Ha scritto Gustavo Zagreblesky in
“Contro l’etica della verità” –
Editori Laterza (2008), pagg. 172 € 15 -: (…). Il dubbio, (…), al contrario del
radicale scetticismo, presuppone l’afferrabilità delle cose umane, ma, insieme,
l’insicurezza di averle afferrate veramente, cioè la consapevolezza del
carattere necessariamente fallace o mai completamente perfetto della conoscenza
umana, cioè ancora la coscienza che la profondità delle cose, pur se sondabile,
è però inesauribile. Onde, di ogni nostra conoscenza, deve dirsi ch’essa è non
fallace o impossibile, ma sempre, necessariamente, superficiale. Il dubbio si
esprime così: - sarà davvero vero? –, e questo, in certo senso, è un duplice
omaggio alla verità, insieme al riconoscimento della nostra limitatezza nei
suoi confronti. Il dubbio contiene quindi un elogio della verità, ma di una
verità che ha sempre e di nuovo da essere esaminata e ri-scoperta. Così,
l’etica del dubbio non è contro la verità, ma contro la verità dogmatica, che è
quella che vuole fissare le cose una volta per tutte e impedire o squalificare
quella cruciale domanda: - sarà davvero vero? -. (…)“. Schierarsi contro
“l’etica
della verità” è da sempre una pre-condizione propria di chi aspiri a
fare della vita associata un momento d’inclusione e di crescita sia personale
che collettiva. Ci si ritrova invece, in questo primo ventennio del secolo
ventunesimo, come nei momenti più bui della storia umana. E come nei secoli
dell’oscurantismo più assoluto la mia “verità” non può in alcun modo coesistere
con la tua “verità”. Ne viene fuori la spietatezza dell’oggi che, sotto le
bandiere rosso-sangue delle “verità” contrapposte, genera distruzioni
e morte in nome di un “assolutismo” anacronistico e fallace. La “verità” è
stata da sempre quello “specchietto” entro il quale è andato specchiandosi l’arretratezza
culturale e l’intransigenza assolutistica che ha avuto eccellenti campioni in
tutte quelle religioni che diconsi “rivelate”. Una stortura gigantesca all’ombra
della quale le nequizie e le atrocità hanno trovato facile terreno di coltura
al pari della gramigna evangelica che il tutto ricopre e distrugge. Ha scritto Andrea
Muni sul settimanale “l’Espresso” del 7 di maggio 2017 – “La post-verità ci mette in gioco”:
(…). …la verità non è fatta per
essere conosciuta e sancita da una cattedra, da un pulpito o dalle colonne di
un importante quotidiano. La verità è fatta per essere inflitta e subita,
quotidianamente, nei più minuti e banali momenti delle nostre esistenze; è
fatta per essere “giocata”... ma questo ci fa male, ci angoscia, perché in
fondo noi non vorremmo esserla, preferiremmo limitarci a essere i suoi
portavoce, i suoi servitori. Vorremmo che la verità restasse qualcosa a cui
possiamo appellarci, qualcosa che possiamo “dimostrare” e al contempo qualcosa
che - in caso di fallimento - potremo in ogni caso rinnegare, espellere o
maledire. Ma se vogliamo ancora osare dirci “democratici”, in un momento
storico in cui questa parola sembra avere i giorni contati, dobbiamo accettare
che la post-verità - se scegliamo di chiamare così l’eredità del relativismo -
non è altro che la verità nuda: la verità una volta fatti i conti con l’orrore
che proviamo nell’ammettere a noi stessi che non c’è alcuna garanzia ultima della
“bontà” di ciò che insegniamo e di ciò per cui lottiamo. È questa
consapevolezza della intrinseca limitatezza della “verità”, anzi di tutte le “verità”
che consentiranno al genere umano di arrestare l’inabissamento in quel pelago
periglioso che ha come caratteristica precipua l’“assolutismo” delle “verità
rivelate”. Ci ha provato da par Suo Umberto Galimberti a sbrogliare l’intricata
matassa “Sull'utilità della menzogna per
la vita” sul settimanale “D” del 27 di maggio 2017 laddove scrive che “non
misuriamo la Falsità a partire dalla verità, perché anche la cosiddetta verità
può essere un inganno condiviso”. E quante volte nella Storia degli
umani ci si è serviti di quell’”inganno condiviso” per i progetti
più abietti di potere e di ricchezza? E l’illustre Autore così dispiega il Suo
ragionare: Se pensiamo che la bugia è il contrario della verità, viene spontaneo
disapprovare chi mente. Ma se consideriamo che la bugia può essere utile alla
vita, e forse più di quanto non lo sia la verità, allora il nostro giudizio
cambia, fino a far sorgere il sospetto che chi sa mentire ha capacità cognitive
decisamente più sviluppate di chi sa dire solo la verità. Del resto anche
Platone riferisce che: "Mentire coscientemente e volutamente ha più valore
che dire involontariamente la verità». (…). Considerata dal punto di vista
della vita (e non della verità), diciamo subito che la bugia non è una
prerogativa unicamente umana, ma appartiene a tutti i viventi, ai vegetali come
agli animali. Gli uni e gli altri, infatti, sanno confondere chi potrebbe recar
loro danno privandolo delle informazioni necessarie per orientare la sua
condotta predatoria, oppure per attirarlo con stratagemmi mimetici, come
l'orchidea africana che imita l'aspetto dei fiori ricchi di nettare per
attirare insetti e farfalle, o come molte specie animali che, mimetizzandosi,
si confondono con l'ambiente, mettendo fuori gioco la forza dell'avversario
alla cui vista si sottraggono con l'inganno mimetico. Passando al mondo umano è
sufficiente ricordare l'Iliade, che è la prima grande narrazione della cultura
occidentale, dove la guerra è vinta non con l'uso brutale della forza, ma con
l'inganno messo in atto con l'uso sofisticato dell'intelligenza, che consente a
Nietzsche, a cui non sfugge questo passaggio, di dire che: «L'intelletto, come
mezzo per conservare l'individuo, spiega le sue forze principali nella
finzione». E non sono quindi finzione tutti i giochi, se è vero che la parola
latina "ludere" che noi traduciamo con "giocare", da cui
"il-ludere", che significa "farsi gioco", "far finta
di", quindi ingannare, in pratica: "dire bugie"? Non bisogna
rimproverare i bambini quando mentono perché non possiedono ancora una netta
distinzione tra realtà e fantasia. E se continuano a mentire dopo che questa
distinzione è acquisita, non bisogna smascherarli con frasi tipo: «Io ti
conosco meglio di te», «Io so tutto di te», perché con la bugia i bambini
vogliono crearsi quel minimo di autonomia dal mondo genitoriale che non bisogna
mortificare: è il primo passo di un loro processo di individuazione. Nel mondo
adulto, oltre alla menzogna consapevole per conseguire determinati scopi, può
esistere una tendenza alla menzogna nella forma dell'esagerazione, della
millanteria, del falso ricordo o della vera bugia. In questi casi per mentire
bisogna essere almeno in due, e sotto questo profilo la bugia può essere
considerata un veicolo alla socializzazione oltre che un segnale di
intelligenza, perché chi mente deve entrare nella mente dell'altro, conoscerne le
aspettative, per intuire quello che l'altro vuol sentirsi dire o è disposto a
credere. Tutto ciò esige una rappresentazione della mente dell'altro da cui è
esonerato chi dice il vero. Ma oltre a ingannare gli altri, c'è anche, e non è
rara, la possibilità di ingannare se stessi, costruendo una rappresentazione di
sé e del mondo che si abita che non corrisponde per nulla alla realtà. La
psicoanalisi può essere considerata come lo svelamento dell'autoinganno di cui
è vittima l'Io che, come ci ricorda Freud, "non è padrone in casa
propria", perché molti suoi pensieri altro non sono che razionalizzazioni
di desideri inconsci. Lo stesso diceva Marx a proposito delle ideologie:
"Le idee dominanti sono le idee della classe dominante". Nietzsche
rispondeva così alla domanda: "Cos'è la verità? Un nobile esercito di
metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che
dopo un lungo uso sembrano a un popolo solide e canoniche: le verità sono
illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria". Questo è frequente
in quella forma di autoinganno in cui chi mente finisce col credere alla
propria menzogna. "Soggetti simili", scrive Jung di Hitler,
"possono avere uno strepitoso successo e perciò essere socialmente
pericolosi, perché nulla è più persuasivo di una bugia a cui presta fede anche
colui che l'ha ideata". Come si vede, verità e menzogna si scambiano le
carte e, in questo gioco, la posta in palio non è il conseguimento della
verità, ma delle migliori condizioni per vivere.
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