"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 5 agosto 2018

Riletture. 03 “La paura, risorsa molto invitante per la demagogia”.


Da "Attenti ai politici che fanno dei nostri sentimenti uno strumento di potere",  intervista di Giulio Azzolini al Professor Bauman, pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 5 di agosto dell’anno 2016: Professor Bauman, sono passati dieci anni da quando scrisse "Paura liquida" (Laterza). Che cos'è cambiato da allora? "La paura è ancora il sentimento prevalente del nostro tempo. Ma bisogna innanzitutto intendersi su quale tipo di paura sia. Molto simile all'ansia, a un'incessante e pervasiva sensazione di allarme, è una paura multiforme, esasperante nella sua vaghezza. È una paura difficile da afferrare e perciò difficile da combattere, che può scalfire anche i momenti più insignificanti della vita quotidiana e intacca quasi ogni strato della convivenza".
Per il filosofo e psicoanalista argentino Miguel Benasayag, la nostra è l'epoca delle "passioni tristi". Che cosa succede quando la paura abbraccia la sfiducia? "Succede che i legami umani si frantumano, che lo spirito di solidarietà si indebolisce, che la separazione e l'isolamento prendono il posto del dialogo e della cooperazione. Dalla famiglia al vicinato, dal luogo di lavoro alla città, non c'è ambiente che rimanga ospitale. Si instaura un'atmosfera cupa, in cui ciascuno nutre sospetti su chi gli sta accanto ed è a sua volta vittima dei sospetti altrui. In questo clima di esasperata diffidenza basta poco perché l'altro sia percepito come un potenziale nemico: sarà ritenuto colpevole fino a prova contraria".
Eppure l'Europa ha già conosciuto e sconfitto l'ostilità e il terrore: quello politico delle Br in Italia e della Raf in Germania, quello etnico-nazionalistico dell'Eta in Spagna e dell'Ira in Irlanda. Il nostro passato può insegnarci ancora qualcosa o il pericolo di oggi è incomparabile? "I precedenti sicuramente esistono, tuttavia pochi ma decisivi aspetti rendono le attuali forme di terrorismo assai differenti dai casi che lei ricordava. Questi ultimi erano prossimi ad una rivoluzione (mirando, come le Br o la Raf, ad una sovversione del regime politico) o ad una guerra civile (puntando, come l'Eta o l'Ira, all'autonomia etnica o alla liberazione nazionale), ma si trattava pur sempre di fenomeni essenzialmente domestici. Ebbene, gli atti terroristici odierni non appartengono a nessuna delle due fattispecie: la loro matrice, infatti, è completamente diversa".
Qual è la peculiarità del terrorismo attuale? "La sua forza deriva dalla capacità di corrispondere alle nuove tendenze della società contemporanea: la globalizzazione, da un lato, e l'individualizzazione, dall'altro. Per un verso, le strutture che promuovono il terrorismo si globalizzano ben al di là delle facoltà di controllo degli Stati territoriali. Per altro verso, il commercio delle armi e il principio di emulazione alimentato dai media globali fanno sì che ad intraprendere azioni di natura terroristica siano anche individui isolati, mossi magari da vendette personali o disperati per un destino infausto. La situazione che scaturisce dalla combinazione di questi due fattori rende quasi del tutto invincibile la guerra contro il terrorismo. Ed è assai improbabile che esso abdichi a dinamiche ormai autopropulsive. Insomma, si ripropone, sotto nuove forme, il mitico problema del nodo gordiano, quello che nessuno sa sciogliere: e sono molti i sedicenti eredi di Alessandro Magno che, ingannando, giurano che le loro spade riuscirebbero a reciderlo".
Per molti politici e molti commentatori, le radici del terrorismo vanno rintracciate nell'aumento incontrollato dei flussi migratori. Quali sono, a suo giudizio, le principali ragioni della violenza contemporanea? "Com'è evidente, i profitti elettorali che si ottengono stabilendo un nesso di causa-effetto tra immigrazione e terrorismo sono troppo allettanti perché i concorrenti al gioco del potere vi rinuncino. Per chi decide è facile e conveniente partecipare ad un'asta sul mezzo più efficace per abolire la piaga della precarietà esistenziale, proponendo soluzioni fasulle come fortificare i confini, fermare le ondate migratorie, essere inflessibili con i richiedenti asilo... E per i media è altrettanto facile dare visibilità alla polizia che assalta i campi profughi oppure diffondere le immagini fisse e dettagliate di uno o due kamikaze in azione. La verità è che è maledettamente complicato toccare con mano le radici autentiche di una violenza che cresce in tutto il mondo, per volume e per intensità. E giorno dopo giorno diventa ancora più arduo, se non proprio impossibile, dimostrare che i governi abbiano individuato quelle radici e stiano lavorando davvero per sradicarle".
Vuole dire che anche i politici occidentali utilizzano la paura come strumento politico? "Esattamente. Come le leggi del marketing impongono ai commercianti di proclamare senza sosta che il loro scopo è il soddisfacimento dei bisogni dei consumatori, pur essendo loro pienamente consapevoli che è al contrario l'insoddisfazione il vero motore dell'economia consumistica, così gli imprenditori politici dei nostri giorni dichiarano sì che il loro obiettivo è garantire la sicurezza della popolazione, ma al contempo fanno tutto il possibile, e anche di più, per fomentare il senso di pericolo imminente. Il nucleo dell'attuale strategia di dominio, dunque, consiste nell'accendere e tenere viva la miccia dell'insicurezza...".
E quale sarebbe lo scopo di questa strategia? "Se c'è qualcosa che tanti leader politici non vedevano l'ora di apprendere, è lo stratagemma di trasformare le calamità in vantaggi: rinfocolare la fiamma della guerra è una ricetta infallibile per spostare l'attenzione dai problemi sociali, come la disuguaglianza, l'ingiustizia, il degrado e l'esclusione, e rinsaldare il patto di comando-obbedienza tra i governanti e la loro nazione. La nuova strategia di dominio, fondata sulla deliberata spinta verso l'ansia, permette alle autorità stabilite di venire meno alla promessa di garantire collettivamente la sicurezza esistenziale. Ci si dovrà accontentare di una sicurezza privata, personale, fisica".

venerdì 3 agosto 2018

Sullaprimaoggi. 13 “Una nuova crisi e il cigno nero di Paolo Savona”.


Da “Cerved: in caso di crisi ecco chi rischia di più” di Luca Piana, pubblicato sul settimanale “A&F” del 23 di luglio 2018: (…). Ebbene, un decennio dopo la recessione che ha cambiato gli equilibri economici e politici del mondo intero, indotto le istituzioni europee ad avviare riforme più o meno riuscite e trasformato in maniera profonda l'industria italiana, l'impressione che si trae (…) è abbastanza netta: una nuova crisi avrebbe un impatto comunque drammatico sui fatturati, i profitti e le possibilità d'investimento delle imprese tricolori. Anche se, (…), la selezione naturale che in questo decennio ha cancellato le aziende più deboli renderebbe quelle sopravvissute maggiormente resistenti a un nuovo rovescio. Il problema nel 2019. Il punto di partenza (…) è il confronto tra due scenari: quello di base, elaborato sulle previsioni economiche per il prossimo triennio delle maggiori istituzioni, l'Istat, la Banca centrale europea di Mario Draghi, il Fondo monetario internazionale; e quello più cupo, basato sulle ipotesi formulate dall'Eba per effettuare le proprie simulazioni su come reggerebbero le banche di fronte a uno sconquasso di questa portata. (…). Nel primo caso, lo scenario di base, il Pil italiano crescerebbe quest'anno dell'1,3 per cento, così come nel 2019 e nel 2020. Al contrario nel secondo scenario, quello di stress, già questo 2018 vedrebbe uno stop rilevante, con un arretramento del Pil dello 0,6 per cento. La vera mazzata, però, arriverebbe l'anno prossimo, con uno scivolone dell'1,5 per cento, seguito nel 2020 da un'ulteriore contrazione dello 0,6 per cento. Se dopo questo ultimo triennio di ripresa progressiva, una serie così negativa a qualcuno potrebbe sembrare eccessivamente da menagrami, basta tornare a un passato ancora recente per rendersi conto che si tratta di ipotesi non lontane da quello che è già accaduto, in tempi ancora vicinissimi a noi. Nel 2008, per dire, il Pil italiano era caduto dell'1,1 per cento, nel 2009 addirittura del 5,5. E ancora: nel biennio 2012-2013 l'accoppiata era stata ugualmente da brividi, con un arretramento il primo anno del 2,8 per cento, seguito in quello successivo da un ulteriore calo dell'1,7. Certo, le ipotesi dell'Eba hanno unicamente lo scopo di testare la tenuta delle banche in una situazione di stress; ma, allo stesso tempo, quei dati sono in linea con quanto l'Italia e l'Europa hanno vissuto poco fa. Chi perde di più. Il set di ipotesi utilizzato nello studio è molto più ampio di quelle riassunte qui. Comprende fattori come l'andamento dei prezzi, i tassi d'interesse, le materie prime e la domanda globale. Ciò che vuole simulare, come detto, è una crisi stile 2008: una crisi di fiducia dei mercati finanziari, un aumento dei tassi d'interesse, una conseguente stretta creditizia da parte delle banche, il ritorno del tanto famigerato credit cruch. Gli effetti sarebbero crollo degli investimenti, contrazione del mercato immobiliare, caduta dei prezzi delle materie prime. Qui si arriva al punto, (…). Se le cose andranno bene, i ricavi complessivi delle imprese italiane cresceranno in media del 4,4 per cento annuo, nell'intero triennio 2018-2020. Se però finissimo sotto stress, gli imprenditori farebbero bene ad allacciare la cintura di sicurezza: anno dopo anno, infatti, il loro fatturato scenderebbe a una velocità media dell'1,9 per cento, (…), e il margine operativo lordo andrebbe ancora più in picchiata, precipitando del 3,8 per cento medio annuo. I due scenari, dunque, per le imprese sono come il giorno e la notte. Dice Nespolo (amministratore delegato di “Cerved”, società di analisi finanziaria n.d.r.): «Lo scenario di base, quello che si può trarre dalle previsioni macro delle istituzioni internazionali, è del tutto coerente con una fase espansiva che prosegue, un aumento dell'esposizione creditizia, la ripresa del mercato immobiliare, una crescita dei debiti delle imprese favorita dal fatto che il miglioramento dei margini rende possibili ulteriori investimenti ».

giovedì 2 agosto 2018

Cronachebarbare. 56 “Il ministro del disonore Matteo Salvini”.


Soleva sostenere l’indimenticato Giorgio Gaber: “Non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me”. Solo per dire quanto, al Suo tempo, l’uomo venuto da Arcore rappresentasse solamente un “bubbone” seppur purulento e ben in vista ma niente in confronto allo stato infettivo che quel “bubbone” mascherava. È che, con il passare degli anni e degli uomini, quel “bubbone” purulento è pur sempre pronto ad erompere continuando così a mascherare la malattia grave che vi sottostà. Ma quella malattia ha un nome: “italianità”. Un vezzo? No, un tumore profondo che corrode al suo interno una società affetta da quei malanni che sono il “pressappochismo” e quel “familismo amorale” studiato e ben approfondito dal sociologo inglese Edward C. Banfield - amoral familism - nel Suo libro celeberrimo volume “The Moral Basis of a Backward Society” pubblicato nell’anno 1958 e tradotto con il titolo “Le basi morali di una società arretrata” (1976). Scriveva Paolo Sylos Labini in “Diario di un cittadino indignato”: