"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 6 febbraio 2013

Cosecosì. 42 Storia d’un gesto d’”altruità”.



“La nostra libertà finisce dove inizia quella degli altri, è vero. Ma, cosa ancora più importante, la nostra libertà si costruisce sempre insieme e grazie a quelle altrui. Senza quella degli altri, la nostra non esiste. Quindi, aiutare gli altri a costruire la loro libertà è il primo dovere dell'altruismo". Così afferma lo scienziato Philippe Kourilski – membro dell’Accademia delle Scienze di Francia - nella interessante intervista concessa a Fabio Gambaro ed apparsa sul settimanale “D” del 10 di marzo dell’anno 2012 col titolo “Il virus altruista: siamo tutti contagiati”. Ove si parla di grandi ideali ed aspettative degli umani. Ma dell’altruismo, o sull’altruismo, ho pronta una bella storia che mi va di spiattellarvi subito. Una storia semplice, semplice, ché la si potrebbe dire di tutti i giorni e delle persone semplici e comuni. È la storia raccontatami dal signor L. Il signor L. ha un patronimico che induce alla speranza ed alla gioia in questa vita, senza attenderne un’altra, alquanto incerta. Il signor L. è stato, nell’arco della sua vita, un pescatore. Le sue storie sono storie di tempeste, di reti rigonfie o quasi vuote, della “varcuzza mia”, di una vita perigliosa ma dignitosa ed onesta. Oggi, avanti negli anni, non gli rimane che raccontare di quella vita anche avventurosa. E delle sue storie mi ha fatto cortesemente partecipe ogni qualvolta ci si è incontrati sul lungomare di ******. Il signor L. a quel lungomare è rimasto affezionato assai. Immancabilmente lo ritrovo a scrutare lontano all’orizzonte ed a predire il tempo meteorologico che sarà. Sbaglia raramente. Ed ecco la sua storia, che non è storia di pesca questa volta. Mi racconta di come, nel corso della passata stagione estiva, andando per il lungomare, abbia maldestramente perso i suoi occhiali da vista. Come abbia fatto il signor L. a perdere i suoi occhiali da vista rimane un mistero assoluto. Il signor L., del resto, non riesce a darne risposta. Avanti negli anni e speranzoso nella sua oramai abituale disattenzione rovista per lungo tempo per la casa senza risultato alcuno. Alla fine decide di rifare gli occhiali. Dove entra l’altruismo in questa storia? Ci entra, ci entra. Giorni addietro, deciso a rifare gli occhiali da vista indispensabili, con la più grande delle sorprese che questa vita possa concedere, il signor L. ritrova, presso l’abituale ottico, gli occhiali andati smarriti nella decorsa stagione estiva. Ecco una “storia minima” d’altruismo. Ovvero, l’altruismo di un “ signor qualcuno” che aveva operato bene per il signor L. È che l’ottico del signor L. ha la buona abitudine di marcare con il suo cognome l’astina sinistra degli occhiali. È stato così molto facile, per l’incorreggibile altruista di turno, riportare in quel luogo gli occhiali smarriti dal signor L. Un altruista che, nella canicola di quei luoghi, ha ritenuto necessario esercitare “il dovere dell'altruismo”  per salvare gli occhiali del signor L. Direbbe il professor Kourilski, un gesto di razionale “altruità”. Si legga, di seguito, l’intervista al professor Philippe Kourilski.

La nozione dell'altruismo viene da lontano... - "È stato Amartya Sen, che ho conosciuto e frequentato, a spingermi a questa nozione di altruismo. Nel suo lavoro l'economista indiano riflette sull'idea di libertà, domandandosi se ci si possa considerare liberi quando non si ha da mangiare. Per me, la libertà è un diritto che deve essere sempre accompagnato da alcuni doveri, a partire da quello di pensare agli altri e alla loro libertà. È il dovere dell'altruismo. D'altronde, tutte le libertà sono interdipendenti: a che cosa serve essere liberi di comprare il pane, se non c'è un panettiere che lo fa? Oggi la globalizzazione sottolinea più che mai l'interdipendenza degli uni dagli altri" -.
L'appello all'altruismo non è nuovo, è presente nel messaggio cristiano. - "Quando parlo di altruismo non mi colloco sul piano dell'empatia e dell'amore, nozioni molto rispettabili, che però qui non interessano. La mia definizione di altruismo è razionale, circoscritta. Così ho iniziato a usare l'espressione ‘altruità’ per indicare un dovere con una giustificazione logica, indipendente dal sentimento. (…) -.
L'altruità è diversa dalla generosità? - "La generosità è una libertà che possiamo scegliere di esercitare o meno; l'altruità invece è un dovere. Come la carità cristiana, che nasce come risposta all'ingiunzione che viene da Dio. L'altruità invece ha una dimensione laica, è una nozione fredda, slegata dal sentimento, nasce da un'analisi razionale della realtà. Il riflusso della dimensione religiosa nella società occidentale ha lasciato in sospeso la questione dei doveri, che nello spazio laico sono stati spesso trasferiti alla collettività. L'individuo ha perso la coscienza dei doveri, trasferendo alla collettività la problematica della responsabilità. Ma oggi, gli stati asfissiati dalla crisi non riescono più a svolgere i troppi compiti loro attribuiti. Così occorre ricostruire una morale laica del dovere e della responsabilità, a partire dalla dimensione individuale. E l'informazione e la cultura possono avere qui un ruolo essenziale"-.
Appellarsi all'altruità implica rimettere in discussione l'individualismo assoluto che ha trionfato negli ultimi anni? - "In parte sì, anche se io mi colloco sempre nell'ambito dell'individualismo. È  l'individuo che deve definire, misurare le proprie libertà e i propri doveri, tra cui quello fondamentale dell'altruità. Certo, mi riferisco a un individualismo diverso da quello senza limiti, proiettato al soddisfacimento dei propri piaceri e bisogni. Un individualismo responsabile, capace di riconoscere i propri limiti in un processo di autovalutazione. Senza dimenticare la dimensione della proporzionalità: chi ha più libertà, ha anche più doveri di altruità" -.
(…). Lei dice che l'altruità è un dovere: quindi pensa che in natura non esista? - "Non so se l'altruismo sia naturale, ma in generale sono abbastanza sospettoso nei confronti delle teorie naturaliste del comportamento, che in passato sono state all'origine di errori gravi come l'eugenismo. È vero che nel mondo animale esistono comportamenti cooperativi, per esempio tra le formiche o le api, ma bisogna stare attenti a non trarre conclusioni errate. Per me, l'altruità resta un'attività razionale limitata all'uomo, per la quale l'educazione è fondamentale. L'altruità si costruisce, è un atteggiamento più culturale che naturale" -.
Cosa risponde a chi non crede al dovere dell'altruità, e continua difendere un mondo dominato dalla lotta di tutti contro tutti, dove dovrebbe vincere sempre il più forte? - "C'è molta ipocrisia nel neoliberalismo radicale, quando sostiene che sviluppando le ricchezze dei più ricchi anche i poveri ne traggono beneficio. Negli ultimi 20 anni mai è stato vero, né per i singoli stati, né sul piano internazionale. Le disuguaglianze aumentano ovunque. I più ricchi talvolta usano la generosità per venire in aiuto dei più poveri: è un atteggiamento nobile, ma non risolve i problemi alla radice" -.
Occorre forse rimettere in discussione la centralità dell'homo economicus, introducendo nuovi parametri? - "Certo. L'homo economicus è una semplificazione che ha fatto molti disastri. In nome delle leggi dell'economia si è imposto a tutti un unico modello, ossessionato dalla redditività, dalla relazione costi/benefici. Bisogna uscire da questa logica introducendo una dimensione morale nell'economia, come hanno chiesto Amartya Sen o Joseph Stiglitz. La crisi attuale nasce da molti fattori, ma all'origine c'è un sistema economico che ha fatto della deregulation la sua dottrina centrale. La contestazione dei dogmi dell'economia liberale aumenta anche nei paesi occidentali, dove questa ha prodotto molti guai. Cresce ovunque la domanda di regole per inquadrare l'economia e tener conto degli interessi di tutti: ma non sarà facile cambiare, ci sono troppi interessi in gioco: e gli uomini hanno sempre paura dei cambiamenti" -.
(…). In conclusione, lei è ottimista sull'altruismo? - "Si, la coscienza collettiva cresce ovunque. Solo una decina d'anni fa mai avrei pensato che si sarebbe trovato il denaro per curare l'Aids in Africa. Dominava l'egoismo e il continente era abbandonato a se stesso. Oggi curare l'Aids è possibile. Lo stesso vale per la rosolia. Siamo scesi a 200mila decessi l'anno: sempre molti, ma nei prossimi anni la mortalità diminuirà ancora. Sono risultati positivi, prove d'altruismo che mi fanno esser ottimista. (…). Il bisogno d'altruità deve diffondersi come un virus nell'opinione pubblica mondiale, costringendo i poteri pubblici a cambiare rotta" -.

lunedì 4 febbraio 2013

Sfogliature. 18 “La politica e l’economia del moderno Houdini”.



Ci risiamo. La tornata elettorale è imminente. Ventun giorni appena. Quel che sembrava certo non lo è più. Tutto sembra tornato indietro, come se non fossero passati tutti questi anni. Lo sconforto assale. È che gli anni in effetti sono passati, ma si respira l’aria insalubre di qualche anno addietro. Il 4 di aprile dell’anno 2006 postavo su questo blog – “alloggiato” su di un’altra piattaforma – il post che ha per titolo “La politica e l’economia del moderno Houdini “. Sono trascorsi quasi sette anni. Tutto è oggigiorno come prima. Ritrovo il post alla pagina 1242 dell’e-book. Di seguito lo ripropongo. Cosa è cambiato nel bel paese? Scrive Filippo Ceccarelli nel Suo editoriale che ha per titolo “L’eterno show del candidato Silvio” - sul quotidiano la Repubblica del 4 di febbraio (oggi) -: (…). È  (…) che il Cavaliere dà il meglio di sé lasciando credere ai prediletti vecchietti che con la sua vittoria non pagheranno il cinema, la partita, l’ingresso al museo, il viaggio in treno. A tali vani benefici nel 2006 si sommarono anche delle dentiere (“Operazione Sorriso”) e la possibilità, non meglio precisata, di acquisire un animale di compagnia. E se pure la campagna elettorale a volte assume i toni della commedia nera, è anche vero che l’ideologia berlusconiana, mutuata dalla cultura pubblicitaria, dispone di codici emotivi che con la scusa del sogno pescano nell’inconscio; ma a volte non ce n’è nemmeno bisogno, per cui prima del voto del 2008 il futuro presidente arrivò a promettere ai pensionati, dotati o meno che fossero di cani gatti e pappagallini, nientemeno che la sconfitta del cancro e l’allungamento della vita attraverso la medicina predittiva.(…). È possibile che, sostenuto dalla diffusissima credulità degli abitatori del bel paese, il signor B. ripeta il miracolo?

“(…). Le cose vanno bene, le famiglie vivono meglio. Io ieri sera sono andato al ristorante con alcuni amici e non c’era un posto libero. Alla fine hanno dovuto dire che c’ero io e allora hanno fatto alzare alcune persone. (…)”. Detto senza alcun rossore dall’egoarca di Arcore il 31 di marzo durante la trasmissione “Omnibus” su La7. Confesso: sono molto compiaciuto con me stesso di non essermi ritrovato tra quei 12 milioni di telespettatori intenti a strafogarsi del tanto atteso dibattito-scontro elettorale. Ed a pensarci bene sono stati in tanti ad evitare a sé stessi il rinnovarsi di un rito stantio e divenuto quasi inutile ai fini del risultato elettorale del 9 e 10 di aprile; gli illusionismi non servono più di tanto se ci si lascia guidare dalla constatazione del reale. A conti ben fatti sono stati ben 4 milioni i telespettatori che hanno deciso di non sorbirsi l’immancabile gioco di prestigio dell’Houdini di Arcore. Il quale non ha mancato di escogitare un trucco ulteriore da quel bravo illusionista che si è rivelato nel quinquennio del suo (mal)governo; ora, come per la benevolenza di un signorotto di altri tempi, saremo sgravati della tassa sulla prima casa, la cosiddetta ICI. Bella trovata, non c’è che dire! Anche perché il signorotto di Arcore si sgraverà dell’imposta sulla sua disadorna e “mutuata” – poiché acquisita con un mutuo ipotecario -  bicocca adibita a prima abitazione; con una fava due piccioni, abbindolare ancora una volta di più i gonzi di turno, e ricavarsi il vantaggio di sicura consistenza patrimoniale. Che dire? È un prestigiatore impareggiabile, al cui confronto quell’Houdini Harry di passata memoria non regge il confronto. Ora che il miserello piatto di lenticchie è stato offerto al popolo bue in cambio di un insperato – o disperato -  nuovo plebiscito elettorale, ci si deve pur chiedere: ma basta il piatto di lenticchie offerto inopinatamente dall’egoarca di Arcore? Non ci sarebbe invece da non smuoversi di un solo millimetro dalla condanna delle “malefatte” dell’egoarca di Arcore per quanto attiene allo svilimento delle istituzioni, all’imbarbarimento della vita politica del bel paese - imbarbarimento consacrato nella più incivile campagna elettorale che possa affiorare alla mia memoria -, dallo svuotamento delle certezze e dei ruoli che uno stato democratico e di diritto dovrebbe garantire a tutti i suoi cittadini? Sapevamo che le macerie materiali che l’egoarca di Arcore avrebbe lasciato sul terreno sarebbero state gigantesche; ma non di minore gravità e dimensione sono le macerie immateriali che egli ha creato volutamente e che volutamente consegna, senza resipiscenza alcuna, ad un popolo stremato, immusonito e disorientato al contempo! Mancano oramai pochissimi giorni all’appuntamento elettorale ed un dovere di cittadinanza impone che si vada alle urne con una consapevolezza nuova, necessaria quanto non mai, considerata l’assurdità e l’eccezionalità della situazione politico-economica del bel paese; non servono infatti illusionismi di sorta, promesse mirabolanti, laddove la semplice ricerca di fonti più o meno accreditate sulla stampa possono renderci edotti dei problemi del bel paese anche in un contesto di più largo respiro. Trovo pertanto molto interessanti due pubblicazioni apparse sull’ultimo numero del settimanale “Affari& Finanza”, che non riporto, ma delle quali pubblicazioni offro gli indirizzi sulla rete per una loro diretta consultazione. Il primo testo è a firma dell’economista Marcello De Cecco ed ha per titolo “Le pagelle Ocse bocciano l’Italia”; il secondo testo è dell’immancabile Giuseppe Turani, editorialista di spicco del settimanale, che ha per titolo “Tutti i soldi della Borsa”.. Letture interessanti e che danno corpo e sostanza ad una partecipazione più consapevole alla vicenda elettorale che avrà il suo epilogo tra i primi refoli primaverili dell’aprile; è un buon auspicio, poiché ricordo che con i primi refoli di un altro aprile dell’anno 1996 si celebrarono i trionfi dell’Ulivo di allora; ma i tempi erano ben altri e senza “certe” dure emergenze dell’oggi!

domenica 3 febbraio 2013

Dell’essere. 10 “Dimmi cosa c'è fuori”. La storia di R.



E fu dopo aver ascoltato la storia di R. che un silenzio assordante volteggiò più volte nell’aria per cadere poi su tutti noi. E più che un silenzio era un gelo che penetrava nelle ossa ed ancor più penetrava nelle nostre menti e nei nostri pensieri. Dopo, nulla sarebbe stato più come prima della storia di R. È che la storia di R. aveva sconvolto le regole del gioco. Un gioco giuocato e condotto dai presenti sulla “memoria”, che l’atmosfera del luogo rendeva ancor più interessante ed intrigante. Dall’ampio finestrone che dava sul mare in burrasca si intravvedevano le isole lontane come fustigate dai lampi che, seppur remoti, ne accendevano l’aria come d’un fuoco divino. Il cielo plumbeo e basso come non mai annunciava la lontana tempesta in arrivo. Il mare mugghiava e le onde s’infrangevano con una tale forza che la schiuma schiumava la spiaggia coprendola di una coltre persistente. E fu la storia di R., raggelante nella sua amarissima verità, che dischiuse e rese coscienti del momento le nostre divaganti menti. Raccontava R. di quando bambino aveva visto l’anziana sua nonna allettarsi per non più partecipare ad un minimo di vita familiare. E fu allora che nella sua mente di bambino galopparono le prime serie domande sulla vita. Mi viene da raccontare la storia di R. dopo aver rinvenuto, tra i tanti ritagli amorevolmente raccolti e custoditi negli anni, un pezzo del professor Umberto Galimberti – “Dimmi cosa c'è fuori” -  pubblicato sul settimanale “D” del 21 di novembre dell’anno 2009. Scriveva in quel tempo l’illustre Autore: (…). Su questo ‘dimmi cosa c'è fuori’ è opportuno ritornare oggi che viviamo un tempo in cui sempre più sembra diffondersi la cultura della reclusione e dell'isolamento riservato a quanti, per malattia, per emarginazione, per perdita del posto di lavoro, per i disagi connessi all'immigrazione, non sono portatori di quella gioia, di quell'esuberanza, di quella festività da cui siamo inondati dalla pubblicità e dalle trasmissioni televisive condotte da quelli che io vado chiamando professionisti della felicità. La malattia, quanto più è grave, tanto più tende a nascondersi. E nessuno la va a cercare, perché la sua vista inquieta. Raccontava R. di come, alla vista della anziana nonna sprofondata in permanenza in un letto tecnologico, avesse trovato necessario, seppur ancora bambino, soddisfare quelle curiosità che la condizione estrema della degente aveva suscitato all’improvviso nella sua mente giovane. Ed andava esplorando, giorno per giorno, con continue, assillanti domande rivolte agli adulti della casa, la nuova condizione dell’anziana donna. E la sua curiosità di bambino lo spingeva, una prima volta, a chiedere di quell’assoluta immobilità che si presentava ai suoi giovanissimi occhi; e di chiedere del come e del perché l’anziana donna non potesse più affacciarsi ad un balcone; ed ancor più, con l’intraprendenza propria dei bambini, come facesse a svolgere le sue necessità corporali in quella nuova, per lui inattesa, condizione di evidente costrizione personale. Ed ancor più, con l’impudicizia innocente propria dei bambini, chiedeva ad ogni passo come quella donna potesse provvedere alle sue personali pulizie. Le risposte a quelle innocenti domande erano sempre di una evasività da far paura. E fu così che, come sempre accade quando il mondo e la  realtà costruiti nella mente dei bambini si intersecano con il mondo e la realtà costruite nella mente degli adulti, in una delle occasioni familiari d’incontro, R. ebbe  a dire a gran voce e nello sconcerto generale degli astanti: - Ma perché non muore? -. Si rimase tutti senza parole alla conclusione della storia di R. È che il  bambino R. aveva a quel tempo resa evidente e fatta sua l’idea di cosa debba essere la “vita” affinché risulti essere vissuta degnamente, completamente. Ai suoi giovanissimi occhi ed ai suoi giovanissimi pensieri risultava intollerabile una “vita” che non avesse un pieno possesso e padronanza delle abilità e delle facoltà del libero vivere. Concluse R., amaramente, la sua storia di memoria: - È da allora che non ho trovato e non trovo risposte a quella mia terrificante domanda -. Il silenzio ci avvolse tutti. Non avevamo neanche noi le risposte che R. andava ancora cercando. Sol che avesse letto la prosa del mio ritaglio. Forse. Scrive infatti il professor Galimberti: Questa segreta complicità tra chi, soffrendo di una malattia che nulla di buono lascia presagire, tiene nascosta la sua condizione, e chi evita di entrare in contatto col malato per non incontrare quell'impaccio discorsivo che paralizza tutte le parole gravide di false speranze e di vuoto futuro, crea quella strana condizione che porta chi soffre in un isolamento aggiuntivo a quello già provocato dalla malattia. E così la nostra esistenza si rende immune dalla presenza anche massiccia della sofferenza. Una sofferenza silenziosa, densa come la nebbia, che in modo impercettibile ci tocca da ogni parte e che può passare inosservata solo a colpi di rimozione percettiva, visiva, linguistica. È forse la “rimozione percettiva, visiva, linguistica” che R., nella totale ingenuità dell’infanzia, metteva inconsapevolmente in atto? E con quali conseguenze per l’animo degli uomini? Conclude il professor Galimberti: Ma il rimosso ritorna come atrofizzazione del nostro cuore che, per non percepire, non vedere, non sentire quel che inevitabilmente lo tocca, deve procedere a tali colpi di amputazione della propria sensibilità, da diventare alla fine un povero cuore. La condizione umana infatti è comune e il tentativo di chi vuol difendersi non solo dalla malattia, ma anche dalla sua vista, è l'inganno di un giorno. E giorno dopo giorno l'inganno diventa la falsificazione di una vita. Apriamo allora gli ospedali alle scuole, e le scuole agli ospedali, alle carceri, alle case degli immigrati, ai campi Rom e in generale ai luoghi del disagio e del dolore, non per intristire la vita dei nostri ragazzi, ma per non ingannarli, per non far credere loro che la realtà sia quella descritta dalla televisione, dove, tra balli e canti, si celebra solo la festa della vita, privando così i nostri ragazzi di tutte quelle esperienze che possono creare in loro quella sensibilità che li renderà idonei ad affrontare la vita, quando questa si presenterà nel suo lato oscuro e buio. Era il 21 di novembre dell’anno 2009.