"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 2 dicembre 2015

Paginatre. 12 “Tecnica e profitto”.



Da “Tecnica e profitto” di Umberto Galimberti, sul settimanale “D” del 21 di agosto dell’anno 2010: Scrive Sofocle nell'­­­­Edipo a Colono: - Chi vuol vivere oltre il limite giusto e la misura perde la mente ed è in palese stoltezza -. Ne Il declino del capitalismo (Rizzoli) Emanuele Severino sostiene che la salvaguardia della terra oggi può essere garantita solo dalla tecnica, per cui, se il capitalismo vuole salvare la fonte della sua ricchezza, non potrà più servire solo il profitto, ma due padroni: il profitto e la tecnica che, sola, può rallentare l'usura della terra, vero fondamento della ricchezza. Per cui, conclude opportunamente Severino:- Arriverà il giorno in cui il capitalismo dovrà rendersi conto che, distruggendo la terra, distrugge se stesso. E sarà questa coscienza, non la coscienza morale o religiosa, a spingere il capitalismo al tramonto -. (…) Chi ha donato il Profitto all'umanità?Probabilmente il fatto che, soprattutto noi occidentali, abbiamo smarrito quella che i Greci ritenevano la suprema virtù, che consisteva nel "non oltrepassare la giusta misura", e che l'oracolo di Delphi enunciava nella formula medèn ágan, nulla di troppo. La cosa era così evidente ai Greci che Aristotele riteneva che il denaro, non essendo un bene, ma il simbolo di un bene, non potesse generare ricchezza. La stessa cosa pensava l'altra fonte della cultura occidentale: il cristianesimo, che in base al principio evangelico mutuum date nihil inde sperantes (prestate il denaro senza attendere la restituzione), proibiva il profitto sui prestiti, consentito solo agli ebrei che, in quanto deicidi, erano già destinati all'inferno. Poi, dimenticando l'inferno, presero avvio anche le banche intitolate coi nomi dei santi. Peripezie della storia e delle opportunistiche interpretazioni dei testi sacri. Oggi il denaro è diventato il generatore simbolico di tutti i valori e, come dice bene Marx, da mezzo per soddisfare bisogni e produrre beni, il denaro è diventato il fine, per ottenere il quale, si vedrà se soddisfare bisogni e in che misura produrre beni. Per effetto di questa eterogenesi dei fini oggi ci troviamo in una crisi che conferma che là dove non ci sono beni reali, anche il denaro, simbolo dei beni, perde valore. E allora non è il caso di tornare alla saggezza greca, quella di Aristotele che distingueva i beni dal simbolo dei beni, e della giusta misura da non oltrepassare per non scatenare l'ira degli dèi ?

Da “L’Occidente inquina di più. Ora paghi per i suoi consumi” di Thomas Piketty, sul quotidiano la Repubblica del primo di dicembre 2015: (…). Si sente spesso dire, in Europa e negli Stati Uniti, che la Cina ora è il primo inquinatore a livello mondiale e che adesso tocca a Pechino e agli altri Paesi emergenti fare degli sforzi. Dicendo questo, però, ci si dimentica di parecchie cose. Innanzitutto che il volume delle emissioni dev’essere rapportato alla popolazione di ogni Paese: la Cina ha quasi 1,4 miliardi di abitanti, poco meno del triplo dell’Europa (500 milioni) e oltre quattro volte di più del Nordamerica (350 milioni). In secondo luogo, il basso livello di emissioni dell’Europa si spiega in parte con il fatto che noi subappaltiamo massicciamente all’estero, in particolare in Cina, la produzione dei beni industriali ed elettronici inquinanti che amiamo consumare. Se si tiene conto del contenuto in CO2 dei flussi di importazioni ed esportazioni tra le diverse regioni del mondo, le emissioni europee schizzano in su del 40 per cento (e quelle del Nordamerica del 13 per cento), mentre le emissioni cinesi scendono del 25 per cento. Ed è molto più sensato esaminare la ripartizione delle emissioni in funzione del paese di consumo finale che in funzione del paese di produzione. Constatiamo in questo modo che i cinesi emettono attualmente l’equivalente di 6 tonnellate di anidride carbonica l’anno e per persona (più o meno in linea con la media mondiale), contro 13 tonnellate per gli europei e oltre 22 tonnellate per i nordamericani. In altre parole, il problema non è solamente che noi inquiniamo da molto più tempo del resto del mondo: il fatto è che continuiamo ad arrogarci un diritto individuale a inquinare due volte più alto della media mondiale.Per andare oltre le contrapposizioni fra Paesi e tentare di far emergere delle soluzioni comuni, è essenziale sottolineare anche che all’interno di ciascun Paese esistono disuguaglianze immense nei consumi energetici, diretti e indiretti (attraverso i beni e i servizi consumati). A seconda delle dimensioni del serbatoio dell’auto, della grandezza della casa, della profondità del portafogli, a seconda della quantità di beni acquistati, del numero di viaggi aerei effettuati ecc., si osserva una grande diversità di situazioni. Mettendo insieme dati sistematici riguardanti le emissioni dirette e indirette per Paese e la ripartizione dei consumi e dei redditi all’interno di ciascun Paese, ho analizzato, insieme a Lucas Chancel, l’evoluzione della ripartizione delle emissioni mondiali a livello individuale nel corso degli ultimi quindici anni. Le conclusioni a cui siamo arrivati sono chiare. Con l’ascesa dei paesi emergenti, ora ci sono grossi inquinatori su tutti i continenti ed è quindi legittimo che tutti i paesi contribuiscano a finanziare il fondo mondiale per l’adattamento. Ma i paesi ricchi continuano a rappresentare la stragrande maggioranza dei maggiori inquinatori e non possono chiedere alla Cina e agli altri paesi emergenti di farsi carico di una responsabilità superiore a quella che gli spetta. Per andare sul concreto, i circa 7 miliardi di abitanti del pianeta emettono attualmente l’equivalente di 6 tonnellate di anidride carbonica per anno e per persona. La metà che inquina meno, 3,5 miliardi di persone, dislocate principalmente in Africa, Asia meridionale e Sudest asiatico (le zone più colpite dal riscaldamento climatico) emettono meno di 2 tonnellate per persona e sono responsabili di appena il 15 per cento delle emissioni complessive. All’altra estremità della scala, l’1 per cento che inquina di più, 70 milioni di individui, evidenzia emissioni medie nell’ordine di 100 tonnellate di CO2 pro capite: da soli, questi 70 milioni sono responsabili di circa il 15 per cento delle emissioni complessive, quanto i 3,5 miliardi di persone di cui sopra. E dove vive questo 1 per cento di grandi inquinatori? Il 57 per cento di loro risiede in Nordamerica, il 16 per cento in Europa e solo poco più del 5 per cento in Cina (meno che in Russia e in Medio Oriente, con circa il 6 per cento a testa). Ci sembra che questi dati possano fornire un criterio sufficiente per ripartire gli oneri finanziari del fondo mondiale di adattamento da 150 miliardi di dollari l’anno. L’America settentrionale dovrebbe versare 85 miliardi (lo 0,5 per cento del suo Pil) e l’Europa 24 miliardi (lo 0,2 per cento del suo Pil). (…). Quel che è certo è che è arrivato il momento di riflettere su criteri di ripartizione basati sul concetto di un’imposta progressiva sulle emissioni: non si possono chiedere gli stessi sforzi a chi emette 2 tonnellate di anidride carbonica l’anno e a chi ne emette 100. Qualcuno obbietterà che criteri di ripartizione del genere non saranno mai accettati dai Paesi ricchi, in particolare dagli Stati Uniti. E infatti le soluzioni che saranno adottate a Parigi e negli anni a venire probabilmente saranno molto meno ambiziose e trasparenti. Ma bisognerà trovare delle soluzioni: non si riuscirà a fare nulla se i Paesi ricchi non metteranno mano al portafogli.

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