"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 26 giugno 2025

Lastoriasiamonoi. 71 Aya Ashour: «Porto già con me il peso di tutto ciò che ho lasciato: la famiglia, ancora affamata e vulnerabile; gli amici; i ricordi; la mia vita; il mio passato; la città natale; la mia infanzia; la mia gente. Sono partita senza nulla, ma sono sopravvissuta a un genocidio e a un inferno».

                                        Sopra. Aya Ashour, anni 24.

“Lascio la mia terra per esserne il futuro”, corrispondenza di Aya Ashour dalla terra di Palestina: Dopo un secondo ritardo nella mia partenza da Gaza, coordinata dal Consolato Generale d’Italia a Gerusalemme, sono finalmente riuscita – al terzo tentativo – a lasciare la Striscia di Gaza. Il modo in cui è avvenuto, e le emozioni che mi ha portato, sono al di là di qualsiasi cosa io possa descrivere. Dopo un anno intero di sforzi instancabili da parte dell’Università per Stranieri di Siena per permettermi di partire dalla Striscia in modo che potessi continuare la mia formazione come ricercatore ospite – con il coordinamento del Ministero degli Affari Esteri italiano e del Consolato, appunto – posso annunciare di aver lasciato Gaza ieri alle quattro del mattino da Deir al Balah, passando per il valico di Kerem Shalom e poi per il Jordan Bridge. Mi trovo ad Amman mentre scrivo questo articolo, l’ennesimo chiesto da Giampiero Calapà per il Fatto. E mentre scrivo, sono seduta sotto una lampada, l’elettricità funziona qui, con l’aria fresca e cibo e bevande a portata di mano. Ma la mia famiglia, i miei cari e oltre due milioni di gazawi sono ancora lì, affamati, sfollati, senza casa, sotto le bombe e i razzi, alla mercé di Israele e del mondo. La sera prima di partire, ho passato la giornata a guardare i volti della mia famiglia tra le lacrime. Piangevamo tutti, impotenti, e i nostri occhi parlavano una lingua muta: “Non voglio lasciare questa terra. Voglio restare con la mia famiglia. La mia famiglia vuole che io rimanga con loro”. Ma la verità è che non ci è concesso il lusso di poter scegliere. Il mio obiettivo, e quello della mia famiglia per me, è continuare a studiare, inseguire il mio sogno e rappresentare il mio Paese. L’ultima notte a Gaza ho cercato di dormire, ma non ci sono riuscita. Sono rimasta sdraiata per quattro ore e poi mi sono svegliata alle 2 del mattino, cercando il mio smartphone. Era ancora presto: l’orario di partenza era fissato alle 3,45. Ho iniziato a guardare i volti addormentati delle mie sorelle accanto a me: Noor, Jana e Rola. Mi è venuto da piangere, di nuovo, ma il mio cuore si è come bloccato in quel momento.

martedì 24 giugno 2025

Lavitadeglialtri. 100 Concita De Gregorio: «E quindi. Quindi niente. Fra vicini bisognerebbe aiutarsi, ma la vita è così. Dura».


Il ventiquattro di giugno vedeva sorgere un’alba strana sulle case vecchie della città. [...]. Silenzio fino a mezzogiorno, persino sulle osterie. Sembravano borgate di morti. Ma dietro le facciate impenetrabili, non era la morte, bensì l'attesa di un momento di vita vera, sfrenata, libera; perché la gente cercava di dormire qualche ora in più per essere più sveglia la notte quando, con il primo buio, le porte si spalancavano, le strade si illuminavano a giorno e la gente correva fuori, nelle strade, nei campi, sugli argini, verso le colline. Sull'erba si mangiava, si beveva, ed era l'amore per se stesso quello che imponeva l'ebbrezza comune, libero da distinzioni, da pudori, dalle oscure radici dell'intimità e dell'egoismo. Era una follia antica, che s'interrompeva allorché dai campanili arrivava il suono della mezzanotte. Sotto la luna, allora, e sull'erba già umida, la folla ammutoliva [...]. Finché uno, il primo, non si alzava dal suo posto e dal suo cibo, alzando le braccia e avvicinandosi al volto le mani tremanti; si copriva la faccia con le mani, accarezzandosi sulla pelle il velo sottile della rugiada e gridava: «La manna! La manna!...». (Tratto da “La califfa” – 1964 - di Alberto Bevilacqua).