Da “La
democrazia dell’indifferenza” di Nadia Urbinati, sul quotidiano la
Repubblica del 18 di settembre dell’anno 2015: Oscar Wilde diceva che «il
problema del socialismo è che impegna troppe serate ». L’accusa di far perdere
tempo ai cittadini occupandoli di politica troppi giorni all’anno era ancora
più calzante per la democrazia, anche per questo tradizionalmente poco apprezzata.
A giudicare da quel che registriamo nelle nostre società, il problema della
panpolitica sembra definitivamente risolto. La situazione è anzi rovesciata: la
democrazia non interessa più così intensamente, e la politica occupa pochissimo
del tempo dei cittadini, lasciandoli anzi progressivamente più indifferenti. La
fine della democrazia dei partiti ha completato il ciclo dell’interesse per la
politica e sancito l’età del disimpegno. L’indifferenza verso la politica è
oggi l’emozione più popolarmente estesa, (…). La democrazia dei partiti è
passata. I partiti persistono, benché siano sconnessi dalla società larga,
protagonisti di battaglie che sempre più spesso mirano a rafforzare il loro
potere istituzionale. (…). L’indifferenza è la cifra della democrazia odierna.
Impoverita di partecipazione, depotenziata di efficacia a causa della fine
della democrazia dei partiti, la cittadinanza è resa ad arte luogo di emotività
a sostegno o come contorno di leader, svuotata di effettivo interesse perché
depauperata del potere di influenza. I “partiti cartello” svolgono
essenzialmente solo la funzione di cooptazione del personale politico da
portare nelle istituzioni, che cercando di adattare più che possono a questa
nuova loro identità, sancendo nelle norme la diminuita rilevanza del cittadino
come agente di sovranità. A questa riconfigurazione del partito tutta interna
alle istituzioni corrisponde una caduta di interesse dei cittadini per la
politica, in larghe fasce di popolazione una vera e propria indifferenza verso
la democrazia e le sue regole. Un termine, questo di “indifferenza”, che non
denota necessariamente reazione contro la politica, uno stato emotivo che è
tutto sommato espressione di una qualche pulsione mobilitante. Del resto, gli
avvenimenti politici appaiono impermeabili all’influenza dei cittadini e lo
stesso voto sembra poco incisivo e di fatto non identificato con la più
importante espressione di sovranità. Fareed Zakaria ha addirittura scritto che
il modello occidentale di democrazia potrebbe a questo punto fare a meno anche
degli elettori, poiché il suo centro sono gli istituti di controllo più che gli
organi elettivi. Alcuni studiosi parlano infine di una trasformazione della
rappresentanza, sempre meno associata alla formazione delle assemblee
legislative e al voto e sempre più intesa come rappresentazione simbolica di
questioni o rivendicazioni ( claim representation ), mezzo per sollevare
problemi più che per convogliarli verso la decisione. La politica si spezza in
due: quella che determina le decisioni che è sempre più un affare dei pochi che
i partiti-cartello captano e cooptano; quella che giudica e commenta da fuori
con scarsa o alcuna influenza e che è esercitata dai cittadini nei luoghi di
opinione non direttamente politici, come le associazioni, i blog o i social
network. Con l’esito che chi decide non ascolta e chi da fuori osserva e
giudica non è ascoltato.
È prevedibile che neppure la democrazia dell’audience reggerà alla caduta di interesse. Poiché assistere a uno spettacolo fatto da altri comporta in fondo interessarsi presumendo che le opinioni del pubblico non siano inermi. Questa ulteriore trasformazione della democrazia da audience a democrazia indifferente è misurata dagli studiosi in relazione a due fattori: la partecipazione al voto e l’arruolamento nei partiti. L’astensione elettorale è una piaga generalizzata in tutti i paesi a cosiddetta democrazia matura. A partire dagli anni Novanta, e senza interruzione, il trend di questo declino ha marcato i comportamenti elettorali dei cittadini di tutti i paesi europei. Parallelamente, è consolidata l’emorragia degli iscritti ai partiti (l’inversione di tendenza recepita nel Labour in seguito all’elezione di Corbyn conferma questo trend). L’abbandono dei partiti è stato in alcuni casi esemplari accompagnato dalla creazione di partiti non-partiti, di partiti-movimento. Questi hanno generano attenzione polemica e mosso l’opinione, ma senza dimostrare di riuscire a ridare efficacia alla cittadinanza, senza riuscire a rompere l’incantesimo della politica spezzata tra un dentro che decide e un fuori che sente di avere un ruolo irrilevante, indifferente all’andamento delle cose politiche.
È prevedibile che neppure la democrazia dell’audience reggerà alla caduta di interesse. Poiché assistere a uno spettacolo fatto da altri comporta in fondo interessarsi presumendo che le opinioni del pubblico non siano inermi. Questa ulteriore trasformazione della democrazia da audience a democrazia indifferente è misurata dagli studiosi in relazione a due fattori: la partecipazione al voto e l’arruolamento nei partiti. L’astensione elettorale è una piaga generalizzata in tutti i paesi a cosiddetta democrazia matura. A partire dagli anni Novanta, e senza interruzione, il trend di questo declino ha marcato i comportamenti elettorali dei cittadini di tutti i paesi europei. Parallelamente, è consolidata l’emorragia degli iscritti ai partiti (l’inversione di tendenza recepita nel Labour in seguito all’elezione di Corbyn conferma questo trend). L’abbandono dei partiti è stato in alcuni casi esemplari accompagnato dalla creazione di partiti non-partiti, di partiti-movimento. Questi hanno generano attenzione polemica e mosso l’opinione, ma senza dimostrare di riuscire a ridare efficacia alla cittadinanza, senza riuscire a rompere l’incantesimo della politica spezzata tra un dentro che decide e un fuori che sente di avere un ruolo irrilevante, indifferente all’andamento delle cose politiche.
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