Quando il Natale era un’orgia
consumista. Mi viene da scrivere al passato. Che non lo sia più un’orgia
consumista? Auspicabile. Però, come si suol dire, “i casi della vita”: “L’idolatria
del Natale contemporaneo è bel altra cosa dalle sue origini pagane. Fa
prevalere l’arroganza di chi ha rispetto a chi non ha, il misurarsi sulla
quantità dei doni” . È che me ne sono ricordato, di quella intervista
ad Enzo Bianchi priore di Bose, concessa a Gad Lerner il 24 di dicembre
dell’anno 2010 e pubblicata sul settimanale il Venerdì di Repubblica, dopo aver
ascoltato per televisione l’ultima intemerata del capo della chiesa di Roma.
Come sempre giunge tardi, l’intemerata intendo dire. Fuori tempo massimo. Pronunciata
quella, prima di eccellere nell’arte del magistero etero-diretto con
l’intemerata pronunciata contro le sessualità diversamente vissute che
metterebbero a rischio la pace planetaria. Trasecolo. In quella intemerata,
pronunciata con notevole ritardo rispetto ai tempi della umana storia, che è
certamente diversa e diversamente scandita rispetto alla storia pensata e
vissuta dalla chiesa di Roma, il capo di quella chiesa declama l’orrore suo per
la mercificazione della imminente festività natalizia. Sic! Per l’imminente, a
suo dire, orgia consumista che stravolgerebbe il senso cristiano della festa.
Desta impressione per tanto tempismo. È che a cancellare l’imminente paventata
orgia consumista ci ha pensato la “crisi” che da un lustro almeno
striglia convenientemente le famiglie spingendole a più consapevoli
comportamenti. E le tasse e le gabelle imposte pure. E la mancanza di lavoro
per milioni di persone pure . E l’incertezza di un futuro più nero che mai pure.
Di tutto ciò al capo della chiesa di Roma non sarà giunta notizia alcuna. È che
nel magistero etero-diretto qualche intoppo avrà creato un possibile “baco” nel
fluire della spirituale ispirazione dall’alto. Non desta impressione la
discrepanza temporale nell’azione del magistero dei capi della chiesa di Roma.
Ne è una costante. Ne è la cifra che la rende riconoscibilissima. La pratica
sanguinosa dell’inquisizione, l’uso smodato delle armi benedette nelle
crociate, il rogo di Giordano Bruno, l’isolamento della mente eccelsa dello
scienziato Galileo, e di quant’altri ancora finiti nell’abbraccio delle sue
amorevoli cure, stanno lì a dimostrare come quel magistero etero-diretto a
flussi incostanti sia solamente il frutto di una preoccupazione eminentemente
temporale che non accoglie la trascendenza come riferimento primo della azione
pastorale tra gli uomini. La non dimenticata intervista rilasciata da Enzo
Bianchi – che di seguito trascrivo in parte - sta lì a dimostrare la caparbia
arretratezza di un magistero che si rinchiude tetragono alle novità che il
mondo che sta “fuori” prospetta e aspetta siano ascoltate se non amorevolmente
accolte senza l’attesa di un pentimento che verrà dopo, ma molto tempo dopo.
(…). “Che male c’è se il Natale è
festa accogliente per i pagani?”, mi sorride con gli occhi furbi da contadino
il priore di Bose. “Non ce lo insegna pure l’Antico Testamento? Nel Tempio di
Gerusalemme i sacerdoti avevano pensato il cortile dei goyim, cioè un luogo
adibito a ricevervi i non ebrei. Ed era uno spazio più grande di quello
riservato a Israele nel Tempio”.
Dunque tu immagini un Natale
rivolto ai pagani? “A tutte le genti, direi meglio. Mio padre, che non era
cristiano e che avversò a lungo la mia scelta monacale, è ancora lì che mi
ammonisce a non giudicare mai le persone suddividendole fra credenti e non
credenti. Lottare contro gli idoli che disumanizzano e alienano la relazione
con gli altri è un’esperienza che ci accomuna ben oltre affiliazioni
schematiche”.
Ma chi dovremmo festeggiare la
notte del 24 dicembre? Un poco verosimile Dio bambino? “Gesù è nato uomo,
completamente uomo. Egli giungerà a raccontarci Dio ma attraverso il suo
percorso di vita umana. La sua testimonianza è straordinaria grazie, per
l’appunto, alla sua straordinaria umanità. Dunque chi deifica Gesù sulla terra
commette un errore, lo deifica troppo presto”.
Ciò che dici conforta il mio
punto di vista ebraico, così come mi è piaciuta nel libro la tua definizione
dell’”uomo Gesù che ha raccontato Dio”. Ciò consente di recepire senza
pregiudizi il suo messaggio, come messaggio di un profeta ebreo… “Gesù era
uomo, totalmente uomo, e questo in effetti si può dire anche degli altri
profeti, da Isaia a Ezechiele. Perché no?”.
Ma allora che senso ha adorare
Gesù come incarnazione divina? Io non provo questa necessità di un Dio che si
faccia uomo come precondizione a instaurare una relazione intensa con Lui. “Perché
abbisogna pensare un Dio che si faccia uomo, attraverso Gesù? Forse ti stupirò,
ma accetto questa tua obiezione. Non abbisogna necessariamente. Tanto è vero
che la fede ebraica si è mantenuta, il cristianesimo non l’ha annullata. Noi
cristiani proviamo la necessità di alzare il velo sulla relazione misteriosa
che congiunge l’uomo a Dio, e raccontarci Dio attraverso l’esperienza medesima
della carne umana. Ma non è vero che senza Cristo, cade Dio”.
Riconosci quindi il Natale come
festa intrisa di reminiscenze pagane? “Lo riconosco senza esserne turbato,
perché il Natale è la nostra festa che meglio dimostra l’inculturazione della
cultura cristiana. Ciò sarebbe impensabile nella Pasqua, che celebra il mistero
della morte e resurrezione tanto più difficile da accettare, eppure decisivo.
Mentre la nascita di un bambino, ne converrai, è sempre motivo di festa per
tutti. Il Natale ha una portata antropologica molto forte, non a caso,
soprattutto in Occidente”.
Anche perché vi ricomprende le
tradizioni pre-cristiane, vero? “Certo, pensalo nel nostro Monferrato cosa
significa, appena superato il solstizio d’inverno, celebrare la vittoria del
sole sulla notte, la luce, le giornate che ricominciano a allungarsi. Ovvio che
le luminarie di Natale precedono il cristianesimo, perché precedente è il
bisogno di vincere il buio. Anche l’impiego del vischio, quando la terra è
congelata, era già un’abitudine celtica da noi ereditata. Nel momento più duro
dell’anno naturale la famiglia si raccoglie e per contrasto festeggia, si
consola scambiandosi doni. In questo senso il Natale è più antropologico,
mentre a Pasqua la storia prevale sulla natura”.
Anche tu, però, nel libro,
critichi “l’ideologia del Natale”. La tua indulgenza per i pagani non arriva a
giustificare l’orgia consumistica contemporanea. “Un conto è il presepe, la
capanna della natività che esercita un richiamo meraviglioso perfino su uomini
sapienti che non avevano la fede nel Dio d’Israele: i magi. Penso a loro,
capaci di una ricerca, di una lotta anti-idolatrica, di inseguire una speranza
che abita tutta la storia umana…
Mi stai dicendo che si può essere
pagani e anti-idolatri nello stesso tempo? “Ma certo, di nuovo è mio padre che
me l’ha insegnato. C’è il giusto e l’ingiusto, mica il battezzato e il non
battezzato. L’idolatria del Natale contemporaneo è bel altra cosa dalle sue
origini pagane. Fa prevalere l’arroganza di chi ha rispetto a chi non ha, il
misurarsi sulla quantità dei doni. Fino a rendere questo Natale invivibile alle
persone sole, agli emarginati, ai più poveri. È assurdo, ma in questi giorni di
una festa mal vissuta aumentano perfino i suicidi”.
Se ben capisco, devi ai pochi
anni trascorsi con tua madre la fede cristiana che ha fatto di te uno studioso
della Bibbia e il fondatore di una comunità monastica. “È così, ma se n’è
andata troppo presto e quindi il suo impulso spirituale non sarebbe bastato
senza l’apporto di Cocco e Etta, le due donne al tempo stesso pie e curiose,
aperte, che si presero cura di me dopo la morte della mamma. Un commiato che
aleggia in ciascuna delle mie notti, perché la camera da letto era unica nella
nostra casa dignitosa ma povera; e io ricordo le sue crisi asmatiche, ogni
volta col dubbio di risvegliarmi al mattino senza che lei ci fosse più. Sono
passati più di sessant’anni ma tuttora non amo andare a letto, fatico a
addormentarmi”.
Ricordi il Natale con tua madre? “Lo
ricordo con gioia e lo perpetuo nella sua ferma volontà che la cena natalizia
preveda diciassette portate, non una di meno! Bisognava che si facesse festa
dello stare insieme. E siccome in famiglia eravamo solo tre mentre – come
diceva la mamma - la tavola ha quattro lati, c’era sempre il posto per chi era
rimasto vedovo da poco, o per il girovago delle nostre campagne. Proprio come
fate voi ebrei nella cena pasquale, quando apparecchiate un coperto in più per
il profeta Elia”.
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