Da “Cosa è
il QE e perché (forse) ci salverà” di Angelo Bogliani – laurea presso l’Università
Bocconi di Milano; Master in Economics presso la University of Pennsylvania; professore
di “Economia politica” presso l'Università Cattolica di Milano; ha insegnato al
Master in Economia e Banca presso la Facoltà di Economia R. M. Goodwin
dell’Università di Siena; membro del Comitato direttivo e scientifico del
Laboratorio di Analisi Monetaria (Università Cattolica di Milano e Associazione
per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa); è stato economista presso
l'Ufficio Studi della Banca Commerciale Italiana – sul settimanale “il Venerdì
di Repubblica” del 13 di novembre 2015: (…). …cos’è il Qe? È l’ultima spiaggia del
banchiere centrale. Quando l’arma dei tassi d’interesse diventa una pallottola
spuntata, bisogna inventarsi qualcos’altro. E allora si ricorre al cosiddetto
“allentamento quantitativo”, che significa: aumentare la quantità di moneta in
circolazione. In tempi normali, le banche centrali agiscono manovrando i tassi
d’interesse. Quando la Banca centrale europea vuole dare una spinta
all’economia, abbassa il tasso d’interesse al quale presta i soldi alle banche,
in modo che queste a loro volta riducano il costo dei prestiti alle imprese e
alle famiglie. Anche la Banca d’Italia agiva così prima dell’euro: qualcuno
ricorderà il tasso ufficiale di sconto (Tus). Questa politica incontra però un
limite naturale in un numero: zero. Quando il tasso d’interesse raggiunge il
“pavimento”, lo zero appunto, è ben difficile ridurlo ancora. Ecco allora che la
banca centrale è costretta ad abbandonare lo strumento abituale, cioè il prezzo
del denaro (leggasi tasso d’interesse), e comincia a usare la quantità di
moneta. È quello che è successo nell’area euro e prima ancora in altri paesi,
come Stati Uniti e Inghilterra. La Bce ha raggiunto il pavimento nel settembre
del 2014, quando ha portato il tasso d’interesse sulle sue operazioni di
prestito alle banche al livello di 5 centesimi, cioè pressoché nullo. Non è
bastato a risollevare una economia nel complesso assai debole, seppure con
qualche differenza tra un paese e l’altro. La Bce ha quindi avviato all’inizio
di quest’anno un massiccio programma di acquisto di obbligazioni,
prevalentemente titoli di Stato. Alla Bce li vendono le banche, che ricevono in
cambio moneta, nella forma di depositi presso la Bce stessa. E così i depositi
che le banche detengono presso la Bce aumentano. Perché operazioni simili
dovrebbero giovare all’economia?
L’intento della Bce è di indurre le banche ad
aumentare la quantità di prestiti alle imprese e alle famiglie. Trovandosi
inondate di soldi, dovrebbero essere spinte a prestarne almeno una parte al
resto dell’economia. È vero però che prestare soldi è un’attività
particolarmente rischiosa in un periodo di crisi economica: la prospettiva di
non riaverli più indietro è più concreta che in altri tempi. Quindi, una banca
può scegliere di “parcheggiare” i soldi ricevuti in attesa di tempi migliori,
tenendoli presso la Bce stessa o investendoli in titoli a breve termine (come i
Bot). Ciò spiega perché, da quando la Bce ha iniziato il Qe, l’offerta di
prestiti da parte delle banche sia migliorata, ma non in misura tale da
imprimere una svolta all’economia. L’altro canale attraverso il quale il Qe
sostiene l’economia è il tasso di cambio. Coloro che si trovano in mano tutta
questa moneta immessa nel sistema, che siano banche o altri soggetti, decidono
di investirne una parte in valuta estera, che comprano vendendo euro. Facendo
così, fanno diminuire il valore dell’euro nei confronti delle altre valute. Da
un anno a questa parte, l’euro si è svalutato del 12 per cento nei confronti
del dollaro. Parte della svalutazione è avvenuta prima che il Qe avesse inizio,
grazie al classico effetto creato dalle aspettative. Prevedendo l’introduzione
del Qe e la conseguente svalutazione dell’euro, qualcuno ha pensato bene di
comprare in anticipo valuta estera, destinata a rivalutarsi rispetto all’euro;
il risultato è stato una immediata svalutazione della moneta europea. A sua
volta, la svalutazione rende più convenienti le nostre esportazioni verso gli
altri paesi: se un americano paga di meno un euro, vuole dire che paga di meno
le merci prodotte da noi, il cui prezzo è fissato in euro. Ma serve davvero il
Qe? Guardando alla debolezza della ripresa in atto, sarebbe fin troppo facile
criticare la Bce dicendo che serve a poco. In realtà, il 2015 è il primo anno,
dopo molti di crisi, nel corso del quale le previsioni di crescita vengono
periodicamente riviste al rialzo, seppure di poco, anziché al ribasso. Va anche
detto che la Bce è un po’ isolata, visto che i governi europei si sono
vincolati a una politica fiscale restrittiva, al fine di perseguire il pareggio
di bilancio: è il risultato del fiscal compact. In presenza di tagli di spesa
pubblica o di aumenti di tasse, la politica monetaria può fare poco per fare
ripartire l’economia. Il rifiuto della Germania, che ha un bilancio pubblico
più solido di altri, di realizzare una politica fiscale espansiva, costringe
altri paesi con alto debito ad aumentare il loro disavanzo. L’Italia sta
facendo così con la legge di bilancio per il 2016. In ogni caso, la Bce sembra
intenzionata ad aumentare la sua potenza di fuoco. Il piano già avviato prevede
acquisti di titoli per 60 miliardi al mese, dal febbraio 2015 al settembre
2016, per un totale di 1.140 miliardi. È un programma aggressivo, destinato a
fare aumentare la dimensione del bilancio della Bce di circa il 50 per cento.(…).
…Mario Draghi hanno lasciato intendere che la Bce ne sta studiando un
ampliamento, nella sua dimensione e nella sua durata. (…). L’ampliamento del Qe
potrebbe essere accompagnato da una riduzione del tasso d’interesse sui
depositi che le banche tengono presso la Bce. In realtà, questi sono già sotto
zero, seppure di poco (20 centesimi): per un verso, quindi, la Bce ha già rotto
il tabù dei tassi d’interesse negativi. Potrebbe decidere di andare oltre,
nell’intento di indurre le banche a impiegare i loro soldi in prestiti e in
valuta estera (anziché “parcheggiarli”), favorendo così una ulteriore svalutazione
dell’euro. Il fenomeno dei tassi d’interesse negativi, impensabile fino a poco
tempo fa, è quindi destinato ad ampliarsi. Sono i paradossi di una politica
monetaria lasciata sola.
Da “Perché
il Ttip è un attacco alle democrazie europee” di Slavoj Zizek, sul
quotidiano la Repubblica del 19 di ottobre 2015: Accade che talvolta le facce
diventino simboli, ma non della forte personalità del loro proprietario, bensì
delle forze anonime che stanno dietro di loro. Negli ultimi tempi, il Ttip
(Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti) ha acquisito un
nuovo simbolo, il glaciale volto di Cecilia Malmström, commissaria al Commercio
dell’Ue. A un giornalista che le chiedeva come riuscisse a continuare a
promuovere il Ttip a fronte dell’enorme opposizione dell’opinione pubblica,
senza alcun pudore ha risposto: «Il mandato non mi è stato conferito dal popolo
europeo». Paradossalmente, il suo cognome è una variante di “maelstrom”, che in
inglese significa vortice… Lo scenario generale dell’impatto sociale del Ttip è
chiaro a sufficienza ed equivale a niente di meno di un assalto selvaggio alla
democrazia. Lo si evince più chiaramente che mai nel caso delle cosiddette
“Risoluzioni delle controversie tra investitori e Stato” (Isds) che autorizzano
le aziende a querelare i governi nel caso in cui le loro politiche
determinassero una perdita dei loro guadagni. Ciò significa che società
multinazionali non elette possono imporre le loro politiche a governi
democraticamente eletti. Questi tipi di risoluzione sono già in atto in alcuni
accordi commerciali bilaterali e possiamo ben vedere come funzionano. La
società energetica svedese Vattenfall ha citato per svariati miliardi di
dollari il governo tedesco dopo che ha deciso di eliminare gradualmente le
centrali nucleari dopo il disastro di Fukushima: una politica di salute
pubblica approvata da un governo eletto con un processo democratico è messa a
rischio da un colosso energetico a causa di una possibile perdita di introiti. Ma
lasciamo perdere per un momento il quadro generale e cerchiamo di concentrare
la nostra attenzione su un interrogativo più specifico: che cosa comporterà il
Ttip per la produzione culturale europea? In Una discesa nel Maelström ,
racconto del 1841 di Edgan Allan Poe, un sopravvissuto a un naufragio narra in
che modo avesse evitato di essere risucchiato da un immenso vortice. Si era
reso conto che quanto più grandi erano i corpi tanto prima erano risucchiati e
che gli oggetti sferici erano attratti dal vortice con la massima rapidità. Di
conseguenza, abbandonata la nave, si era aggrappato a un barile cilindrico e
aveva atteso di essere soccorso. I sostenitori della cosiddetta “eccezione
culturale” hanno forse in mente qualcosa di simile? Stanno forse pensando di
lasciare che le grandi aziende si dibattano nel vortice del mercato globale,
cercando però — se non altro — di salvare alcuni prodotti culturali secondari e
marginali? E come? È semplice: esonerando i prodotti culturali dalle regole del
libero mercato, autorizzando gli stati a concedere sussidi alla loro produzione
artistica (con aiuti statali, tasse ridotte, e così via), anche se ciò equivale
di fatto a una “concorrenza sleale” nei confronti degli altri paesi. La
Francia, una per tutte, insiste che questo è l’unico modo per il suo cinema
nazionale di sopravvivere all’assalto furioso dei film di Hollywood campioni di
incasso. Un tale sistema può funzionare? Se è vero che misure di questo tipo
possono avere un limitato ruolo positivo, tuttavia io intravedo due problemi. Il
primo è che, nell’odierno capitalismo globale, la cultura non è più soltanto
un’eccezione, una sorta di fragile sovrastruttura che si erge al di sopra
dell’infrastruttura economica “reale”: essa è sempre più spesso una componente
fondamentale della nostra economia “reale” mainstream. (…). Il secondo problema
è questo: anche se l’Europa avesse successo nell’imporre al Ttip “eccezioni
culturali”, che tipo d’Europa sopravvivrà al dominio del Ttip? Non diventerà
poco alla volta ciò che l’Antica Grecia diventò per la Roma imperiale, un luogo
prediletto da turisti americani e cinesi, la meta del nostalgico turismo
culturale, senza più alcuna importanza effettiva? Si rendono indispensabili
misure più radicali. Invece di eccezioni culturali, ci occorrono eccezioni
economiche. Ma potremo coprirne i costi? Le nostri crescenti spese militari e
il nostro sostegno economico a istituzioni scientifiche straordinarie come il
Cern dimostrano che possiamo permetterci investimenti rilevanti senza fiaccare
in alcun modo la nostra economia.
Ho firmato contro il TTIP più di un anno fa. Saluti. Franca
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