglio. Mio padre, che non era cristiano e che avversò a lungo la mia scelta monacale, è ancora lì che mi ammonisce a non giudicare mai le persone suddividendole fra credenti e non credenti. Lottare contro gli idoli che disumanizzano e alienano la relazione con gli altri è un’esperienza che ci accomuna ben oltre affiliazioni schematiche”.
Ma chi dovremmo festeggiare la notte del 24 dicembre? Un poco verosimile Dio bambino? “Gesù è nato uomo, completamente uomo. Egli giungerà a raccontarci Dio ma attraverso il suo percorso di vita umana. La sua testimonianza è straordinaria grazie, per l’appunto, alla sua straordinaria umanità. Dunque chi deifica Gesù sulla terra commette un errore, lo deifica troppo presto”.
Ciò che dici conforta il mio punto di vista ebraico, così come mi è piaciuta nel libro la tua definizione dell’”uomo Gesù che ha raccontato Dio”. Ciò consente di recepire senza pregiudizi il suo messaggio, come messaggio di un profeta ebreo… “Gesù era uomo, totalmente uomo, e questo in effetti si può dire anche degli altri profeti, da Isaia a Ezechiele. Perché no?”.
Ma allora che senso ha adorare Gesù come incarnazione divina? Io non provo questa necessità di un Dio che si faccia uomo come precondizione a instaurare una relazione intensa con Lui. “Perché abbisogna pensare un Dio che si faccia uomo, attraverso Gesù? Forse ti stupirò, ma accetto questa tua obiezione. Non abbisogna necessariamente. Tanto è vero che la fede ebraica si è mantenuta, il cristianesimo non l’ha annullata. Noi cristiani proviamo la necessità di alzare il velo sulla relazione misteriosa che congiunge l’uomo a Dio, e raccontarci Dio attraverso l’esperienza medesima della carne umana. Ma non è vero che senza Cristo, cade Dio”.
Riconosci quindi il Natale come festa intrisa di reminiscenze pagane? “Lo riconosco senza esserne turbato, perché il Natale è la nostra festa che meglio dimostra l’inculturazione della cultura cristiana. Ciò sarebbe impensabile nella Pasqua, che celebra il mistero della morte e resurrezione tanto più difficile da accettare, eppure decisivo. Mentre la nascita di un bambino, ne converrai, è sempre motivo di festa per tutti. Il Natale ha una portata antropologica molto forte, non a caso, soprattutto in Occidente”.
Anche perché vi ricomprende le tradizioni pre-cristiane, vero? “Certo, pensalo nel nostro Monferrato cosa significa, appena superato il solstizio d’inverno, celebrare la vittoria del sole sulla notte, la luce, le giornate che ricominciano a allungarsi. Ovvio che le luminarie di Natale precedono il cristianesimo, perché precedente è il bisogno di vincere il buio. Anche l’impiego del vischio, quando la terra è congelata, era già un’abitudine celtica da noi ereditata. Nel momento più duro dell’anno naturale la famiglia si raccoglie e per contrasto festeggia, si consola scambiandosi doni. In questo senso il Natale è più antropologico, mentre a Pasqua la storia prevale sulla natura”.
Anche tu, però, nel libro, critichi “l’ideologia del Natale”. La tua indulgenza per i pagani non arriva a giustificare l’orgia consumistica contemporanea. “Un conto è il presepe, la capanna della natività che esercita un richiamo meraviglioso perfino su uomini sapienti che non avevano la fede nel Dio d’Israele: i magi. Penso a loro, capaci di una ricerca, di una lotta anti-idolatrica, di inseguire una speranza che abita tutta la storia umana…
Mi stai dicendo che si può essere pagani e anti-idolatri nello stesso tempo? “Ma certo, di nuovo è mio padre che me l’ha insegnato. C’è il giusto e l’ingiusto, mica il battezzato e il non battezzato. L’idolatria del Natale contemporaneo è bel altra cosa dalle sue origini pagane. Fa prevalere l’arroganza di chi ha rispetto a chi non ha, il misurarsi sulla quantità dei doni. Fino a rendere questo Natale invivibile alle persone sole, agli emarginati, ai più poveri. È assurdo, ma in questi giorni di una festa mal vissuta aumentano perfino i suicidi”.
Se ben capisco, devi ai pochi anni trascorsi con tua madre la fede cristiana che ha fatto di te uno studioso della Bibbia e il fondatore di una comunità monastica. “È così, ma se n’è andata troppo presto e quindi il suo impulso spirituale non sarebbe bastato senza l’apporto di Cocco e Etta, le due donne al tempo stesso pie e curiose, aperte, che si presero cura di me dopo la morte della mamma. Un commiato che aleggia in ciascuna delle mie notti, perché la camera da letto era unica nella nostra casa dignitosa ma povera; e io ricordo le sue crisi asmatiche, ogni volta col dubbio di risvegliarmi al mattino senza che lei ci fosse più. Sono passati più di sessant’anni ma tuttora non amo andare a letto, fatico a addormentarmi”.
Ricordi il Natale con tua madre? “Lo ricordo con gioia e lo perpetuo nella sua ferma volontà che la cena natalizia preveda diciassette portate, non una di meno! Bisognava che si facesse festa dello stare insieme. E siccome in famiglia eravamo solo tre mentre – come diceva la mamma - la tavola ha quattro lati, c’era sempre il posto per chi era rimasto vedovo da poco, o per il girovago delle nostre campagne. Proprio come fate voi ebrei nella cena pasquale, quando apparecchiate un coperto in più per il profeta Elia”.