Da “La
politica che abdica” di Ezio Mauro, pubblicato sul quotidiano la Repubblica
del 25 di giugno dell’anno 2016: Cosa si muove nel sentimento profondo del
popolo? Come se la vita fosse senza dubbi, e la vita pubblica senza sfumature,
il referendum sembra costruito apposta per questi tempi radicali,
radicalizzando i due corni dell'opinione pubblica nelle loro forme estreme,
dove c'è spazio soltanto per essere totalmente a favore o definitivamente
contro. Sembra il massimo dell'espressione democratica, la parola al popolo,
come la scelta tra Gesù e Barabba. E invece è l'espressione basica e universale
della democrazia che cerca se stessa, quando i rappresentanti non sono in grado
di elaborare una proposta politica convincente, si spogliano della loro
responsabilità e delegano la scelta ai cittadini, saltando i parlamenti e i
governi per raggiungere una vox populi dove fatalmente si mescola la ragione e
l'istinto, l'emozione e la frustrazione, l'individuale e il collettivo. In
questo senso, il pronunciamento popolare è il più ricco di contenuto e di
ingredienti soggettivi. In un senso più generale, è un'altra prova di
abdicazione della politica organizzata nella sua forma storica tradizionale,
che oggi rinuncia ad assumersi i suoi rischi e ricorre al popolo per rincorrere
in realtà il populismo che la sta mangiando a morsi e bocconi. (…). Ma che
importa, se è vero quel che diceva Nietzsche: "La decadenza è scegliere
istintivamente ciò che è nocivo, lasciarsi sedurre da motivazioni non
finalizzate". Ci sono momenti in cui l'istinto di dare una forma politica
visibile alla decadenza in cui viviamo prevale su tutto, anche sulle
convenienze. (…). Vale dunque la pena di cercare i caratteri generali di un
fenomeno che (…) sta covando come una febbre sotto la pelle di tutta l'Europa.
(…). L'europeismo non è più un sentimento politico, in nessuno dei nostri
Paesi. L'antieuropeismo è invece un risentimento robusto e potente, distribuito
a piene mani dovunque. La radicalizzazione delle scelte senza mediazioni, come
quella del referendum (in Inghilterra n.d.r.), realizza un processo alchemico
strepitoso e inedito nel dopoguerra, trasformando immediatamente e
definitivamente il risentimento in politica, quella politica in vincolo, quel
vincolo in destino generale. Tutto ciò che un processo storico lento, prudente
e tuttavia visionario ha costruito in decenni, si spezza così in una sola giornata,
probabilmente per sempre. Minoritario sugli scranni del parlamento, il
populismo anti-sistema e anti-istituzionale ha dunque portato a termine la sua
vittoria nelle piazze, sommando le frustrazioni individuali, le separazioni e
le solitudini, lo smarrimento delle comunità reali nella ricerca artificiale di
una comunità di sicurezza e di rassicurazione che non è più territoriale e
nazionale (nonostante lo slogan "Brexit") ma è spirituale e politica,
una sorta di secessione dalla forma istituzionale organizzata che i popoli
europei si erano costruiti nel lungo dopoguerra di pace, per crescere insieme
cercando un futuro comune. Il risentimento ha le sue ragioni, tutte visibili a
occhio nudo. L'impotenza della politica prima di tutto, schiacciata dalla sproporzione
tra problemi sovranazionali (la crisi, l'immigrazione, il terrorismo) e le
sovranità nazionali a cui chiediamo protezione. Poi la lontananza burocratica
dell'Unione Europea, che percepiamo come un'obbligazione disciplinare senza più
rintracciare la legittimità di quella disciplina. Quindi il peso ingigantito
delle disuguaglianze che diventano esclusioni, la nuova cifra dell'epoca. In
più la sensazione tragica che la democrazia e i suoi principii valgano soltanto
per i garantiti e non per i perdenti della globalizzazione. Ancora la rottura
del vincolo di società che aveva fin qui unito — nelle differenze — il ricco e
il povero in una sorta di comunità di destino, mentre il primo può ormai fare a
meno del secondo. Infine e soprattutto il sentimento di precarietà diffusa e
dominante, la mancanza di sicurezza, la scomparsa del futuro e non solo
dell'avvenire, la sensazione di una perdita complessiva di controllo dei
fenomeni in corso: di fronte ai quali l'individuo è solo, immerso nel moderno
terrore di smarrire il filo di esperienze condivise, vale a dire ciò che gli
resta della memoria, quel che sostituisce l'identità.È evidente come tutto
questo favorisca un linguaggio di destra, una semplificazione demagogica, una
banalizzazione antipolitica, uno sfogo nel politicamente scorretto e una via di
fuga nell'estremismo, (…). In realtà, c'è uno spazio enorme per una riconquista
della politica, se sapesse ritrovare una voce credibile e per la costruzione
europea, se sapesse riscoprire l'ambizione di sé. Altrimenti varrà, a partire
proprio dal Brexit, la profezia di George Steiner, secondo cui l'Europa ha
sempre pensato di dover morire. Mentre ormai soltanto gli immigrati vedono
nella nostra terra quel che noi non sappiamo più vedere: semplicemente
"una dimora, e un nome".
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