Da “Brexit,
a spaventare la UE è la democrazia” di Alberto Bagnai, pubblicato su “il
Fatto Quotidiano” del 16 di giugno dell’anno 2016: (…). Parto dall’osservazione più
semplice: le stesse istituzioni, in qualche caso addirittura le stesse persone,
che ci stanno prospettando sciagure inerarrabili in caso di uscita del Regno
Unito dalla Ue, sono quelle che ci hanno promesso prosperità e pace grazie alla
nostra adesione al progetto europeo. Un esempio per tutti: Donald Tusk, secondo
cui la Brexit sarebbe “la fine della civiltà politica europea”. Siamo di fronte
alla forma più esasperata del fenomeno descritto da Giandomenico Majone,
professore emerito di Scienze politiche all’Istituto Universitario Europeo, nel
suo libro Rethinking the union of Europe: il passaggio dalla cultura politica
dell’ottimismo totale, quella che ha portato a negare nei Trattati
l’eventualità di una crisi, al suo contrario, la cultura della politica del
catastrofismo totale, quella che, al verificarsi di una crisi, paralizza
l’azione dei governanti, scaricando i costi sui cittadini. Invertendone la
polarità (da positiva a negativa) la demagogia non cambia: la prima vittima
della Brexit è la credibilità delle autorità europee, così caricaturali nel
loro profetizzare sventure, che perfino Alesina e Giavazzi hanno sentito
l’esigenza di distanziarsi! Ma non finisce qui. Come saprete, l’Unione europea
si propone esplicitamente di costituire una unione monetaria fra tutti i paesi
membri (art.2, comma 4 del Trattato di Lisbona). Saprete anche che mentre il
Trattato di Maastricht non prevede l’eventualità di uscita dall’unione
monetaria, il Trattato di Lisbona prevede, all’art.50, il recesso di un paese
membro dell’Unione europea. Un aborto giuridico e politico, da cui è però
immune il Regno Unito, che non ha firmato il Trattato di Maastricht (lo
evidenzio per quelli che parlano di uscita dell’“Inghilterra” dall’euro). Il
punto è un altro: prendiamo per buona l’ipotesi che l’uscita di un paese
dall’Unione causi sconquassi epocali. Se così fosse, dovremmo concludere che il
Trattato di Lisbona, in quanto prevede un’eventualità tanto destabilizzante, è
il parto di una combriccola di incoscienti e andrebbe riscritto. Facciamo ora
l’ipotesi contraria, più ragionevole: quella che dopo la Brexit il sole
continuerebbe a sorgere, gli inglesi a comprare Bmw, e i vassalli della Merkel
a bere whisky (non sempre con moderazione, com’è noto). In questo caso staremmo
assistendo allo spettacolo incivile e inquietante di istituzioni che, chiamate
dal loro ruolo a garantire il rispetto dei Trattati, minacciano invece
ritorsioni verso un paese perché questo intende esercitare un diritto che i
Trattati sanciscono. Dalla Brexit Bruxelles esce comunque distrutta: o ha
scritto un Trattato inapplicabile (vedi alla voce “ottimismo totale”) o si
rifiuta di applicarlo (celando le sue smanie totalitarie dietro la cortina
fumogena del “catastrofismo totale”). Ripeto: o Bruxelles ha sbagliato
scrivendo male il Trattato, o sbaglia nell’ostacolarne l’applicazione. Tertium
non datur. La seconda vittima della Brexit è quindi la credibilità del progetto
cosidetto “europeo”. Quest’ultimo si qualifica una volta di più come
profondamente eversivo dell’ordine costituito, un insulto allo stato di diritto
e alle norme basilari dell’ordinamento internazionale, a partire dalla più
ovvia e universalmente nota: pacta sunt servanda.
Qualcuno intuisce quale sia
il vero nodo politico: consentire la Brexit creerebbe un precedente. Ma perché
questo sarebbe tanto pericoloso? Perché quella di permettere di andarsene a chi
lo desideri è solo l’ultima fra le tante promesse che Bruxelles ha fatto senza
avere intenzione di mantenerle. Non ci ha dato “progresso economico e sociale”,
non ci ha dato “un elevato livello di occupazione”, e non intende nemmeno
permetterci di cercarli autonomamente. Le tensioni secessioniste sono quindi
inevitabili. Se l’andazzo non cambierà finirà male per noi e peggio per Donald
(Tusk) da Danzica, cui è già riservato un posticino accanto a Guido da
Montefeltro: se lo è meritato intepretando l’art. 50 del Trattato di Lisbona
come una “lunga promessa con l’attender corto”. Questo suo comportamento, non
la Brexit, sta compromettendo la civiltà politica occidentale. (…).
Nessun commento:
Posta un commento