Scrive la sociologa Chiara
Saraceno nel pezzo pubblicato sul quotidiano la Repubblica che ha per titolo “L’attrazione di CL per il potere politico”:
(…).
Monti e Passera non sono diversi da chi li ha preceduti su quella passerella (il
meeting di Comunione e Fatturazione, per dirla alla Marco Travaglio n.d.r.).
Anche se, da chi ha fatto della propria “tecnicità” legittimata dalla
competenza una specie di mantra, talvolta anche un po’ arrogante nei confronti
sia della politica che dei cittadini, ci si sarebbe aspettati un po’ più di
sobrietà e di concretezza e meno fumo. Sentirsi dire che c’è la luce in fondo
al tunnel suona un po’ come una presa in giro ai milioni di italiani e alle
loro famiglie alle prese con la crescita esponenziale della cassa integrazione,
alla difficoltà dei giovani di trovare un lavoro e un salario decente, alla
difficoltà di molte donne non solo a tenere un lavoro, ma a conciliarlo con la
presenza di responsabilità di cura in città costrette a tagliare servizi (e
posti di lavoro) che erano già insufficienti. Sono espressioni da campagna
elettorale, non da tecnici-politici responsabili e non attratti dalle sirene di
un consenso tanto facile, quanto effimero. È una delle poche voci
dissonanti nel panorama politico del bel paese. Poiché anche ai cosiddetti
tecnici è stato facile fare il salto del fossato e sentirsi subito dall’altra
parte. Quella, per l’appunto, del potere. Alla faccia della sobrietà. Ci ha
pensato per tempo il tale ministro della “paccata” di miliardi - “Non
possiamo mettere una ‘paccata’ di soldi sul tavolo e sperare dopo che ci sia
l’accordo, non si fa così” - in cambio di un’intesa sociale che sia. Un
calcio alla sobrietà del comunicare. E poi di quel tale sotto-sub-segretario
che suggeriva meno ferie agli italiani per mandar su il Pil. Ma quante ferie
pensa che abbiano fatto gli italiani in questa stagione canicolare? Alla faccia
della sobrietà del pensare. Ora, con la consueta sobrietà che tutti gli
riconoscono, il tecnico-premier manda a quel paese la sobrietà del pensare e
del dire – fidando in verità nella
dabbenaggine generale – per una capriola semantica affinché non si denominino più
“furbetti”
gli evasori fiscali per mezzo della quale piroetta semantica l’annoso problema della
evasione – perché no eversione sociale? - verrebbe risolto. Sembra tornati ai
tempi oscuri dell’EIAR. Del Minculpop. Dell’unanimità a tutti i costi. Le
veline distribuite con le paroline d’ordine da far viaggiare per l’etere. Ci
vuol ben altro. E loro, i signori tecnici al governo, da questo orecchio non ci
sentono. Ha scritto Francesco Merlo nell’editoriale che ha per titolo “Siamo un popolo di furbi” – la
Repubblica del 20 di agosto -: (…). …Machiavelli pensava che non si può
abolire la malizia italiana ma che bisogna domarla con il terrore; il bastone
del comando contro il sotterfugio e l’intrigo; il timore al posto dell’amore
per scansare tutte le trappole e le miserie della furbizia, tra le quale oggi
c’è certamente l’evasione fiscale. (…). Diciamo la verità: è impossibile non
condividere il senso di un appello che svela l’inghippo di un linguaggio
che non è innocente perché con la sua potenza è servito
e serve a far crescere il pelo sullo stomaco a generazioni di italiani e a far
credere che sia quella – appunto, la furbizia – la vera virtù da perseguire, in
luogo del senso civico. (…): se non siamo mai riusciti a diventare cittadini la
colpa non è del cattolicesimo o della disomogeneità dell’Italia o della
mancanza di senso dello Stato, o del familismo e delle mamme…. Noi siamo
marchiati perché ci siamo innamorati di questa natura ribalda della furbizia
italiana che è una potentissima ideologia con un solo comandamento: amare Dio e
fottere il prossimo. (…). Secondo Natalia Ginzburg, gli italiani hanno sempre
cercato di sostituire le parole vive con cadaveri semantici che ne attenuino i
significati. Tra gli orrori del politicamente corretto ci sono il cieco che
diventa ‘non vedente’ e lo spazzino ‘operatore di pulizia’. In ‘Amici miei’
questo vezzo dell’eufemismo viene preso in giro cosi: <non si dice impotente
ma ‘non trombante’>. Berlusconi, che è maestro di commedia all’italiana, ha
inventato per noi ‘utilizzatore finale’, ‘cena elegante’, ‘burlesque’ e sono,
per dirla con la Ginzburg cadaveri semantici che sostituiscono parole vive che
invito il lettore a indovinare. E stavo per dimenticare la ‘escort’ al posto di
…E che dire dei furbetti del quartierino: sono eroi o malfattori, o eroici
malfattori? (…). Ecco, d’ora in poi – per editto del governo - non si chiamino
più “furbetti”:
cosa cambierà nel concreto? Nel concreto le cose da farsi ce le spiega Bruno
Tinti su “il Fatto Quotidiano” del 18 di agosto – “All’estero vanno in galera da noi non rischiano nulla” -: (…).
Il mio ex collega Davigo mi ha raccontato, tra il riso e il pianto, la sua
esperienza americana. Visita al carcere di Pasadena. Il direttore gli spiega
che lì sono detenuti i colletti bianchi e in particolare gli evasori fiscali.
Davigo si sente un pezzente (in Italia, come ho detto, non si usa) e chiede con
un filo di voce: “Perché, voi gli evasori fiscali li mettete in prigione?”. E
il Direttore: “Certo. Hanno mentito al popolo americano”. Lascio alla vostra
fantasia immaginare la reazione di un qualsiasi nostro concittadino se gli si
spiegasse che è giusto arrestare gli evasori fiscali perché hanno mentito al
popolo italiano. (…). Sta di fatto che, in Italia, le sanzioni per questi reati
non solo sono ridicole ma in concreto non sono mai scontate; sia per le caratteristiche
proprie del processo penale italiano, costruito per non funzionare; sia per
quelle della legge penale tributaria, anch’essa costruita per garantire
l’impunità agli evasori. E sta di fatto che l’evasione fiscale è stata
incoraggiata e giustificata dalla classe politica italiana. Chi non ricorda
Berlusconi e il suo elogio dell’evasione fiscale? “Oltre il 35 % di aliquota,
l’evasione è legittima difesa”. Questo tipo di cultura (!) ha profondamente
inquinato il senso civico dei cittadini. Un professionista che inquisivo per
evasione fiscale e che aveva tentato di corrompere i marescialli della GdF che
indagavano su di lui, mi disse, dopo che lo avevo arrestato (per tentata
corruzione, per carità, non per frode fiscale; quella, per via della legge
italiana non sussisteva: si trattava di semplice dichiarazione infedele). “Sa
perché l’ho fatto? Perché ho lavorato a lungo negli Stati Uniti e lì, a parte
la prigione, l’evasione fiscale ti fa perdere di status sociale: tua moglie non
viene più invitata alle gare di torta di frutta con le altre mamme del
vicinato; e nessuno viene più ai tuoi barbecue del sabato pomeriggio; e, dopo
un po’, anche i clienti ti abbandonano. Ero terrorizzato”. Cultura civica,
senso dello Stato. Non so quanto tempo ci vorrà per formare cittadini onesti e
responsabili. Certo è che, se cominciassimo a mettere in prigione i
delinquenti, anche e soprattutto quelli fiscali, avremmo fatto un bel passo
avanti. (…). Le cose da farsi sono queste, senza giri di parole. Poiché
con le parole si può perdere anche l’anima e ritrovarsi nella condizione del
buon Renzo Tramaglino e del suo “latinorum”.
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