Ha scritto Giovanni Valentini –
la Repubblica del 15 di dicembre, “L’ultimo
revival dell’illusionista” -: (…). Ora Pierferdinando Casini scopre che
l'illusionista è in uno "stato confusionale". Ma da quanto tempo è
così? E dov'era Casini all'inizio della malattia? Dov'erano tutti gli altri,
amici, sodali, cortigiani, quando la degenerazione era ormai in atto? Oggi fa
quasi impressione ascoltare dalla loro viva voce che tanti ex berluscones non
lo sopportano più, lo detestano, anzi lo "odiano". L'infatuazione è
finita, l'incantesimo s'è rotto. La Sindrome di Arcore finalmente è superata.
Ma quanti danni nel frattempo sono stati prodotti all'Italia, anche con la
complicità di chi non voleva vedere né sentire; quanti errori sono stati
commessi; quante occasioni e quante opportunità sono state perse; quante
risorse sono state sprecate. (…). Ed ancora oltre, in quel pregevole pezzo:
"Ma
chi è questo B?", si chiede adesso con malcelato sarcasmo Roberto Maroni,
l'erede del senatùr alla guida del Carroccio, dopo aver fatto più volte il
ministro del misterioso personaggio in questione. Già, Mister X: un nome
impronunciabile, una figura da rimuovere, un incubo da dimenticare. Ma anche la
Lega è correa del misfatto, alleata e complice per vent'anni del "signor
B". (…). Due citazioni che rendono ancor degna ed accettabile l’esistenza
di questa rubrichetta da quattro soldi. La rubrichetta del “doveravatetutti”,
allora… Con quella che voleva pur essere una domanda, la più perfida che si
possa immaginare. E che abbisognerebbe di risposte. Ma di risposte non ce ne
sono. E non ce ne saranno. Mai. E poi mai. Non rientra nello stile, nei canoni
della gente del bel paese avventurarsi sulle impervia strade delle domande. Ché,
per dirla con una famosissima battuta cinematografica, è pur vero che le
domande rendono saggi, ma le risposte rendono umani. Manca l’umanità al nostro
tempo, per l’appunto. L’umanità che è mancata anche al natale appena passato. Ed
ora che il natale ha preso la sua via, allontanandosi con il suo diluvio d’inutile
bontà, anzi di inutile buonismo dispensato a buon prezzo, non ci resta che
confrontarci con la squallida e perigliosa realtà dei nostri giorni. Ché tali
rimangono, cadute le ultime illusioni. Ovvero, l’illusione d’avere messo da
parte cialtronerie e cialtroni e quant’altro afferisca alla turpe pratica
dell’illusionismo collettivo. E forse di un ritorno non sarebbe il caso proprio
di parlare. Ché poi è stato sempre lì, ben acquattato dietro le quinte di quel
teatrino della politica che tanto, a suo dire, aborre. Ma che non pensa di
abbandonare. È che questo natale ci ha portato anche la prima ricorrenza,
tristissima, della dipartita di un testimone dei nostri tempi, di quel Giorgio
Bocca l’assenza del quale rende ancor più difficili i giorni nostri. Scriveva
quel testimone attento – il Venerdì di Repubblica del 28 di gennaio dell’anno
2011, “Il turpe spettacolo che dà il
sultano sul viale del tramonto” -: “Nei giorni del suo tramonto, il Cavaliere
continua a dispensarci i suoi detti e motti di vanità e di stoltezza. In un suo
messaggio alla nazione ha detto: “Fra le quattro mura di casa, nel suo privato,
ciascuno può dire e fare quello che vuole”. L’esatto contrario della morale
kantiana dell’uomo solo di fronte agli imperativi della sua coscienza. Ecco la
morale degli uomini che fanno e non pensano: occhio non vede cuore non duole.
Nei giorni del suo tramonto il sultano dà il peggio di sé. “Mi diverto un
mondo” ha detto, “non me ne vado”. E, per rammentare ai suoi accusatori la sua
umana generosità, ha ricordato di aver aiutato il gran ruffiano di corte che
gli forniva le donne da conio. Se c’è un peccatore di cui i moralisti
dovrebbero ricordarsi per la tristezza della lussuria è proprio lui. Si sa che
le orge sono le manifestazioni più vergognose dell’umanità, quelle in cui si
perde ogni rispetto di sé e degli altri, in cui ci si abbandona al turpe e al
ridicolo. L’idea che erano il solo modo di svagarsi che il nostro avesse dopo
una giornata di duro governo è deprimente. Al sultano in disgrazia i nemici, ma
anche gli amici, consigliano “un passo indietro”, che nel linguaggio della
politica significa scappa, ritirati se vuoi evitare il peggio. Ma lui digrigna
i denti, dice che non mollerà mai il potere, promette danni e lutti e sale al
Quirinale, dice al capo dello Stato di essere ingiustamente calunniato, accusa
l’intera magistratura di complotto ai suoi danni, prima di lui Tiberio aveva
avuto l’accortezza di far sparire i testimoni dalle rupi di Capri. Ma lui è
buono, se li è tenuti tutti attorno e ora racconta per filo e per segno ai
sudditi sbalorditi di quali vergogne fosse al centro. La stampa al suo servizio
continua a difenderlo con l’unico risultato che vengono fuori le debolezze e i
vizi pubblici, la generale acquiescenza al potere, la viltà di fronte alle sue
minacce. Se si pensa al regime fascista, alla dittatura mussoliniana si fa un
confronto umiliante per il presente: il dittatore fascista era attento alla sua
immagine di amico del popolo, era di vita privata modesta, di peccati nascosti.
Si dirà che nel regime fascista si rubava poco perché c’era poco da rubare e
che l’attuale abbondanza è una delle ragioni della corruzione generale, ma
anche nella dittatura alcuni ritegni, alcune vergogne, alcuni timori di una
punizione restavano. Con il Cavaliere siamo scesi al fondo e ci vorranno anni,
decenni per risalirne”. Cadono così le illusioni. Tutte. Mi pare di
rendere così un omaggio, in questo sempre più svogliato natale, alla carissima
memoria di quel testimone, nell’indifferenza generale di quanti non amano
proprio che si pongano domande del tipo “doveravatetutti” quando Giorgio così
scriveva. O che forse disturbava proprio per quella Sua scrittura diretta e
spigolosa, come il Suo carattere di resistente, d’intrepido montanaro.
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