In un post del 4 di giugno
dell’anno 2009 riportavo questa folgorante dichiarazione del professor Umberto
Eco rilasciata, tempo prima, al quotidiano “la Repubblica” del 25 di novembre
dell’anno 2007: Il populismo mediatico consiste nel rivolgersi direttamente al popolo
attraverso i media. Un politico che ha in mano i media può orientare il corso
della politica al di fuori del Parlamento, e persino eliminare la mediazione
parlamentare. Si era quel 4 di giugno
dell’anno 2009 al tempo dell’avventura politica del “signore” di Arcore. Tempo
due anni appena e la “tignosa” Europa ci avrebbe liberati da quell’asservimento
indecoroso per un paese che si voglia celebrare tra i più progrediti del
pianeta. In quel post andavo scrivendo: “The clown’s mask slips” è il titolo dell’editoriale pubblicato sul
quotidiano londinese “The Times” giorni addietro, editoriale che la dice lunga
su come la stampa estera consideri anomala ed allarmante la situazione politica
del bel paese. È pur vero che quella stampa è stata additata come asservita alle
manovre delle centrali bolsceviche e sovversive della sinistra detentrice del
potere-ombra nel bel paese. È pur vero che, a causa del delirio imperante che
ha pervaso quella parte politica che attualmente detiene il potere per il
potere nel bel paese, si adombrano manovre addirittura internazionali per
disarcionare l’egoarca di Arcore; essendo tutto ciò vero, ci vuole però sempre un
sacco di fantasia perversa – clinicamente testata - per addentrarsi in simili
ragionamenti. In farsesche congetture. Immaginereste l’abbronzato Obama capeggiare
la schiatta degli invidiosi dei suoi soldi e delle sue veline, dell’universo
mondo, coalizzati e pronti ad ordire congiure ai danni dell’egoarca di Arcore?
Si è alla nevrosi più totale. Esisterà pur sempre nei manuali di psichiatria il
termine giusto per definire tutto ciò. Ma è accaduto nei giorni scorsi sulla
prima pagina di un foglio che si definisce, per somma ironia, anche libero.
Libero da cosa? Libero da chi? Non certo dal sano equilibrato pensare. Ora
tutto viene chiaro. Libero di dire la “qualunque”.
O forse, ricordando il Guzzanti figlio attore, “la seconda che hai detto”. In perfetto stile cabarettistico. Poiché,
nello stile determinato, decisionista e moderno del governare del “mostro mite”, senza lacci e lacciuoli,
senza sindacati ma anche senza parlamento, la regola è di dire e disdire anche l’appena
detto. Nella memoria del cittadino – un buon dodicenne a detta dell’egoraca di
Arcore – e pure teledipendente, nella sua memoria dicevo permarrà sempre la
seconda anziché la prima delle dichiarazioni, giusto il tempo di spegnere il
piccolo mostro domestico. A questo punto mi pare cosa buona e giusta riportare
i passi salienti di quell’editoriale, per affidare alla forma scritta una
briciola di memoria di questi tempi amari assai.
L’aspetto più di cattivo gusto del comportamento di Silvio Berlusconi
non è che egli sia un buffone sciovinista. Né che egli si accompagni con donne
che hanno 50 anni meno di lui, abusando della sua posizione per offrire loro
lavori come modelle, assistenti personali o persino assurdamente, candidate per
l’Europarlamento. La cosa più scioccante è l’assoluto disprezzo con cui tratta
gli italiani. L’anziano libertino può trovare divertente, o anche temerario,
fare la parte del playboy, vantandosi delle sue conquiste, umiliando sua
moglie, o facendo commenti che per molte donne sono inappropriati in maniera
grottesca. Non è il primo o il solo il cui comportamento privo di dignità sia
inappropriato per la sua carica. Ma quando vengono poste domande legittime su
rapporti che toccano lo scandalo e i quotidiani lo invitano a spiegare delle
associazioni che, nella migliore delle ipotesi, lasciano perplessi, la maschera
del clown cade. (...). Riprendo la fatica del ragionare. Grande fatica
oggigiorno. Trascinati come lo si è nell’aleatorietà del dire di questi giorni
nostri. Ha scritto nel Suo lavoro “Sarkoberlusconismo”
– lavoro citato nel post del 2 di dicembre dell’anno 2008 – il sociologo
francese Pierre Musso alla pagina 33: (…).
Il populismo sarebbe la malattia infantile (nei Paesi in via di sviluppo) o
senile (in quelli industrializzati) della democrazia, tanto più efficace
qualora trovi espressione attraverso quel mezzo di comunicazione di massa che è
la televisione commerciale. In poche parole, il cocktail sarkoberlusconiano
altro non sarebbe che la somma di populismo, televisione e marketing, con un
pizzico di gossip sulla vita privata dei suoi eroi: tutti elementi che lo
screditerebbero agli occhi di un ideale democratico fondato su dibattito di
contenuti, riflessione e parola scritta. (…). Perfetto. Ci siamo in pieno.
Manca la riflessione. Manca la parola scritta. Manca e mancherà la memoria.
Qualche arguto commentatore ha lasciato di recente intendere come la parabola
dell’egoarca di Arcore stia facendo il suo corso, e come inarrestabilmente ed
immancabilmente stia arrivando a disegnare il suo tratto terminale. Non ne sono
affatto convinto. Ma anche se tutto ciò lo si potesse prefigurare, con quali
mali estremi? Con quale cumulo di macerie ci ritroveremo al momento
dell’impatto tanto atteso? E quante delle cose cui abbiamo tenuto tanto risulteranno
sotterrate? Per sempre forse. Su questi scenari nuovi, una ragione in più per
non disertare, in preda alla disillusione ed allo sgomento, i doveri imposti
dallo spirito di cittadinanza attiva e responsabile. Ecco, non ne ero a
quel tempo per nulla convinto di quella parabola discendente del
“berlusconismo”. E venendo al tempo dell’oggi le cronache politiche correnti
vengono a sostegno di quella personale, non troppo peregrina considerazione,
poiché quel tanto atteso “impatto” ad una nuova fase della storia politica del
bel paese non si è affatto verificato, anzi la continuità con quel tempo è
stato l’elemento preponderante della fase nuova tanto che, dopo tentativi altri
avvizziti, il “renzismo” è divenuto di fatto la nuova cifra della politica de’
noantri. Ha scritto Marco Travaglio su “il Fatto Quotidiano” – “Populista sarà lei” – dell’8 di
dicembre – il giorno dell’Assunta Immacolata, proprio l’altro ieri -: (…).
L'Italia, salvo brevi parentesi di serietà (il quinquennio degasperiano), è
sempre stata governata da populisti. Il centrosinistra partì bene con il boom
economico e finì malissimo col trionfo della spesa e del debito pubblico
incontrollati, dell'inflazione à gogò, dell'industria assistita, dello Stato
mamma e mammella, dell'evasione fiscale e contributiva di massa, delle pensioni
baby, dei falsi invalidi e dell'assenteismo usati come ammortizzatori sociali,
della corruzione e del voto di scambio elevati a sistema. Quel modello
iper-populista non poteva durare all'infinito. Infatti ci presentò il conto nel
1992, con Tangentopoli, appena il crollo del muro di Berlino spazzò via l'alibi
dell'anticomunismo e il Maastricht ci impose un minimo di decenza nei conti. I
pochi politici-formica che avevano provato a frenare le cicale, da La Malfa a
Malagodi e in parte a Berlinguer, passarono per cassandre menagramo, gufi
condannati all'irrilevanza elettorale. Anche la cosiddetta Seconda Repubblica
(invenzione consolatoria, dunque iperpopulista) è stata quasi sempre dominata
dal populismo, a parte la prima parentesi del governo Prodi-Ciampi. Il
Berlusconi del "fate il cazzo che vi pare come me". Il Bossi della
secessione padana, della devolution e altre supercazzole irrealizzabili, ma
molto gradite nelle valli della Bergamasca, della Bresciana e del profondo
Veneto. Il D'Alema della Bicamerale e della Grande Riforma. Il Veltroni del
blairismo all'amatriciana fuori tempo massimo. Il mito salvifico dei tecnici e
dell'austerità (per i soliti noti, non per le banche e le imprese rimpinzate di
miliardi) made in Napolitano. Tanti Buffalmacchi che allettavano con l'elitropia
milioni di Calandrini, più o meno complici. E ora, all'improvviso, chi li ha
sostenuti, leccati e coperti lancia l'allarme "populismo", come se
fosse una novità dell'ultim'ora. (…). Come se Renzi, finto rottamatore e vero
riciclatore di tutti i peggiori fiaschi d'Italia (ancora più evasione per
tutti, ancora grandi opere e persino il Ponte sullo Stretto) 'non fosse il più
populista di tutti. O almeno alla pari con Salvini, che ha archiviato le
supercazzole bossiane per inventarne altre, egualmente impraticabili (…). E
molto più dei 5Stelle, le cui parole d'ordine - lo ricordano spesso Piero
Ignazi e Barbara Spinelli - sono quasi tutte improntate all'austerità, al
risparmio, al riuso, alla decrescita, alla legalità e all'ecologia: molto più
simili alla predicazione millenarista e piagnona di un Savonarola che al
populismo renziano, basato sulle magnifiche sorti e progressive della crescita,
dello sviluppo e dei consumi di qui all'eternità. (…).
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