Avete sotto mano il “Venerdì di Repubblica” dell’11
di dicembre ultimo scorso, il fascicolo n° 1447? È probabile che, pur avendolo,
gli abbiate dato una sommaria scorsa, una sfogliata veloce e basta, magari
distesi sul divano del Vostro confortevole soggiorno con il “mostro domestico”
che gracchia incessantemente. Se non lo aveste proprio, allora fate in modo di
procurarvene una copia. Trovereste alla pagina 27 un interessantissimo reportage
di Luciana Grosso che ha per titolo “Vivere
da mcsleepers: di giorno a lavoro, la notte da McDonald’s”. Ma chi saranno
mai i “mcsleepers”? Il reportage
viene da Hong Kong ed i “mcsleepers” sono i nuovi proletari
dell’opificio del mondo. Nuovi proletari poiché per un breve, anzi brevissimo
tempo, hanno fatto parte, o glielo hanno fatto credere di farne parte, di quel
ceto medio che il capitalismo manifatturiero era riuscito a creare nel corso dei
secoli diciannovesimo e ventesimo e che il secolo ventunesimo sta ricacciando
in un condizione di proletarizzazione non più accettabile. Poiché i“mcsleepers”
sono, secondo il reportage menzionato, “impiegati,bancari, piccoli commercianti,
manovali, insegnanti” che non potendo acquistare o prendere in fitto un
appartamento per quanto modesto in quel di Hong Kong passano le notti sui
tavolacci dei McDonald’s presso i quali consumano i loro frugali pasti. I più
fortunati dei “mcsleepers” detengono in fitto sì una casa per il resto della
famiglia, ma essi non la raggiungono nel quotidiano considerate le spropositate
spese necessarie per spostarsi dal posto di lavoro alla propria familiare dimora.
Fortuna vuole che i “mcsleepers” siano tollerati dal personale dei McDonald’s che
li lasciano dormire consentendo loro, al mattino prima di raggiungere il posto
di lavoro, di utilizzare i locali dei servizi per la “toilette” del mattino. È quanto
mi viene da dire dei “mcsleepers”, per quel quanto che ho
ripreso dall’interessante reportage di Luciana Grosso. Se ne frattempo avete fortunosamente
ripescato la Vostra copia del “Venerdì di Repubblica” n° 1447 scorretela alla
pagina 101. Scrive un pregevole pezzo Claudio Strinati che ha per titolo “Modigliani, la sfida folle di un magnate
made in Cina”. Vi risparmio l’intero suo contenuto, con una brevissima
notazione. In essa Claudio Strinati ci fa sapere che Mr. Liu Yiqian, magnate che
vive nell’opificio del mondo al apri dei tantissimi “mcsleepers”, ha proceduto
all’acquisto di un dipinto dell’Amedeo Modigliani che ha per titolo “Nu couché”.
Lo ha acquistato per la modica somma di
170.400.000 dollari. E ci fa sapere pure, lo Strinati, che Mr. Liu Yiqian ha
proceduto all’acquisto, tempo addietro, di “una tazzina di ceramica cinese Ming, di
rara e mirabile bellezza” per la miserevole somma di 36.000.000 di
dollari. E che, dopo aver perfezionato l’indispensabile acquisto, abbia “chiamato
i giornalisti e ci ha bevuto un tè, indignando una Nazione intera”. È quanto
questo numero del settimanale di repubblica ci offre su come vanno le cose nel
mondo del ventunesimo secolo. In un mondo nel quale la politica è di fatto
assente e che se pur riesca a farci sapere della sua irrilevante esistenza ci
rende in pari tempo edotti di come essa prenda gli ordini esclusivamente dal
mondo della finanza, un mondo che non finisce mai di indignarci per la
sfrontatezza del suo vivere ostentato senza ritegno alcuno. Fino a quando?
Rileggiamo
il dossier inviato dall’immenso opificio del mondo e pubblicato sul quotidiano
la Repubblica del 26 di agosto 2015 - “Ridateci
i soldi caccia agli yuppies in strada a Shanghai. È la fine di un sogno” –,
dossier a firma di Giampaolo Visetti: (…). A Shanghai e a Shenzhen ora è aperta la
caccia a brokers, traders e funzionari di banca. Sparite, nel quartiere dei
grattacieli eleganti di Pudong, auto sportive e borsette di lusso. Chiusi i
ristoranti gourmet, spente le vetrine con gli orologi svizzeri. Lavorare in
Borsa, fino a due mesi fa, in Cina era il simbolo del successo e proiettava
nella “dolce vita all’occidentale”. Regola numero uno: esibire l’eccesso,
mostrare a tutti di avercela fatta. (…). Nella capitale finanziaria gli
investitori inferociti sfondano i portoni blindati che proteggevano i manager
di quattro banche. «Ridateci i nostri soldi – grida la folla – dove li avete
nascosti?». Immagini censurate dei media di Stato, che tacciono pure come
banche, finanziarie e palazzi dei mercati, compresi quelli di Hong Kong, siano
ora difesi dell’esercito. Per i cinesi accettare che in un giorno la “febbre
gialla” dei listini bruci 5 mila miliardi di dollari, azzerando i guadagni da
gennaio, è impossibile. «La ricchezza – scrivono i piccoli risparmiatori sulla
facciata del secondo istituto di credito di Pechino – non può sparire:
trovatela e restituitela al popolo». (…). …novanta milioni di neo-investitori
capital-comunisti, ingrossati di 40 milioni in otto mesi, assistono in diretta
smartphone all’evaporazione di guadagni e risparmi accumulati a colpi di
debiti. Il partito-Stato rassicura, vieta di vendere per salvare almeno un
centesimo del patrimonio perduto, e i compagni- giocatori cedono bottega,
campagna e casa, impegnati per il miraggio di «diventare ricchi prima di
diventare vecchi». (…). Per la prima volta (…) Pechino si scontra contro
l’incensurabile, un sesto dell’umanità teme di poter perdere tutto, la
leadership comunista vede lo spettro di un’inarrestabile “rivoluzione
capitalista” e a Borse asiatiche chiuse, la banca centrale è costretta ad usare
quella che un industriale del Guangdong definisce «l’ultima bomba atomica del
soccorso di Stato». (…). Wang Jianlin, l’uomo più ricco della Cina, in poche
ore vede sfumare 6,1 miliardi di dollari, primato mondiale, con il fondatore
del gigante Wanda Group che si sveglia sotto i 30 miliardi di patrimonio. Per
operai e casalinghe, contagiati e sterminati da quello che adesso la tivù di
Stato definisce «virus del mercato», è l’unica consolazione: anche i nuovi
“imperatori d’oro”, prima invidiati e ora odiati, in tre mesi hanno perso un
quinto della ricchezza, 97 miliardi da venerdì, 14 solo ieri, un sesto
dell’intero capitale. (…). Centinaia di milioni di cinesi, assieme al resto del
mondo, si chiedono se i successori di Deng Xiaoping stiano «cavalcando la
crisi», oppure se ne siano travolti, se «il nuovo Mao stia in sella o tra le
zampe del cavallo». L’Occidente scopre di essere orfano del suo motore della
crescita, ma milioni di cinesi si vedono rubare il sogno di archiviare per
sempre fame, sacrifici e ciotola di riso. (…). Una gigantesca bolla di Stato
gonfiata da milioni di micro-debiti privati fuori controllo, unita al
fallimento fuori tempo massimo del modello made in China, rivela il potenziale
per distruggere non solo il sostegno pubblico, ma anche l’illusione di rientro
dell’irriducibile investitore privato.Tra i grattacieli-icona del trentennio
d’oro gli ex rivoluzionari maoisti vanno così a caccia del trader alla Gordon
Gekko, ma nel mirino cominciano a inquadrare proprio quello «Stato che li ha
gettati in pasto al mercato» per sostituire l’ideologia con il profitto. Il
Quotidiano del Popolo insinua il sospetto che «la crisi perfetta sia orchestrata
dall’esterno per fermare l’ascesa della Cina e quella del suo leader». Insomma,
il dito è puntato contro un Occidente «politicamente interessato a
ridimensionare l’influenza di Pechino». Si riaffaccia la teoria dei soldi quale
arma alternativa nelle guerre, l’Asia sino-centrica teme di perdere la sua
occasione secolare e i cinesi, persi gli investimenti, intravedono non
un’accelerazione delle promesse «nuove riforme di mercato», ma una «stretta del
vecchio Stato di polizia». (…). Tirano più la crescita i traders o gli operai?
Colletti bianchi e tacchi spillo questa sera a Pudong finiscono in cantina: ma
le tute blu che assediano i «palazzi del grande furto dello Stato piegato al
mercato» sanno bene che questo crack consegna proprio loro, per sempre, in un
museo. Letto quel dossier di Giampaolo Visetti? Lo ricordavate? Lo avevate
cancellato dalla memoria? O sparito quel fatto, venuto dall’opificio lontano del
mondo e provvisoriamente salito all’onore delle nostre cronache quotidiane, il tutto
vi è sembrato che avesse ripreso ad andare per il suo meglio? Non fidatevi.
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