Da “Il
pianeta e il business della Green Economy” di Fabio Bogo, sul settimanale “Affari&Finanza”
del 7 di dicembre 2015: (…). Inquinamento e effetto serra hanno un
impatto socio-economico pesantissimo. Negli ultimi 30 anni, secondo la Banca
mondiale, i disastri naturali hanno provocato 2,5 milioni di morti e provocato
danni per 4 trilioni di dollari. Le perdite per il sistema economico nell'ultimo
decennio - ha calcolato la Munich Re - sono ammontate a 200 miliardi di dollari
l'anno. Enormi anche le conseguenze finanziarie. L'università di Cambridge ha
stimato che da qui al 2020 il valore del capitale investito possa deprezzarsi
del 45 per cento a causa di cambiamenti nella politica ambientale, novità
tecnologiche ed eventi meteorologici; l'Economist Intelligence Unit prevede
addirittura che i rendimenti medi annui dell'industria interessata da problemi
legati al clima possano venire tagliati tra il 26 e il 138 per cento. Lo
scenario, insomma, è catastrofico, e senza azioni concrete che contrastino la
deriva ambientale il costo del cambiamento climatico in atto può essere
equivalente ogni anno al 5% del Pil mondiale (la stima è di Stern Review). L'emergenza
ambientale è anche emergenza economica. Ma proprio nell'economia l'ambiente può
trovare un solido aiuto. Gli investimenti mondiali in una maggiore efficienza
energetica negli anni recenti hanno oscillato tra i 130 e i 300 miliardi di
dollari l'anno. Entro il 2035, stima la Iea, possono salire a 8-15 trilioni di
dollari, con una media di 550 miliardi di dollari l'anno. Se vorrà raggiungere
gli obiettivi prefissati la sola Cina dovrà fare investimenti per 2,7 trilioni
di dollari entro il 2030. La transizione all'energia pulita in sostanza è un
business, sul quale si sono già lanciate le corporation che hanno infatti
aumentato esponenzialmente le emissioni di Green Bond. Sono otto i grandi
settori di intervento: le auto, gli edifici, l'industria, l'internet delle
cose, l'information technology (inclusi i cloud e i data center),
l'illuminazione, l'immagazzinaggio di energia, e i trasporti aerei, su gomma e
rotaia. Nel solo settore immobiliare, ad esempio, la spesa per migliorare
l'efficienza energetica degli edifici residenziali può salire a 160 miliardi di
dollari l'anno entro il 2035, e quella relativa a edifici pubblici e centri
commerciali a 127 miliardi l'anno entro il 2023 (Iea e Navigant Reserarch).
Ridurre l'uso di emissioni fermando le macchine industriali e usando i robot
può far crescere il volume d'affari del settore a 153 miliardi di dollari entro
il 2020, mentre rendere "verde" l'energia usata per i data center e
risparmiare l'88 per cento di emissioni vale almeno 76 miliardi di dollari
(Precourt Istitute di Stanford). Insomma pulire il pianeta è un business. E
forse saranno gli affari, più che gli atolli in pericolo, a far cambiare il
corso alle cose.
Da “Clima, così si distrugge il continente africano” di Richard S.
Odingo - vice presidente dell’”Intergovernmental
Panel on Climate Change” -, a commento di un rapporto dell’Ipcc del 24
di settembre dell’anno 2007: In un Rapporto dell´Intergovernmental Panel
on Climate Change (Ipcc) reso noto nel maggio 2007, il processo inarrestabile
di mutamento climatico prodotto dall´uomo è stato confermato. Secondo tale
Rapporto, il continente africano emerge come uno dei più vulnerabili alla
variabilità e al mutamento climatico. Il documento mette in risalto il fatto
che i principali settori economici dell´Africa sono vulnerabili all´attuale
variabilità climatica, con conseguenze economiche enormi, e che questa
vulnerabilità è accresciuta dalle attuali sfide ambientali globali che gravano
sul continente, come la povertà endemica, governi senza risorse e istituzioni
deboli, accesso limitato ai capitali e ai mercati, carenza di infrastrutture e
tecnologia, degradazione degli ecosistemi, complesse calamità e conflitti. Le
conseguenze del cambiamento climatico in Africa porteranno molti problemi alla
maggior parte del continente. Per esempio è stato stimato dall´Ipcc che la
produzione agricola e la garanzia del cibo in molte regioni africane sarà assai
probabilmente compromessa in modo grave. Inoltre, è un dato di fatto che il
mutamento peggiorerà la mancanza d´acqua che già oggi devono affrontare alcuni
paesi africani, mentre altri che oggi non sono a rischio lo diventeranno
rapidamente poiché il clima continua a cambiare. Inoltre, intere zone costiere
saranno investite dal cambiamento climatico, con conseguenze disastrose per la
pesca e il turismo. Il previsto innalzamento del livello del mare, benché al di
sotto di un metro, farà aumentare la frequenza delle inondazioni, e quindi la
già alta vulnerabilità fisica e socio-economica di città e insediamenti
costieri dell´Africa. Infine, l´impatto del mutamento climatico sarà avvertito
sul piano della salute umana, già compromessa da molti altri fattori. Per
esempio, il cambiamento del clima porterà con sé un´alta incidenza di malaria
in Africa meridionale e negli altipiani dell´Africa orientale. Altre malattie
di cui si prevede l´aumento sono i colpi di calore, il colera e la meningite.
Le inondazioni sono causa di epidemie di malaria e di febbre della Rift Valley
nelle zone aride e semiaride. Si calcola che almeno 162 milioni di persone
vivono in aree ad alto rischio di epidemie di meningite. Di tutti i settori
economici africani, l'agricoltura è la più vulnerabile alla variabilità e al
mutamento climatico, ma è anche il settore cruciale per il sostentamento di
molti paesi africani e contribuisce in larga misura al loro Prodotto interno
lordo. Nelle zone aride e semiaride del continente, la desertificazione è un
pericolo sempre presente. In Africa occidentale la diminuzione delle
precipitazioni fra gli anni settanta e novanta provocò uno spostamento di 25-35 Km delle fasce ecologiche
del Sahel, del Sudan e della Guinea, con un impatto incalcolabile sulle
popolazioni, che forse si avverte molto al di là dei confini africani. Il
cambiamento climatico viene ora chiaramente chiamato in causa per la rapida
scomparsa dei ghiacciai sui monti Kilimanjaro (Kenya) e Ruwenzori (Africa
orientale). Le conseguenze attese sulle risorse idriche delle zone legate a questi
ghiacciai non sono state ancora quantificate, ma si pensa non solo che saranno
serie, ma anche di lungo periodo. Si calcola che nel 2000 il Kilimanjaro avesse
perso già l´80 per cento della sua copertura nevosa, e che se le attuali
condizioni permarranno i ghiacciai rimasti spariranno probabilmente tra il 2015
e il 2020. Anche la rapida crescita demografica delle popolazioni africane
contribuisce a esasperare l´impatto del mutamento climatico. Tutto ciò conduce
alla migrazione dalle aree che sono considerate insicure, perché associate alla
siccità e alla carestia. La migrazione diretta verso l´Europa ha già dato vita
a preoccupazione in merito ai gruppi di africani che cercano illegalmente di
raggiungere il vecchio continente in cerca di cibo, rifugio e lavoro. Problemi
come la migrazione sorgono perché è fallito il tentativo di adattarsi al
proprio ambiente che cambia, sebbene la fuga possa essere considerata una
legittima risposta di adattamento. Un aspetto dell´impatto del cambiamento
climatico che sarà graduale ma alla fine catastrofico riguarda l´aumento
globale del livello medio dei mari. Questo valore sta crescendo globalmente a
un ritmo di 1,77 mm
all'anno. Il fenomeno già sta colpendo le zone costiere in termini di erosione,
ampliamento delle zone soggette a inondazioni, perdita di paludi costiere e di
foreste di mangrovie. Il conseguente spostamento degli insediamenti umani
produrrà problemi sempre maggiori, che diverranno molto più grandi nel giro di
pochi anni. L´impatto dei cambiamenti climatici sugli oceani, i mari e i laghi
provocherà gravi danni alla pesca e penalizzerà i rifornimenti alimentari. Lo
sbiancamento del corallo danneggerà siti turistici ben frequentati come quelli
che si trovano in varie zone costiere dell'Africa. In Africa l´impatto del
cambiamento climatico sulla salute umana è già evidente nell´aumento dei casi
di malaria di febbre della Rift Valley, di Dengue e di altre malattie collegate
all´acqua. Non è impossibile immaginare alcune aree dell´Europa che oggi sono
immuni dalla malaria venire colpite nuovamente da essa in pochi decenni. Il
Rapporto indica che per alcuni fenomeni la migrazione forse sarà l´unica
opzione di salvezza in molte regioni del mondo. Già in Europa meridionale si
avvertono i segni della paura di una possibile ondata migratoria massiccia
dall'Africa. Tuttavia, siamo ancora in tempo per affrontare il problema
attraverso la mutua cooperazione tra Africa ed Europa.
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