Scriveva un tale a nome Publio
Cornelio Tacito, in una Sua
immortale Opera che ha per titolo “La
vita agricola”, che gli sopravvive:
Predatori
del mondo intero/adesso che mancano terre alla vostra sete di totale
devastazione/andate a frugare anche il mare/Avidi se il nemico è
ricco/arroganti se è povero. Ebbene, quel grande anticipava di un bel
po’ le possenti intuizioni del “Moro di Treviri”. Si era nell’anno 98 dopo la
morte di un altro Uomo, quello di Nazareth. Ben difficilmente, in quel contesto
storico, si sarà parlato della sistematica spoliazione delle ricchezze e delle
risorse naturali ad opera di un capitalismo rapace ancora di là da venire. Ma il
buon Publio Cornelio Tacito
ne intuiva già la possente azione predatoria e distruttrice. Da parte mia in
quel 20 di ottobre dell’anno 2010 andava vergando, in una rubrichetta dall’accattivante
titolo “Cattivipensieri” il post n° 51 – “Lotta di classe?”- che ripropongo in
questa “sfogliatura”. Dal 2010 un buon lustro è passato. E continuiamo a
dimenarci in una strozzatura socio-economico-finanziaria oltre la quale solo le
anime pie ed i buontemponi intravedono luminescenze di fuochi fatui. Molto tempo
dopo quel Publio Cornelio Tacito
un altro visionario, l'anarchico gallese Gafyn Llawloch, ebbe a scrivere: All'inizio
gli operai sono andati dove c'erano le fabbriche, poi le fabbriche andranno
dove ci sono gli operai, alla fine la produzione diventerà mobile e gli operai
dovranno inseguirla. E così si consumano le vite delle schiere infinite
degli umani sfruttati da altri umani. Scrivevo il 20 di ottobre dell’anno 2010:
Leggo con interesse ed apprensione
grande, e di seguito la trascrivo in parte, la corrispondenza dagli Stati Uniti
d’America che Arturo Zampaglione ha inviato al settimanale “Affari&Finanza”
col titolo “Wall Street, tornano i bonus
ma stavolta nessuno protesta”. È una novità che nessuno in questa occasione
abbia protestato o protesterà? Ed in quale altra occasione si è protestato per
quella insana, allegra finanza globale per la quale ancor oggi ci lecchiamo le
profonde ferite? L’assuefazione alle cose storte del mondo, al pari della
omologazione del pensiero, è un fatto globale incontrovertibile, almeno nel
cosiddetto mondo avanzato, cristianizzato e tecnologizzato. L’assuefazione alla
globalizzazione come fatto ultramoderno ed inevitabile, come fonte ed occasione
di arricchimento planetario per tutti, tranne per gli sventurati di sempre che
stanno a sud dell’equatore o in qualunque altro inferno creato in terra, ha
spento ogni residua forma di quella “lotta
di classe” che avrebbe potuto contrastare la spregiudicatezza degli
sfruttatori di sempre che bivaccano indisturbati nella allegra finanza. Nulla
di tutto questo. Ed allora? Col sacrificio di tutti, soprattutto dei meno
abbienti, si sono salvate banche e compagnie assicurative e/o finanziarie su
tutte e due le sponde dell’Atlantico. Ora, alla mensa dei ricchi insaziabili,
si imbandiscono nuove ingorde tavolate per divorare i nuovi ingenti profitti,
insperati sino a qualche tempo addietro, che consentiranno ai furbi di sempre
di divenire sempre più furbi e sempre più ricchi sulle spalle di una società
resa ingloriosamente e colpevolmente una “poltiglia
sociale”, senza più la schiena ritta d’un tempo e senza la forza d’opporsi
alle evidenti, rinnovate, irrefrenabili ingiustizie sociali. Mentre nel resto d’America i valori
immobiliari continuano a ristagnare, a New York si è registrato negli ultimi
tre mesi un aumento dei prezzi delle case del 7 per cento rispetto allo stesso
periodo dell'anno scorso. A Manhattan l'incremento è stato addirittura
superiore: l'8 per cento. Intanto, lungo Madison, la Quinta e le strade
attigue, le vetrine di Bulgari, Chanel, Tiffany, Prada, Gucci e di altri nomi
blasonati si preparano al Natale della riscossa. Che succede? Come spiegare
queste dinamiche così diverse dal resto dell'America, dove la recessione non è
ancora domata e dove prevalgono la disoccupazione e una rabbia diffusa? Certo,
a New York si fa sentire di più il ruolo di turisti e capitali esteri che
approfittano dello scivolamento del dollaro per lo shopping d'alto bordo o per
comprare un pied-à-terre. Ma la vera ragione dell'anomalia newyorkese è
un'altra: Wall Street, il motore economico della metropoli, chiuderà l'anno
distribuendo ai suoi dipendenti una pioggia record di miliardi, e il mercato immobiliare,
come quello della moda e degli oggetti di lusso, anticipa la bonanza. Secondo
il Wall Street Journal, banche, hedge fund e finanziarie si preparano a battere
il livello di compensi dell'anno scorso: sarà il secondo record in due anni. In
tutto, tra salari, benefit e soprattutto bonus, le trentacinque maggiori
società verseranno ai loro dipendenti 144 miliardi di dollari, con un 4 per
cento di aumento rispetto ai 139 miliardi del 2009. (…). La previsione di bonus-record
a Wall Street non sta provocando, almeno per il momento, l'ondata di sdegno e
le polemiche degli anni scorsi. I motivi? Essenzialmente due: innanzitutto si
tratta di dati provvisori, anche se attendibili. Mancano più di due mesi alla
fine dell'anno, le banche non hanno ancora completato il complesso iter di
definizione dei compensi che riguarda tutti i livelli, dal top management fino
al commesso appena assunto. Si è ancora lontani, ad esempio, dal conoscere le
cifre emblematiche versate ai chief executive, e su cui di solito si concentrano
le critiche, come quei 68 milioni di dollari assegnati nel 2007 al capo della
Goldman Sachs Lloyd Blankfein o i 17 milioni finiti l'anno scorso nelle tasche
di Jamie Dimon della JPMorgan Chase. La seconda ragione è politica. Mancano
ormai solo due settimane alle elezioni di midterm per il rinnovo di tutta la
Camera dei rappresentanti e di un terzo del Senato. (…). I repubblicani non
vogliono apparire come i paladini dei plutocrati di Wall Street; i democratici
temono di essere accusati di aver fatto troppo per salvare le banche dalla
tempesta finanziaria e troppo poco per contenere i superemolumenti; ed entrambi
i partiti sperano di raccogliere fino all'ultimo i finanziamenti necessari a
una campagna elettorale destinata a battere tutti i record di spesa. Ma è
facile previsione che, subito dopo i risultati del voto di midterm, ricomincerà
il balletto di accuse e difese. I critici additeranno il divario tra i compensi
nel mondo finanziario (si calcola che i 38mila dipendenti della Goldman Sachs
riceveranno in media 500mila dollari, cioè 350mila euro) e quelli nel resto del
paese, dove questa interminabile recessione ha costretto i ceti più
svantaggiati a stringere la cinghia. Si chiederanno anche che ne è stato dei
tentativi di Kenneth Feinberg, lo zar delle paghe, l'avvocato scelto dalla Casa
Bianca per sorvegliare i livelli degli emolumenti. In teoria doveva combattere
quel vizio di massimizzare utili, compensi e rischi, che tanto contribuì al
crac finanziario. In pratica l’azione dello zar non ha finora sortito gli effetti sperati. (…).
Alle accuse Wall Street risponderà con il solito ritornello: senza la promessa
di compensi adeguati, i migliori executive non hanno esitazioni nel cambiare
datore di lavoro. Ma è veramente così? (…). Wall Street si è sempre considerata
una repubblica a se stante, separata per censo e cultura dal resto del paese.
Ora torna a rivendicare una piena autonomia salariale, dimenticando gli
scandali interni, i fallimenti, le inchieste di Andrew Cuomo, i guai con la Sec
e soprattutto di essere stata salvata con i soldi del contribuente americano:
anche di quello che a seguito della crisi è stato licenziato dalla catena di
montaggio di Detroit o dalla fabbrica di Cleveland. Approfittando di un'annata
fortunata, che permetterà loro di incassare 61,3 miliardi di utili, chiudendo
così il capitolo nero della tempesta dei subprime, i grandi gruppi di Wall
Street hanno accantonato i miliardi da elargire a dirigenti e impiegati ma non
tutti si comporteranno allo stesso modo. (…). Qualche tabloid comincia già a
ironizzare sui bonusrecord dando qualche consiglio ai giovani della finanza: - Non
spendetevi tutti i soldi nei concessionari della Ferrari -. Ma al di là dello
scherzo, non c'è dubbio che la pioggia di miliardi contribuirà ad accelerare la
ripresa economica di New York e, inevitabilmente, ad accentuare il divario tra
la metropoli e il resto dell'America, dove i danni della recessione non
accennano ancora a scomparire.
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