La “sfogliatura” di oggi
risale al mercoledì 28 di settembre 2011. Scrivevo a quel tempo: Sapete di già che l’intestazione di questa
sezione del blog (“doveravatetutti” intestazione ripresa
per questo blog approdato successivamente alla data del 28 di settembre 2011 su
di un’altra piattaforma n.d.r.) è presa di
peso dal volume che ha per titolo “Dove
eravate tutti” di Paolo Di Paolo di recente pubblicazione presso Feltrinelli
(2011) – pagg. 224 € 15,00 -. Ho avuto modo di leggere sul quotidiano “la
Repubblica” una intervista dell’Autore rilasciata ad Antonio Tabucchi, quello
di “Sostiene Pereira” e tanto altro
ancora. Titolo dell’intervista, che di seguito trascrivo in parte:”Quel che resta del Paese di colpo
grosso". Paolo Di Paolo è uno scrittore giovanissimo essendo nato
nell’anno 1983. Al tempo della “discesa
in campo” dell’unto Paolo Di Paolo è grosso modo un ragazzetto che ha avuto
però tutto il tempo per assorbire, subendolo, il “potere” instaurato nel bel paese. Dove eravate tutti?
L’interrogativo manca nel bel libro di Paolo Di Paolo. È mio. Ed è la domanda
che dovremmo cominciare a porci ed a porre ora che l’avventura dell’unto sembra
volgere al termine. Oggigiorno è tutto un innalzare al cielo altissimi lai e
reprimende severe. Da parte di chi? Da parte di tutti quelli dai quali sarebbe
interessante sapere “dove eravate”
negli anni del tempo dell’unto? Che è ancora il tempo dell’unto. È ancora lì a
dimenarsi come un mostro in agonia. E così quelli della Confindustria; e così
quelli della chiesa di Roma. È tutto un susseguirsi di sdegnate prese di
posizione contro quel mondo senza onore e carità creato nel bel paese da tristi
personaggi simili in tutto a quei personaggi della celluloide che il grande regista
russo Aleksandr Nikolayevič Sokurov – “Leone d’oro” a Venezia 2011 con il Film “Faust” – rappresenta magistralmente
nella Sua memorabile opera “Moloch”.
Il “moloch” de’ noantri. Afferma
Paolo Di Paolo:
“l'Italia, per vent'anni, è stata una nave da crociera”. Come non dargli ragione? Ed i crocieristi?
Imbesuiti “sulla nave da crociera, abbiamo preso il largo. Diretti dove? Era
impossibile capirlo. Ma siamo rimasti a bordo per vent'anni”. Scrivevo in uno dei primissimi post di
questo blog, il 27 di giugno dell’anno 2003: A seguito delle singolari vicende parlamentari che hanno portato il
Paese a dotarsi di una "legge" tutta speciale che vale solo per
cinque persone. Stiamo smarrendo la nostra identità e con essa anche la
possibilità di costruire una sempre più civile convivenza. La civile convivenza
di un Paese, di un qualsiasi Paese di questo pianeta, deve avere dei tratti
fondamentali che ne impregnino tutto il tessuto civile, le istituzioni, il
ragionare collettivo che, seppur diversificato, riconosce in quei tratti
fondamentali il suo tratto caratteristico, il suo collante indiscutibile. Trovo
allora confortante proporre una "spiga d'oro” di un altro "grande
vecchio”, Paolo Sylos Labini, raccolta da una sua pubblicazione recente “Diario
di un cittadino indignato”. Essa, in un momento così difficile per il nostro
Paese, potrà essere memoria e guida per una pronta riscossa. “(...). La cultura è l'elemento unificante
di una società e nella cultura rientra l'arte. (...). Ma, per la società, non meno importante è l'onestà civile della
gente di ogni livello; è l'onestà civile diffusa che rende vivibile una
società. L' autostima a livello
popolare e la stima degli altri paesi sono la base dell'amor di patria e
dell'orgoglio di appartenere ad una comunità. Esortazioni, gare sportive e festeggiamenti non sono inutili, ma senza
quella base sono addirittura dannosi, perché pongono in risalto il contrasto
fra l'apparire e l'essere, e l'amor di patria, quando c'è ipocrisia, invece di
crescere diminuisce ulteriormente. (...)”. Mancano oggigiorno i grandi
Maestri. Che si indignavano sin d’allora. Non è giunto ancora il tempo per
stabilire primogeniture, per stabilire chi per primo abbia sentenziato “l’avevo detto”; non è giunto il tempo
ancora per chiedere conto degli atteggiamenti e dei comportamenti di ciascuno e
dei tanti. Ma la Storia è tutta lì. I conti bisognerà pur farli un giorno. (…). ‹‹Mi perdoni (è Paolo Di Paolo
che colloquia con Antonio Tabucchi n.d.r.) se entro nel campo personalissimo delle mie
visioni, se non addirittura delle mie allucinazioni. Mi creda, mi è sembrato di
averla davanti agli occhi: una nave da crociera. Il pensiero mi ha accompagnato
fino a notte e non mi ha ancora lasciato: l'Italia, per vent'anni, è stata una
nave da crociera. Non le pare? Con i campi da golf, le balere, le discoteche,
le piscine, il cinema, il piano-bar. La vacanza dev’essere cominciata con una
cosa che, per età, non riesco a ricordare per memoria diretta. Ne hanno mandati
in onda alcuni passaggi l'altra sera. Si chiamava Colpo grosso, lo
trasmettevano su Italia 7, gestione Fininvest››. Con questa citazione, che è a
p. 136, credo di aver toccato il cuore del romanzo di Paolo Di Paolo, Dove
eravate tutti,(…). L'autore appartiene a quella generazione che dall'infanzia a
oggi in Italia non ha conosciuto altro che il sistema tolemaico di
quell'imprenditore brianzolo proveniente da un’associazione eversiva che la
stampa italiana, con un anglicismo fuori luogo definisce il premier. E che ha
come seconders (a questo punto ci sta bene) boss mafiosi, corruttori di
giudici, sub-agenti dei servizi segreti, giornalisti al soldo, sicari,
cardinali, magnaccia e cocainomani. Un tipetto che di quella nave da crociera,
dove dapprima faceva l'intrattenitore, è divenuto il capitano. ‹‹Saliti sulla
nave da crociera, abbiamo preso il largo. Diretti dove? Era impossibile
capirlo. Ma siamo rimasti a bordo per vent'anni. Le vacanze erano finite,
veniva da piangere a tutti, come in una pubblicità. Però qualcuno deve aver
detto che si poteva restare. Si poteva non scendere più. Lui avrebbe continuato
a intrattenere, a sorridere, a cantare. Un giorno, quando sembrava che tutto
sarebbe durato così per sempre, il Capo sarebbe sceso›› (p. 137). Ecco per dove
era partita la nave da crociera su cui si era imbarcata l'Italia: verso
presunte ‹‹donne di sogno, banane e lamponi›› che l'intrattenitore, Joker di un
fumetto scadente, aveva promesso a tutti, ma proprio a tutti, firmando un
contratto televisivo seduto a una scrivania di ciliegio di fronte a un presentatore
che fingeva di essere il notaio. Il ventennio berlusconiano, mascherato di
pinzillacchere televisive, di bandane in ville cafone, di dittatori russi che
venivano dall'amico in Sardegna con un incrociatore militare, di dittatori
libici che venivano dall'amico a Roma con le loro amazzoni, di partouzes con
minorenni – se tutto questo è sembrato uno spettacolo di circo o un brutto
sogno, in realtà è successo davvero: è stata un'epoca truce e funebre che ha
scavato gallerie oscure nelle coscienze degli italiani. (…). ‹‹L'aria era
cambiata. Sulla nave da crociera, le luci erano rimaste accese. E attivi i
campi da golf, le balere, le discoteche, le piscine, il cinema, il piano-bar.
Ma c'era come un senso di smarrimento. Un'ansia strana si sarebbe comunicata di
passeggero in passeggero. L'equipaggio non era in grado di fornire alcuna
indicazione. Le luci restavano accese, notte dopo notte. Ma i campi da golf, le
balere, le discoteche, le piscine, il cinema, il piano-bar sembravano più
tristi e cominciavano a svuotarsi. Le feste c'erano ancora, ma come svogliate.
A muoversi – in modo scomposto e con le camicie sudate e le pance e i sorrisi
un po' ebeti – erano ormai quasi solo alcuni vecchi amici del Capo. I
passeggeri, loro cominciavano ad annoiarsi›› (p. 137). (…). La verità è che il
berlusconismo è un vuoto, (…): esso non è interpretabile, sfugge all'esegesi.
Dove eravate tutti (…) è la tesi sul vuoto di un ventennio (…). Il “ventennio”
risulta essere un termine del trascorrere del tempo infausto e presàgo di
sventure e malanimo diffuso per il bel paese. Ora come allora.
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