Da “Tecnica e profitto” di Umberto Galimberti, sul settimanale “D” del
21 di agosto dell’anno 2010: Scrive Sofocle nell'Edipo a Colono: -
Chi vuol vivere oltre il limite giusto e la misura perde la mente ed è in palese
stoltezza -. Ne Il declino del capitalismo (Rizzoli) Emanuele Severino sostiene
che la salvaguardia della terra oggi può essere garantita solo dalla tecnica,
per cui, se il capitalismo vuole salvare la fonte della sua ricchezza, non
potrà più servire solo il profitto, ma due padroni: il profitto e la tecnica
che, sola, può rallentare l'usura della terra, vero fondamento della ricchezza.
Per cui, conclude opportunamente Severino:- Arriverà il giorno in cui il
capitalismo dovrà rendersi conto che, distruggendo la terra, distrugge se
stesso. E sarà questa coscienza, non la coscienza morale o religiosa, a
spingere il capitalismo al tramonto -. (…) Chi ha donato il Profitto
all'umanità?Probabilmente il fatto che, soprattutto noi occidentali, abbiamo
smarrito quella che i Greci ritenevano la suprema virtù, che consisteva nel
"non oltrepassare la giusta misura", e che l'oracolo di Delphi
enunciava nella formula medèn ágan, nulla di troppo. La cosa era così evidente
ai Greci che Aristotele riteneva che il denaro, non essendo un bene, ma il
simbolo di un bene, non potesse generare ricchezza. La stessa cosa pensava
l'altra fonte della cultura occidentale: il cristianesimo, che in base al
principio evangelico mutuum date nihil inde sperantes (prestate il denaro senza
attendere la restituzione), proibiva il profitto sui prestiti, consentito solo
agli ebrei che, in quanto deicidi, erano già destinati all'inferno. Poi,
dimenticando l'inferno, presero avvio anche le banche intitolate coi nomi dei
santi. Peripezie della storia e delle opportunistiche interpretazioni dei testi
sacri. Oggi il denaro è diventato il generatore simbolico di tutti i valori e,
come dice bene Marx, da mezzo per soddisfare bisogni e produrre beni, il denaro
è diventato il fine, per ottenere il quale, si vedrà se soddisfare bisogni e in
che misura produrre beni. Per effetto di questa eterogenesi dei fini oggi ci
troviamo in una crisi che conferma che là dove non ci sono beni reali, anche il
denaro, simbolo dei beni, perde valore. E allora non è il caso di tornare alla
saggezza greca, quella di Aristotele che distingueva i beni dal simbolo dei
beni, e della giusta misura da non oltrepassare per non scatenare l'ira degli
dèi ?
Da “L’Occidente inquina di più. Ora paghi per i suoi consumi” di
Thomas Piketty, sul quotidiano la Repubblica del primo di dicembre 2015: (…).
Si sente spesso dire, in Europa e negli Stati Uniti, che la Cina ora è il primo
inquinatore a livello mondiale e che adesso tocca a Pechino e agli altri Paesi
emergenti fare degli sforzi. Dicendo questo, però, ci si dimentica di parecchie
cose. Innanzitutto che il volume delle emissioni dev’essere rapportato alla
popolazione di ogni Paese: la Cina ha quasi 1,4 miliardi di abitanti, poco meno
del triplo dell’Europa (500 milioni) e oltre quattro volte di più del
Nordamerica (350 milioni). In secondo luogo, il basso livello di emissioni
dell’Europa si spiega in parte con il fatto che noi subappaltiamo
massicciamente all’estero, in particolare in Cina, la produzione dei beni
industriali ed elettronici inquinanti che amiamo consumare. Se si
tiene conto del contenuto in CO2 dei flussi di importazioni ed esportazioni tra
le diverse regioni del mondo, le emissioni europee schizzano in su del 40 per
cento (e quelle del Nordamerica del 13 per cento), mentre le emissioni cinesi
scendono del 25 per cento. Ed è molto più sensato esaminare la ripartizione
delle emissioni in funzione del paese di consumo finale che in funzione del
paese di produzione. Constatiamo in questo modo che i cinesi emettono attualmente
l’equivalente di 6 tonnellate di anidride carbonica l’anno e per persona (più o
meno in linea con la media mondiale), contro 13 tonnellate per gli europei e
oltre 22 tonnellate per i nordamericani. In altre parole, il problema non è
solamente che noi inquiniamo da molto più tempo del resto del mondo: il fatto è
che continuiamo ad arrogarci un diritto individuale a inquinare due volte più
alto della media mondiale.Per andare oltre le contrapposizioni fra Paesi e
tentare di far emergere delle soluzioni comuni, è essenziale sottolineare anche
che all’interno di ciascun Paese esistono disuguaglianze immense nei consumi
energetici, diretti e indiretti (attraverso i beni e i servizi consumati). A
seconda delle dimensioni del serbatoio dell’auto, della grandezza della casa,
della profondità del portafogli, a seconda della quantità di beni acquistati,
del numero di viaggi aerei effettuati ecc., si osserva una grande diversità di
situazioni. Mettendo insieme dati sistematici riguardanti le emissioni dirette e
indirette per Paese e la ripartizione dei consumi e dei redditi all’interno di
ciascun Paese, ho analizzato, insieme a Lucas Chancel, l’evoluzione della
ripartizione delle emissioni mondiali a livello individuale nel corso degli
ultimi quindici anni. Le conclusioni a cui siamo arrivati sono chiare. Con
l’ascesa dei paesi emergenti, ora ci sono grossi inquinatori su tutti i
continenti ed è quindi legittimo che tutti i paesi contribuiscano a finanziare
il fondo mondiale per l’adattamento. Ma i paesi ricchi continuano a
rappresentare la stragrande maggioranza dei maggiori inquinatori e non possono
chiedere alla Cina e agli altri paesi emergenti di farsi carico di una
responsabilità superiore a quella che gli spetta. Per andare sul concreto, i circa
7 miliardi di abitanti del pianeta emettono attualmente l’equivalente di 6
tonnellate di anidride carbonica per anno e per persona. La metà che inquina
meno, 3,5 miliardi di persone, dislocate principalmente in Africa, Asia
meridionale e Sudest asiatico (le zone più colpite dal riscaldamento climatico)
emettono meno di 2 tonnellate per persona e sono responsabili di appena il 15
per cento delle emissioni complessive. All’altra estremità della scala, l’1 per
cento che inquina di più, 70 milioni di individui, evidenzia emissioni medie
nell’ordine di 100 tonnellate di CO2 pro capite: da soli, questi 70 milioni
sono responsabili di circa il 15 per cento delle emissioni complessive, quanto
i 3,5 miliardi di persone di cui sopra. E dove vive questo 1 per cento di
grandi inquinatori? Il 57 per cento di loro risiede in Nordamerica, il 16 per
cento in Europa e solo poco più del 5 per cento in Cina (meno che in Russia e
in Medio Oriente, con circa il 6 per cento a testa). Ci sembra che questi dati
possano fornire un criterio sufficiente per ripartire gli oneri finanziari del
fondo mondiale di adattamento da 150 miliardi di dollari l’anno. L’America
settentrionale dovrebbe versare 85 miliardi (lo 0,5 per cento del suo Pil) e
l’Europa 24 miliardi (lo 0,2 per cento del suo Pil). (…). Quel che è certo è
che è arrivato il momento di riflettere su criteri di ripartizione basati sul
concetto di un’imposta progressiva sulle emissioni: non si possono chiedere gli
stessi sforzi a chi emette 2 tonnellate di anidride carbonica l’anno e a chi ne
emette 100. Qualcuno obbietterà che criteri di ripartizione del genere non saranno
mai accettati dai Paesi ricchi, in particolare dagli Stati Uniti. E infatti le
soluzioni che saranno adottate a Parigi e negli anni a venire probabilmente
saranno molto meno ambiziose e trasparenti. Ma bisognerà trovare delle
soluzioni: non si riuscirà a fare nulla se i Paesi ricchi non metteranno mano
al portafogli.
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