"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 15 dicembre 2015

Sfogliature. 50 “The clown’s mask slips”.



In un post del 4 di giugno dell’anno 2009 riportavo questa folgorante dichiarazione del professor Umberto Eco rilasciata, tempo prima, al quotidiano “la Repubblica” del 25 di novembre dell’anno 2007: Il populismo mediatico consiste nel rivolgersi direttamente al popolo attraverso i media. Un politico che ha in mano i media può orientare il corso della politica al di fuori del Parlamento, e persino eliminare la mediazione parlamentare. Si era quel 4 di giugno dell’anno 2009 al tempo dell’avventura politica del “signore” di Arcore. Tempo due anni appena e la “tignosa” Europa ci avrebbe liberati da quell’asservimento indecoroso per un paese che si voglia celebrare tra i più progrediti del pianeta. In quel post andavo scrivendo: “The clown’s mask slips” è il titolo dell’editoriale pubblicato sul quotidiano londinese “The Times” giorni addietro, editoriale che la dice lunga su come la stampa estera consideri anomala ed allarmante la situazione politica del bel paese. È pur vero che quella stampa è stata additata come asservita alle manovre delle centrali bolsceviche e sovversive della sinistra detentrice del potere-ombra nel bel paese. È pur vero che, a causa del delirio imperante che ha pervaso quella parte politica che attualmente detiene il potere per il potere nel bel paese, si adombrano manovre addirittura internazionali per disarcionare l’egoarca di Arcore; essendo tutto ciò vero, ci vuole però sempre un sacco di fantasia perversa – clinicamente testata - per addentrarsi in simili ragionamenti. In farsesche congetture. Immaginereste l’abbronzato Obama capeggiare la schiatta degli invidiosi dei suoi soldi e delle sue veline, dell’universo mondo, coalizzati e pronti ad ordire congiure ai danni dell’egoarca di Arcore? Si è alla nevrosi più totale. Esisterà pur sempre nei manuali di psichiatria il termine giusto per definire tutto ciò. Ma è accaduto nei giorni scorsi sulla prima pagina di un foglio che si definisce, per somma ironia, anche libero. Libero da cosa? Libero da chi? Non certo dal sano equilibrato pensare. Ora tutto viene chiaro. Libero di dire la “qualunque”. O forse, ricordando il Guzzanti figlio attore, “la seconda che hai detto”. In perfetto stile cabarettistico. Poiché, nello stile determinato, decisionista e moderno del governare del “mostro mite”, senza lacci e lacciuoli, senza sindacati ma anche senza parlamento, la regola è di dire e disdire anche l’appena detto. Nella memoria del cittadino – un buon dodicenne a detta dell’egoraca di Arcore – e pure teledipendente, nella sua memoria dicevo permarrà sempre la seconda anziché la prima delle dichiarazioni, giusto il tempo di spegnere il piccolo mostro domestico. A questo punto mi pare cosa buona e giusta riportare i passi salienti di quell’editoriale, per affidare alla forma scritta una briciola di memoria di questi tempi amari assai.
L’aspetto più di cattivo gusto del comportamento di Silvio Berlusconi non è che egli sia un buffone sciovinista. Né che egli si accompagni con donne che hanno 50 anni meno di lui, abusando della sua posizione per offrire loro lavori come modelle, assistenti personali o persino assurdamente, candidate per l’Europarlamento. La cosa più scioccante è l’assoluto disprezzo con cui tratta gli italiani. L’anziano libertino può trovare divertente, o anche temerario, fare la parte del playboy, vantandosi delle sue conquiste, umiliando sua moglie, o facendo commenti che per molte donne sono inappropriati in maniera grottesca. Non è il primo o il solo il cui comportamento privo di dignità sia inappropriato per la sua carica. Ma quando vengono poste domande legittime su rapporti che toccano lo scandalo e i quotidiani lo invitano a spiegare delle associazioni che, nella migliore delle ipotesi, lasciano perplessi, la maschera del clown cade. (...). Riprendo la fatica del ragionare. Grande fatica oggigiorno. Trascinati come lo si è nell’aleatorietà del dire di questi giorni nostri. Ha scritto nel Suo lavoro “Sarkoberlusconismo” – lavoro citato nel post del 2 di dicembre dell’anno 2008 – il sociologo francese Pierre Musso alla pagina 33: (…). Il populismo sarebbe la malattia infantile (nei Paesi in via di sviluppo) o senile (in quelli industrializzati) della democrazia, tanto più efficace qualora trovi espressione attraverso quel mezzo di comunicazione di massa che è la televisione commerciale. In poche parole, il cocktail sarkoberlusconiano altro non sarebbe che la somma di populismo, televisione e marketing, con un pizzico di gossip sulla vita privata dei suoi eroi: tutti elementi che lo screditerebbero agli occhi di un ideale democratico fondato su dibattito di contenuti, riflessione e parola scritta. (…). Perfetto. Ci siamo in pieno. Manca la riflessione. Manca la parola scritta. Manca e mancherà la memoria. Qualche arguto commentatore ha lasciato di recente intendere come la parabola dell’egoarca di Arcore stia facendo il suo corso, e come inarrestabilmente ed immancabilmente stia arrivando a disegnare il suo tratto terminale. Non ne sono affatto convinto. Ma anche se tutto ciò lo si potesse prefigurare, con quali mali estremi? Con quale cumulo di macerie ci ritroveremo al momento dell’impatto tanto atteso? E quante delle cose cui abbiamo tenuto tanto risulteranno sotterrate? Per sempre forse. Su questi scenari nuovi, una ragione in più per non disertare, in preda alla disillusione ed allo sgomento, i doveri imposti dallo spirito di cittadinanza attiva e responsabile. Ecco, non ne ero a quel tempo per nulla convinto di quella parabola discendente del “berlusconismo”. E venendo al tempo dell’oggi le cronache politiche correnti vengono a sostegno di quella personale, non troppo peregrina considerazione, poiché quel tanto atteso “impatto” ad una nuova fase della storia politica del bel paese non si è affatto verificato, anzi la continuità con quel tempo è stato l’elemento preponderante della fase nuova tanto che, dopo tentativi altri avvizziti, il “renzismo” è divenuto di fatto la nuova cifra della politica de’ noantri. Ha scritto Marco Travaglio su “il Fatto Quotidiano” – “Populista sarà lei” – dell’8 di dicembre – il giorno dell’Assunta Immacolata, proprio l’altro ieri -: (…). L'Italia, salvo brevi parentesi di serietà (il quinquennio degasperiano), è sempre stata governata da populisti. Il centrosinistra partì bene con il boom economico e finì malissimo col trionfo della spesa e del debito pubblico incontrollati, dell'inflazione à gogò, dell'industria assistita, dello Stato mamma e mammella, dell'evasione fiscale e contributiva di massa, delle pensioni baby, dei falsi invalidi e dell'assenteismo usati come ammortizzatori sociali, della corruzione e del voto di scambio elevati a sistema. Quel modello iper-populista non poteva durare all'infinito. Infatti ci presentò il conto nel 1992, con Tangentopoli, appena il crollo del muro di Berlino spazzò via l'alibi dell'anticomunismo e il Maastricht ci impose un minimo di decenza nei conti. I pochi politici-formica che avevano provato a frenare le cicale, da La Malfa a Malagodi e in parte a Berlinguer, passarono per cassandre menagramo, gufi condannati all'irrilevanza elettorale. Anche la cosiddetta Seconda Repubblica (invenzione consolatoria, dunque iperpopulista) è stata quasi sempre dominata dal populismo, a parte la prima parentesi del governo Prodi-Ciampi. Il Berlusconi del "fate il cazzo che vi pare come me". Il Bossi della secessione padana, della devolution e altre supercazzole irrealizzabili, ma molto gradite nelle valli della Bergamasca, della Bresciana e del profondo Veneto. Il D'Alema della Bicamerale e della Grande Riforma. Il Veltroni del blairismo all'amatriciana fuori tempo massimo. Il mito salvifico dei tecnici e dell'austerità (per i soliti noti, non per le banche e le imprese rimpinzate di miliardi) made in Napolitano. Tanti Buffalmacchi che allettavano con l'elitropia milioni di Calandrini, più o meno complici. E ora, all'improvviso, chi li ha sostenuti, leccati e coperti lancia l'allarme "populismo", come se fosse una novità dell'ultim'ora. (…). Come se Renzi, finto rottamatore e vero riciclatore di tutti i peggiori fiaschi d'Italia (ancora più evasione per tutti, ancora grandi opere e persino il Ponte sullo Stretto) 'non fosse il più populista di tutti. O almeno alla pari con Salvini, che ha archiviato le supercazzole bossiane per inventarne altre, egualmente impraticabili (…). E molto più dei 5Stelle, le cui parole d'ordine - lo ricordano spesso Piero Ignazi e Barbara Spinelli - sono quasi tutte improntate all'austerità, al risparmio, al riuso, alla decrescita, alla legalità e all'ecologia: molto più simili alla predicazione millenarista e piagnona di un Savonarola che al populismo renziano, basato sulle magnifiche sorti e progressive della crescita, dello sviluppo e dei consumi di qui all'eternità. (…).

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