Da “La doppiezza di Angela Merkel” di Barbara Spinelli, sul quotidiano
la Repubblica del 26 di settembre dell’anno 2013: (…). Ulrich Beck ha dato un nome
a questa strategia che esalta l’insularità nazionale, che è del tutto priva di
visione europea, e ha tramutato l’Unione in disunione: l’ha chiamata modello
Merkiavelli. Il Principe deve scegliere: o farsi amare o farsi temere. La vincitrice
delle elezioni si sdoppia: è amata in casa, e fuori incute paura. Se in questi
anni ha eretto l’esitazione a norma, se un giorno apre all’unione federale e il
giorno dopo s’avventa contro il rafforzamento del bilancio europeo, la
mutualizzazione dei debiti, l’unione bancaria, è per meglio acquietare i propri
elettori. «L’esitazione si fa strumento machiavellico di coercizione», anche se
ogni volta lo sfascio dell’Europa è evitato in extremis, e ad alto prezzo. Beck
è convinto che alla lunga la strategia non reggerà. Verrà il momento di
decisioni più ardite, e la Merkel oserà l’integrazione europea che non ha
davvero tentato. Non più allarmata dal voto, aspirerà a una grandezza meno
provinciale: vorrà entrare nei libri di storia come vi sono entrati Brandt,
Schmidt, Kohl. Non sarà disturbata oltremisura dal nuovo partito anti-europeo
(Alternativa per la Germania), che farà sentire il suo peso ma non è ancora in
Parlamento. Desidererà esser ricordata per la sua qualità di guida che accomuna
gli europei, invece di spaventarli, soggiogarli, separarli. (...). La Germania è
diventata troppo potente – conclude Beck – per permettersi il lusso
dell’indecisione, dell’inattività. Né lei né i socialdemocratici possono
continuare a sonnecchiare sull’orlo del vulcano, come la bella addormentata
descritta da Jürgen Habermas. Per svegliarsi dal sonno non basta tuttavia
liberarsi del machiavellismo: che è solo un metodo, utile a simulare l’assenza
di ideologie. L’ideologia c’è, invece: la logica del recinto immunizzante presuppone
la certezza di possedere una scienza infusa, un’ortodossia economica non
confutabile, e di quest’ortodossia si nutre il neo-nazionalismo tedesco. Non è
più l’aspirazione a un impero territoriale, ed è vero che Berlino non desidera
restare sola al comando, come alcuni sostengono. È il nazionalismo di ricette
economiche presentate come toccasana infallibili, e che può essere riassunto
così: che ognuno «faccia i suoi compiti a casa» – dietro le rispettive
palizzate, costi quel che costi – e solo dopo saranno possibili la
cooperazione, la solidarietà, l’Europa politica di cui ci sarebbe subito
bisogno. (…). La cancelliera non vuole comandare, ma soverchiatore è il dogma
secondo cui l’ordine mondiale regnerà a condizione che ogni Stato faccia prima
ordine economico in casa. (…). Ma il nazionalismo può anche indossare le vesti
di una democrazia nazionale osservata con puntiglio: ma nell’isolamento,
indifferente a quel che pensano e vivono le altre democrazie dell’Unione. (…).
I tedeschi cercano rifugio nell’ortodossia nazional-liberista non perché
felici, ma perché impauriti. Vogliono a ogni costo stabilità. (…). Non tutti i
tedeschi in verità, perché c’è povertà anche in Germania e ben 7 milioni di
precari lavorano per salari oscillanti fra 8 e 5 euro l’ora (meno dal salario
minimo in Spagna). Ma i più si sentono confortati da un leader che non sembra
chiedere granché ai concittadini, anche quando in realtà chiede. Bisogna che la
crisi tocchi la pelle del paese, perché ci sia risveglio. (…). Ma la democrazia
non si esaurisce tutta nella stabilità, nella continuità. Priva come la Merkel
di forti visioni, la socialdemocrazia è rimasta intrappolata nello spirito dei
tempi: «Non c’è alternativa alle cose come stanno». È un altro recinto da
smantellare, se con la Germania crediamo non alle cose come stanno, ma alla
possibilità di un’Europa diversa.
Da “Migrazioni”
G.B. Zorzoli, sulla rivista on-line “alfabeta2” dell’8 di settembre 2015:
Qualche
numero aiuta a meglio interpretare le reazioni europee di fronte a quella che
viene comunemente definita un’ondata migratoria; immagine, questa, dilatabile a
piacere, fino a configurare il rischio di uno tsunami in grado di distruggere
tutto sul suo percorso (è lo scenario, con parole più rozze e volgari, evocato
da Salvini). La popolazione dell’Unione europea rasenta i 510 milioni: come
numero di abitanti siamo terzi al mondo, dopo Cina e India. Supponiamo che in
qualche anno gli immigrati accolti arrivino a 5 milioni: rappresenterebbero
circa l’1% della popolazione già residente e, qualora ne accettassimo il
doppio, si tratterebbe comunque di un numero agevolmente “digeribile” da
un’area geografica ed economica come la nostra. In realtà, siamo in presenza di
un’onda sulla quale un buon surfista riesce a praticare lo sport preferito
senza mettere a repentaglio la propria vita. Solo che in Europa non tutti sono
buoni surfisti. Le reazioni del governo ungherese che, come ogni fascismo, non
rifugge dalle peggiori turpitudini, e quelle, solo leggermente più soft, delle
autorità ceche ci colpiscono come un pugno allo stomaco, anche perché si tratta
di paesi che dalla loro storia recente avrebbero dovuto imparare la differenza
fra una vera invasione e l’arrivo di umiliati ed offesi, armati soltanto dal
desiderio di trovare un luogo dove sia possibile vivere. Tuttavia,
l’atteggiamento degli altri stati orientali, membri dell’UE, non è
sostanzialmente diverso. Non si parla di loro semplicemente perché finora il
flusso migratorio li ha toccati solo marginalmente. Sulle posizioni assunte dai
paesi dell’est pesano indubbiamente i numeri delle loro economie (basta una
rapida occhiata ai dati di Eurostat per rendersene conto), ma ancor più la non
ancora esaurita reazione di rigetto dei decenni di retorica “socialista” e
vuoto di progressi reali, che si manifesta in forme di egoismo individuale e
collettivo senza se e senza ma. Altri numeri spiegano invece la posizione
assunta dalla Merkel, dove di sorprendente c’è soltanto l’insolita rapidità con
cui è stata presa. La Germania è il paese al mondo con la più bassa natalità:
per ogni donna vengono alla luce 1,55 bambini, mentre, per conservare
l’equilibrio tenendo conto dei casi di sterilità, dovrebbero essere 2,2. Oggi
nel paese vivono 46 milioni di individui in età lavorativa. Senza immigrazione,
in trent’anni scenderebbero a 29 (37% in meno): una situazione palesemente
insostenibile, pur senza mettere nel conto anche i posti di lavoro
tendenzialmente rifiutati dai nativi tedeschi. La Germania ha dunque bisogno di
una quota sostenuta di immigrati, preferibilmente con professionalità e basi
culturali che ne facilitino l’integrazione economica e civile. La Siria
risponde a questi requisiti. Per decenni è stato un paese con una notevole
stabilità politica ed economica, che ha consentito lo sviluppo di un ceto medio
mediamente più istruito, più agiato, più colto e laico di quello presente negli
altri paesi di provenienza dei migranti. Inoltre, la parte più povera della
popolazione siriana ha potuto trovare rifugio in stati limitrofi a rischio
relativamente contenuto, in primo luogo in Libano. Parliamo di 2 milioni di
bambini, donne, uomini che, non avendo i soldi per pagare i servizi dei
trafficanti di uomini e disponendo di alternative “sopportabili” vicino alla
porta di casa, hanno per lo più evitato di percorrere le impervie vie per
procurarseli. La selezione economico-sociale ha quindi notevolmente ridotto la
presenza fra i migranti siriani di persone non rispondenti ai requisiti
richiesti e la Merkel ha colto la palla al volo, dichiarandosi pronta a
concedere asilo politico a tutti i siriani che ne faranno richiesta; per di più
incassando un notevole dividendo politico. È bastato l’annuncio perché partisse
un’operazione mediatica che ha sostituito il volto di una Germania arcigna ed
egoista con quello della nazione portabandiera della solidarietà internazionale
nei confronti di un’umanità in fuga dalla guerra. Gli altri paesi dell’UE sono
stati presi in contropiede. Chiamata, come ormai accade da anni, a coprire il
ruolo di finto partner, la Francia ha ringraziato, capovolgendo senza titubanze
la posizione assunta fino a poche ore prima; l’Italia si è subito allineata.
Anche il Regno Unito di Cameron si è visto costretto a modificare leggermente
il proprio atteggiamento, con la promessa di ospitare alcune migliaia di
migranti. Sul banco degli accusati sono finiti i paesi dell’est, minacciati di
sanzioni se non si dimostreranno abbastanza “generosi”. Un Taillerand redivivo
giudicherebbe la decisione della Merkel molto meglio di un atto umanitario: una
scelta politica azzeccata.
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