
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
mercoledì 22 agosto 2012
Storiedallitalia. 19 Le parole al tempo della sobrietà.

martedì 7 agosto 2012
Cosecosì. 25 Vivere al tempo dello spread con l’oro in bocca.
Ha scritto
Nadia Urbinati sul quotidiano la Repubblica in un Suo “pezzo” che ha per titolo
“Superare le diseguaglianze”: (…).
Un problema tra i più urgenti che una politica democratica dovrà affrontare
sarà quello della crescente diseguaglianza della società italiana. La
diseguaglianza è un problema per la democrazia, soprattutto quando si radica
nelle generazioni, perché balcanizza la società e rompe la solidarietà tra
cittadini, inducendo i pochi a cedere, se così si può dire, dall’obbligo di
contribuire per chi non sente più come uguale. La società italiana sta da
alcuni anni percorrendo una strada a ritroso rispetto a quella nella quale si
era immessa dopo la Seconda guerra mondiale: dall’eguaglianza alla
diseguaglianza. E qui mi fermo nella citazione. Sfoglio una
patinatissima rivista di “cucina” – il numero di Agosto – e la mia attenzione
viene attratta dalla composizione fotografica che ne riempie la pagina 5.
Campeggia sulla sinistra un calice al piede del quale si intravvede una collana
di perle. L’immagine sfuma. Intriga. Nel calice non si intravvedono le
bollicine consuete ma si intuisce un fluttuare come di corpi leggeri ridotti in
lamelle. Mi guida, nella interpretazione della composizione fotografica, il
logo che occupa l’angolo destro in alto della pagina laddove è scritto “Fabbrica
di Oro e Argento in foglia Giusto Manetti Firenze”. Mi chiedo: che c’entra,
quel logo, con il calice, la collana di perle – saranno naturali? - e lo spumante?
Sposto lo sguardo nella pagina e sulla destra, in basso rispetto al logo
precedente, si intravvede una grossa fragola con le scaglie/lamelle intravviste
fluttuare leggere nel calice. E sotto all’immagine della fragola, a chiudere il
quadro, una appetitosissima fetta di una torta al cioccolato ricoperta pur essa
delle scaglie lamelle/. Cosa sarà mai? Il sortilegio, o il mistero che dir si
voglia, resta sovrano. Né m’illumina, in basso a sinistra della pagina, al
piede quasi del calice, un ben noto logo che sa di tutt’altro che di
raffinatezze culinarie o dolciarie: UnoAerre. Ohibò, cosa sarà mai? La
faccenda si complica ma, fortunatamente, trova la sua soluzione alla quarta di
copertina della patinatissima rivista ove si legge, a mezza pagina, “Un
prezioso regalo per una serata indimenticabile”, che sta sotto ad altre
immagini di godurie culinarie cosparse sempre delle solite scaglie lamelle/. Il
tutto si chiarisce ulteriormente – ohibò - dalla lettura a fondo pagina: “L’oro
e l’argento alimentare di Giusto Manetti Battiloro, distribuiti in esclusiva da
Unoaerre Industries Spa, sono in vendita nelle migliori gioiellerie”. Non
avevo capito un accidente. Le godurie, gli intingoli, erano stati ricoperti da “oro”
o “argento”
“alimentare”.
Chi compra “oro” o “argento” “alimentare” in Italia
per ritrovarselo poi espulso integro, indigerito, dopo averne attraversato il
lunghissimo canale intestinale, all’atto della quotidiana defecazione? Mi
piacerebbe avere una risposta. E lo spread? E l’Imu? E la disoccupazione giovanile?
Ed il taglio alla stato sociale? Chiudo sconsolato la rivista patinatissima. Ma
ho anche tantissima rabbia. Ma dove sarà finita la rabbia degli oppressi? Degli
sfruttati? Un consiglio: non comprate quella rivista, almeno per non
arrabbiarvi come è accaduto a me! Ma se ne sarete incuriositi, cercatela e
mostratela in giro. Quali reazioni susciterà negli altri? Riprendo volentieri il
“pezzo” di Nadia Urbinati: (…). …la ricchezza sta assumendo un ruolo
via via crescente tra le risorse economiche che definiscono la condizione di
benessere di un individuo mentre declina il ruolo del lavoro. Un significativo
aspetto della disuguaglianza riguarda la sua tendenza a trasferirsi da una
generazione all’altra, legando sempre di più il destino dei figli a quello dei
genitori. È questo un fattore tra i più devastanti e che documenta direttamente
la stabilizzazione delle classi. Perché disuguaglianza non occasionale, non per
personale responsabilità, ma di classe, un fatto che vanifica ogni più
ragionevole discorso sul merito individuale. Questo trend classista ci dice in
sostanza che lavoro dipendente e lavoro autonomo sono divaricati (il reddito
del secondo aumenta molto più in proporzione al reddito del primo) e che i
punti di partenza (la famiglia) diventano sempre più determinanti e
difficilmente neutralizzabili da parte degli individui. Non a caso, insieme
alla divaricazione dei redditi autonomi e da lavoro si ha la divaricazione
degli accoppiamenti: sempre più persone si sposano con persone con reddito simile.
Insomma poveri sposano poveri, ricchi sposano ricchi – e per conseguenza,
tendenza al trasferimento delle diseguaglianza e dei privilegi da una
generazione all’altra. La democrazia non ha mai promesso né perseguito
l’obiettivo di rendere tutti i cittadini economicamente eguali, ma ha promesso
con formale dichiarazione nelle costituzioni e nelle carte dei diritti, di
“rimuovere gli ostacoli” che impediscono a uomini e donne, diversi tra loro
sotto tanti punti di vista (dal genere al credo religioso alla ricchezza) di
aspirare a una vita dignitosa. Vi è nella democrazia politica un invito assai
esplicito a mai interrompere il lavoro di manutenzione sociale operando sulle
condizioni di accesso o le “capacitazioni” per usare un termine coniato da
Amartya Sen. Ecco perché a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale le
democrazie hanno dichiarato che i livelli di disuguaglianza nella ricchezza
devono e possono essere mitigati agendo sui meccanismi che la determinano, ad
esempio con politiche in grado di assicurare che il godimento di alcuni diritti
fondamentali raggiunga più pienamente e uniformemente la popolazione. (…). I
programmi politici sono quindi determinanti perché a consolidare le classi
insieme al declino fortissimo dei matrimoni interclassisti interviene proprio
lo smantellamento di quel fattore sul quale si era costruita la democrazia
moderna: la politica sociale, che significa la ridistribuzione dei redditi
attraverso i servizi destinati alla salute e all’istruzione; in questi due
settori chiave che da sempre hanno contribuito a contenere il divario tra le
classi lo Stato investe sempre di meno, dimostrando nei fatti di non essere in
grado o di non volere più usare la spesa pubblica per obiettivi democratici,
per rimuove gli ostacoli alla crescita della disuguaglianza, come promesso
dalla Costituzione.
sabato 4 agosto 2012
Capitalismoedemocrazia. 28 La finanza al tempo del Siv e dello Spv.
È un gioco perverso delle parti.
Parla – inopportunamente? - il “drago” della banca centrale europea e le borse
van giù che è una bellezza: - 4,6% di giovedì. Chiosa ingenuamente e con dire
criptico il temporaneo reggitore della cosa pubblica del bel paese che i
mercati sono tardi, ovvero lenti a capire il senso delle cose che avvengono sul
pianeta Terra. È veramente strano. Velocissimi a spostare risorse finanziarie
immense in un solo battito di ciglia, faticano a capire il senso delle cose
dette durante lo svolgimento dell’alto consesso di quella banca. Trascorrono
appena 24 ore, giusta una rotazione completa del pianeta Terra attorno al
proprio asse, e la borsa di Milano registra un +6,3%. Mi viene da dare ragione ai
cosiddetti “post-moderni” che, nel loro asperrimo scontro – per fortuna
eminentemente intellettuale - con quelli del “nuovo realismo”,
asseriscono che i fatti in quanto tali non esistono proprio ma esiste soltanto
la loro interpretazione. I fatti della finanza impazzita, che sono reali, sembrano
dar loro ragione. È come si vedono le cose di questo assurdo, ingiusto mondo! È
la sempiterna storia del bicchiere che per alcuni è mezzo vuoto, per altri
mezzo pieno. Sarà! Ma così il gioco diventa veramente pesante. I fatti sono
fatti e c’è poco da scherzare. Afferma Martin Schulz, quello eletto Kapò
dall’egoarca di Arcore di infelice e tristissima memoria: - I cittadini sentono l’Europa
lontana. Non accettano che le decisioni sulla loro pelle siano prese da un
gruppo ristretto. L’Europa non è delle banche. È ora che la politica riprenda
il primato sui mercati -. Ben detto. Ma qual è, e dov’è, la politica
che possa riprendere “il primato sui mercati”? Sarebbe la
stessa politica che è rimasta indifferente – se non ne avesse creato anche le
condizioni materiali - all’affermarsi della finanza predatrice che come un’idra
a più teste divora l’economia reale? Ed il futuro delle giovani generazioni? Per
avere contezza di queste affermazioni basta che si legga, con pazienza, quanto
ha scritto sull’argomento il professor Luciano Gallino nella analisi pubblicata
sul quotidiano la Repubblica col titolo “Sulla
crisi pesano i debiti delle banche”, che di seguito propongo in parte. I
fatti sono fatti e nulla può distogliermi da questo semplice convincimento, a
dispetto dello scontro titanico tra quelli del “nuovo realismo” ed i
cosiddetti “post-moderni”. Ne sembra convinto anche Moni Ovadia nella nota
“Sto con i tartassati. Non è demagogia” nella Sua rubrica domenicale sul
quotidiano l’Unità: - (…). L’ideologia dell’intimidazione
demagogica contro chi chiede giustizia sociale, dignità e diritti, è figlia di
una precisa pedagogia che per secoli e secoli ha costruito il mondo a misura
dei potenti e dei loro privilegi. Dalla Rivoluzione francese in avanti, questa
pedagogia è stata contrastata con crescente forza fino a tutti gli anni
Settanta del Novecento, con conquiste significative e con un orizzonte di
speranza. Ma dal crollo del cosiddetto comunismo in poi, la demagogia del
privilegio si è riaffermata con questo messaggio: «Vi eravate illusi, lo Stato sociale
è morto, vi spetta una vita grama, chinate la testa!» -. Ed i fatti
stanno lì a dimostrarlo. Se ce ne fosse stato bisogno.
Il 20 luglio la Camera ha
approvato il “Patto fiscale”, trattato Ue che impone di ridurre il debito
pubblico al 60% del Pil in vent’anni. Comporterà per l’Italia una riduzione del
debito di una cinquantina di miliardi l’anno, dal 2013 al 2032. Una cifra
mostruosa che lascia aperte due sole possibilità: o il patto non viene
rispettato, o condanna il Paese a una generazione di povertà. Approvando senza
un minimo di discussione il testo la maggioranza parlamentare ha però fatto
anche di peggio. Ha impresso il sigillo della massima istituzione della
democrazia a una interpretazione del tutto errata della crisi iniziata nel
2007. Quella della vulgata che vede le sue cause nell’eccesso di spesa dello
Stato, soprattutto della spesa sociale. In realtà le cause della crisi sono da
ricercarsi nel sistema finanziario, cosa di cui nessuno dubitava sino agli
inizi del 2010. Da quel momento in poi ha avuto inizio l’operazione che un
analista tedesco ha definito il più grande successo di relazioni pubbliche di
tutti i tempi: la crisi nata dalle banche è stata mascherata da crisi del
debito pubblico. In sintesi la crisi è nata dal fatto che le banche Ue (come si
continuano a chiamare, benché molte siano conglomerati finanziari formati da
centinaia di società, tra le quali vi sono anche delle banche) sono gravate da
una montagna di debiti e di crediti, di cui nessuno riesce a stabilire l’esatto
ammontare né il rischio di insolvenza. Ciò avviene perché al pari delle
consorelle Usa esse hanno creato, con l’aiuto dei governi e della legislazione,
una gigantesca “finanza ombra”, un sistema finanziario parallelo i cui attivi e
passivi non sono registrati in bilancio, per cui nessuno riesce a capire dove
esattamente siano collocati né a misurarne il valore. La finanza ombra è
formata da varie entità che operano come banche senza esserlo. Molti sono
fondi: monetari, speculativi, di investimento, immobiliari. Il maggior pilastro
di essa sono però le società di scopo create dalle banche stesse, chiamate
Veicoli di investimento strutturato (acronimo Siv) o Veicoli per scopi speciali
(Spv) e simili. Il nome di veicoli è quanto mai appropriato, perché essi
servono anzitutto a trasportare fuori bilancio i crediti concessi da una banca,
in modo che essa possa immediatamente concederne altri per ricavarne un utile. Infatti,
quando una banca concede un prestito, deve versare una quota a titolo di
riserva alla banca centrale (la Bce per i paesi Ue). Accade però che se
continua a concedere prestiti, ad un certo punto le mancano i capitali da
versare come riserva. Ecco allora la grande trovata: i crediti vengono
trasformati in un titolo commerciale, venduti in tale forma a un Siv creato
dalla stessa banca, e tolti dal bilancio. Con ciò la banca può ricominciare a
concedere prestiti, oltre a incassare subito l’ammontare dei prestiti concessi,
invece di aspettare anni come avviene ad esempio con un mutuo. Mediante tale
dispositivo, riprodotto in centinaia di esemplari dalle maggiori banche Usa e
Ue, spesso collocati in paradisi fiscali, esse hanno concesso a famiglie, imprese
ed enti finanziari trilioni di dollari e di euro che le loro riserve, o il loro
capitale proprio, non avrebbero mai permesso loro di concedere. Creando così
rischi gravi per l’intero sistema finanziario. (…). Come notavano già nel 2006
due economisti americani, G. B. Gorton e N. S. Souleles, «i Spv sono
essenzialmente società robot che non hanno dipendenti, non prendono decisioni
economiche di rilievo, né hanno una collocazione fisica». Uno dei casi
esemplari citati nella letteratura sulla finanza ombra è il Rhineland Funding,
un Spv creato dalla banca tedesca IKB, che nel 2007 aveva un capitale proprio
di 500 (cinquecento) dollari e gestiva un portafoglio di crediti cartolarizzati
di 13 miliardi di euro. L’esilità strutturale dei Siv o Spv comporta che la
separazione categorica tra responsabilità della banca sponsor, che dovrebbe
essere totale, sia in realtà insostenibile. (…). La finanza ombra è stata una
delle cause determinanti della crisi finanziaria esplosa nel 2007. In Usa essa è
discussa e studiata fin dall’estate di quell’anno. Nella Ue sembrano essersi
svegliati pochi mesi fa. Un rapporto del Financial Stability Board dell’ottobre
2011 stimava la sua consistenza nel 2010 in 60 trilioni di dollari, di cui circa 25 in Usa e altrettanti in
cinque paesi europei: Francia, Germania, Italia, Olanda e Spagna. La cifra si
suppone corrisponda alla metà di tutti gli attivi dell’eurozona. (…). Sono
passati cinque anni dallo scoppio della crisi. Nella sua genesi le banche
europee hanno avuto un ruolo di primissimo piano a causa delle acrobazie
finanziarie in cui si sono impegnate, emulando e in certi casi superando quelle
americane. Ogni tanto qualche acrobata cade rovinosamente a terra; tra gli
ultimi, come noto, vi sono state grandi banche spagnole. Frattanto in pochi
mesi i governi europei hanno tagliato pensioni, salari, fondi per l’istruzione
e la sanità, personale della PA, adducendo a motivo l’inaridimento dei bilanci
pubblici. Che è reale, ma è dovuto principalmente ai 4 trilioni di euro spesi o
impegnati nella Ue al fine di salvare gli enti finanziari: parola di José
Manuel Barroso. Per contro, in tema di riforma del sistema finanziario essi si
limitano a raccomandare, esaminare e riflettere. Tra l’errore della diagnosi, i
rimedi peggiori del male e l’inanità della politica, l’uscita dalla crisi
rimane lontana.
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