È un gioco perverso delle parti.
Parla – inopportunamente? - il “drago” della banca centrale europea e le borse
van giù che è una bellezza: - 4,6% di giovedì. Chiosa ingenuamente e con dire
criptico il temporaneo reggitore della cosa pubblica del bel paese che i
mercati sono tardi, ovvero lenti a capire il senso delle cose che avvengono sul
pianeta Terra. È veramente strano. Velocissimi a spostare risorse finanziarie
immense in un solo battito di ciglia, faticano a capire il senso delle cose
dette durante lo svolgimento dell’alto consesso di quella banca. Trascorrono
appena 24 ore, giusta una rotazione completa del pianeta Terra attorno al
proprio asse, e la borsa di Milano registra un +6,3%. Mi viene da dare ragione ai
cosiddetti “post-moderni” che, nel loro asperrimo scontro – per fortuna
eminentemente intellettuale - con quelli del “nuovo realismo”,
asseriscono che i fatti in quanto tali non esistono proprio ma esiste soltanto
la loro interpretazione. I fatti della finanza impazzita, che sono reali, sembrano
dar loro ragione. È come si vedono le cose di questo assurdo, ingiusto mondo! È
la sempiterna storia del bicchiere che per alcuni è mezzo vuoto, per altri
mezzo pieno. Sarà! Ma così il gioco diventa veramente pesante. I fatti sono
fatti e c’è poco da scherzare. Afferma Martin Schulz, quello eletto Kapò
dall’egoarca di Arcore di infelice e tristissima memoria: - I cittadini sentono l’Europa
lontana. Non accettano che le decisioni sulla loro pelle siano prese da un
gruppo ristretto. L’Europa non è delle banche. È ora che la politica riprenda
il primato sui mercati -. Ben detto. Ma qual è, e dov’è, la politica
che possa riprendere “il primato sui mercati”? Sarebbe la
stessa politica che è rimasta indifferente – se non ne avesse creato anche le
condizioni materiali - all’affermarsi della finanza predatrice che come un’idra
a più teste divora l’economia reale? Ed il futuro delle giovani generazioni? Per
avere contezza di queste affermazioni basta che si legga, con pazienza, quanto
ha scritto sull’argomento il professor Luciano Gallino nella analisi pubblicata
sul quotidiano la Repubblica col titolo “Sulla
crisi pesano i debiti delle banche”, che di seguito propongo in parte. I
fatti sono fatti e nulla può distogliermi da questo semplice convincimento, a
dispetto dello scontro titanico tra quelli del “nuovo realismo” ed i
cosiddetti “post-moderni”. Ne sembra convinto anche Moni Ovadia nella nota
“Sto con i tartassati. Non è demagogia” nella Sua rubrica domenicale sul
quotidiano l’Unità: - (…). L’ideologia dell’intimidazione
demagogica contro chi chiede giustizia sociale, dignità e diritti, è figlia di
una precisa pedagogia che per secoli e secoli ha costruito il mondo a misura
dei potenti e dei loro privilegi. Dalla Rivoluzione francese in avanti, questa
pedagogia è stata contrastata con crescente forza fino a tutti gli anni
Settanta del Novecento, con conquiste significative e con un orizzonte di
speranza. Ma dal crollo del cosiddetto comunismo in poi, la demagogia del
privilegio si è riaffermata con questo messaggio: «Vi eravate illusi, lo Stato sociale
è morto, vi spetta una vita grama, chinate la testa!» -. Ed i fatti
stanno lì a dimostrarlo. Se ce ne fosse stato bisogno.
Il 20 luglio la Camera ha
approvato il “Patto fiscale”, trattato Ue che impone di ridurre il debito
pubblico al 60% del Pil in vent’anni. Comporterà per l’Italia una riduzione del
debito di una cinquantina di miliardi l’anno, dal 2013 al 2032. Una cifra
mostruosa che lascia aperte due sole possibilità: o il patto non viene
rispettato, o condanna il Paese a una generazione di povertà. Approvando senza
un minimo di discussione il testo la maggioranza parlamentare ha però fatto
anche di peggio. Ha impresso il sigillo della massima istituzione della
democrazia a una interpretazione del tutto errata della crisi iniziata nel
2007. Quella della vulgata che vede le sue cause nell’eccesso di spesa dello
Stato, soprattutto della spesa sociale. In realtà le cause della crisi sono da
ricercarsi nel sistema finanziario, cosa di cui nessuno dubitava sino agli
inizi del 2010. Da quel momento in poi ha avuto inizio l’operazione che un
analista tedesco ha definito il più grande successo di relazioni pubbliche di
tutti i tempi: la crisi nata dalle banche è stata mascherata da crisi del
debito pubblico. In sintesi la crisi è nata dal fatto che le banche Ue (come si
continuano a chiamare, benché molte siano conglomerati finanziari formati da
centinaia di società, tra le quali vi sono anche delle banche) sono gravate da
una montagna di debiti e di crediti, di cui nessuno riesce a stabilire l’esatto
ammontare né il rischio di insolvenza. Ciò avviene perché al pari delle
consorelle Usa esse hanno creato, con l’aiuto dei governi e della legislazione,
una gigantesca “finanza ombra”, un sistema finanziario parallelo i cui attivi e
passivi non sono registrati in bilancio, per cui nessuno riesce a capire dove
esattamente siano collocati né a misurarne il valore. La finanza ombra è
formata da varie entità che operano come banche senza esserlo. Molti sono
fondi: monetari, speculativi, di investimento, immobiliari. Il maggior pilastro
di essa sono però le società di scopo create dalle banche stesse, chiamate
Veicoli di investimento strutturato (acronimo Siv) o Veicoli per scopi speciali
(Spv) e simili. Il nome di veicoli è quanto mai appropriato, perché essi
servono anzitutto a trasportare fuori bilancio i crediti concessi da una banca,
in modo che essa possa immediatamente concederne altri per ricavarne un utile. Infatti,
quando una banca concede un prestito, deve versare una quota a titolo di
riserva alla banca centrale (la Bce per i paesi Ue). Accade però che se
continua a concedere prestiti, ad un certo punto le mancano i capitali da
versare come riserva. Ecco allora la grande trovata: i crediti vengono
trasformati in un titolo commerciale, venduti in tale forma a un Siv creato
dalla stessa banca, e tolti dal bilancio. Con ciò la banca può ricominciare a
concedere prestiti, oltre a incassare subito l’ammontare dei prestiti concessi,
invece di aspettare anni come avviene ad esempio con un mutuo. Mediante tale
dispositivo, riprodotto in centinaia di esemplari dalle maggiori banche Usa e
Ue, spesso collocati in paradisi fiscali, esse hanno concesso a famiglie, imprese
ed enti finanziari trilioni di dollari e di euro che le loro riserve, o il loro
capitale proprio, non avrebbero mai permesso loro di concedere. Creando così
rischi gravi per l’intero sistema finanziario. (…). Come notavano già nel 2006
due economisti americani, G. B. Gorton e N. S. Souleles, «i Spv sono
essenzialmente società robot che non hanno dipendenti, non prendono decisioni
economiche di rilievo, né hanno una collocazione fisica». Uno dei casi
esemplari citati nella letteratura sulla finanza ombra è il Rhineland Funding,
un Spv creato dalla banca tedesca IKB, che nel 2007 aveva un capitale proprio
di 500 (cinquecento) dollari e gestiva un portafoglio di crediti cartolarizzati
di 13 miliardi di euro. L’esilità strutturale dei Siv o Spv comporta che la
separazione categorica tra responsabilità della banca sponsor, che dovrebbe
essere totale, sia in realtà insostenibile. (…). La finanza ombra è stata una
delle cause determinanti della crisi finanziaria esplosa nel 2007. In Usa essa è
discussa e studiata fin dall’estate di quell’anno. Nella Ue sembrano essersi
svegliati pochi mesi fa. Un rapporto del Financial Stability Board dell’ottobre
2011 stimava la sua consistenza nel 2010 in 60 trilioni di dollari, di cui circa 25 in Usa e altrettanti in
cinque paesi europei: Francia, Germania, Italia, Olanda e Spagna. La cifra si
suppone corrisponda alla metà di tutti gli attivi dell’eurozona. (…). Sono
passati cinque anni dallo scoppio della crisi. Nella sua genesi le banche
europee hanno avuto un ruolo di primissimo piano a causa delle acrobazie
finanziarie in cui si sono impegnate, emulando e in certi casi superando quelle
americane. Ogni tanto qualche acrobata cade rovinosamente a terra; tra gli
ultimi, come noto, vi sono state grandi banche spagnole. Frattanto in pochi
mesi i governi europei hanno tagliato pensioni, salari, fondi per l’istruzione
e la sanità, personale della PA, adducendo a motivo l’inaridimento dei bilanci
pubblici. Che è reale, ma è dovuto principalmente ai 4 trilioni di euro spesi o
impegnati nella Ue al fine di salvare gli enti finanziari: parola di José
Manuel Barroso. Per contro, in tema di riforma del sistema finanziario essi si
limitano a raccomandare, esaminare e riflettere. Tra l’errore della diagnosi, i
rimedi peggiori del male e l’inanità della politica, l’uscita dalla crisi
rimane lontana.
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