Questa “sfogliatura” risale al
13 di ottobre dell’anno 2011. Era di un giovedì. Aveva scritto in precedenza
Stefano Rodotà sul quotidiano “la Repubblica” del 26 di luglio dell’anno 2010
un “pezzo”
che portava per titolo “Quel bavaglio
sul pensiero”: “(…). Oggi, (…), parlare di questione morale è descrizione inadeguata
alla realtà che abbiamo di fronte. Nell'indifferenza pubblica, la questione
morale è divenuta questione criminale nel senso tecnico dell'espressione. La via
difficile della ricostruzione d'una moralità civile, di un'etica pubblica,
passa dunque attraverso l'accertamento puntuale e rigoroso delle responsabilità
da parte della magistratura. Giustizialismo? Nessuno vuol negare a indagati e
imputati tutte le garanzie. Ma garanzia è cosa assai diversa da impunità
assicurata attraverso la manipolazione delle norme. (…)”. Nella “sfogliatura”
di seguito proposta scrivevo: “Doveravatetutti” è esercizio di memoria. Poiché cancellare o
tacitare forzatamente la memoria è come perdere la bussola per il navigante. È
un andare avanti senza una meta precisa, uno zig-zagare come l’uomo ebbro nel
buio della notte. È pur vero che ostinatamente si è alzato il gomito collettivamente;
una fetta enorme di popolo ebbro e senza una meta. È stato il desiderio
frustrato di coltivare un impossibile sogno. Ora il sogno è finito. La realtà
dura impone oggigiorno l’esercizio della memoria. Per interrogarci ed
interrogare: “doveravatetutti”? Da il
“Diario di un’americana a Roma
(2001-2006)” – Edizioni l’Unità (2008) pagg. 320 € 7,50 - di Alice Oxam: “13 ottobre 2005 La legge truffa (la
cosiddetta legge “porcata” n.d.r.) è
stata approvata dalla Camera con i voti della maggioranza”. Oggi alla
Camera è stato disertato, da parte di tutte le opposizioni, il discorso del
signor B. che ha parlato solamente ai suoi, che lo hanno applaudito ben tredici
volte nel corso del discorso di soli 18 minuti. Un applauso ogni minuto primo.
La “maggioranza” c’è, a suo dire; è
il bel paese che non c’è più. Non interessa. Esercizio della memoria. Scriveva
il 2 di marzo dell’anno 2010 Francesco Merlo sul quotidiano “la Repubblica” un
editoriale che ha per titolo “Il
silenzio fazioso”. Si erano all’epoca
approntate misure severe contro la libertà di stampa e di informazione in
occasione di una tornata elettorale amministrativa:
(…). La faziosità consapevole, quella che non scade in isteria e non
diventa veleno è un farmaco, una pozione, una ricchezza da conservare e da
sapere maneggiare perché accende la critica, turba e frastorna, suscita
sentimenti e passioni, mobilita altre faziosità e alimenta la polemica che è il
sale dell´intelligenza, la molla dell´informazione, la forza della democrazia.
Tutti dunque capiscono che nell´Italia dei faziosi l´imposizione del silenzio
(…) è, (…), la peggiore delle faziosità, perché è vile, è arrogante, è il
potere più stupido, punitivo, è la mordacchia mafiosa, è il sasso in bocca,
anche perché sanziona solo i cosiddetti programmi di approfondimento che sono è
vero l´accademia della rissa, ma si fondano su un articolato codice di creanze
che quanto più viene violato tanto più stuzzica la mente degli italiani, che a
volte si indignano e a volte si divertono ma non si lasciano convincere
dall´urlo sguaiato e dall´imbonimento. In fondo solo nei talk show ogni tanto
il dibattito lascia intravedere la religione dell´ intelligenza e persino una
passione per le libertà. Noi non sappiamo quanti voti sposta la televisione e
in particolare quanti ne sposterà questa violenta mania di volerci muti ciechi
e sordi. Sappiamo però che le elezioni passano e l´odio e l´illiberalità
rimangono. E la mutazione antropologica che sta subendo l´informazione in
Italia rischia di diventare irreversibile. (…) Oggi l´illiberalità è diventata
militare. Non esistono più le notizie ma solo i servizi a favore o contro. Il
direttore del Tg1 non è più, come prima, un sottosegretario all´informazione
che, scelto dal presidente del Consiglio di turno, si preoccupava comunque di
salvare le forme che nell´informazione sono sostanza. Al contrario questo è un
dignitario, un camerlengo che si compiace della propria maliziosa intelligenza
berlusconiana; la scaltrezza gli guizza negli occhi. E l´Italia che racconta è
grottesca e improbabile: i magistrati sono inquisitori medievali e chissà cosa
combinano con i pentiti, la stampa di opposizione infanga l´Italia all´estero,
viviamo in un paese assediato dagli eredi dei comunisti, gli industriali sono
poteri forti che complottano, i migliori stanno a Sanremo o dalla De Filippi.
Accostamenti di immagini antiche e recenti dimostrano che Berlusconi, operoso e
leale, ha sempre ragione, all´Aquila come in tribunale e nel lettone di Putin.
(…). Fine della “sfogliatura”. Considerata però la
persistenza nel sistema politico del bel paese di una deriva che annichilisce
la partecipazione e la democrazia mi piace riproporre la lettura di quel che
andava scrivendo il politologo Carlo Galli
in “La buona politica contro i
populismi” pubblicato sul
quotidiano la Repubblica del 9 di settembre dell’anno 2012 (come oggi ma un quadriennio
addietro): (…). …al populismo (mimetizzato sempre sotto false spoglie
n.d.r.) manca (…) la percezione della complessità del momento storico; anzi,
contro la complessità si scaglia, e la semplifica mettendoci sopra un nome, una
faccia del Nemico: prima l’immigrato (preferibilmente islamico), poi la Casta,
poi il finanziere, poi il tecnocrate. Il populismo è spettrale, benché sia una
forza politica reale, perché, violento e superficiale a un tempo, trasforma i
problemi reali in immagini e in risentimento (…), e così elude o cancella la
comprensione del tempo storico. (…). C’è dunque l’esigenza urgente di una
politica che non ha paura di sé, delle proprie responsabilità, delle proprie
decisioni. Di una politica che riconosca e incorpori le necessità del momento -
con il realismo che alla politica deve appartenere, perché la politica è il
potere che vuole agire -, che non si conceda illusioni, ma che rivendichi il
proprio primato nelle cose umane; ovvero rivendichi di potere orientare e
governare, senza eluderla, la necessità, l’emergenza; di saperle dare un
indirizzo, un ordine specifico. E che quindi non abdica ai propri compiti - (…)
-, prospettando che l’esercizio dei diritti politici (le elezioni) sia
ininfluente, dato che, comunque i cittadini votino, avranno sempre davanti a sé
le stesse politiche e forse le stesse persone. E lasciando così praterie
sterminate al populismo, che oltre alla bandiera della protesta potrebbe anche
agitare quella della politica. (…). Pochi giorni ancora e l’Europa dei
burocrati - che operano a tutela della grande finanza internazionale - avrebbe
posto termine all’avventura politica dell’uomo venuto da Arcore. Solamente un
cambio di testimone.
Nessun commento:
Posta un commento