Ha scritto Eugenio Scalfari
sul quotidiano la Repubblica del 28 di settembre – “C'è solo acqua nella pentola che bolle sul fuoco” -: Ho
letto con interesse l'articolo di mercoledì scorso del direttore del Corriere
della Sera Ferruccio de Bortoli. È un attacco in piena regola non tanto contro
la politica di Renzi quanto sul suo carattere e il suo modo di concepire la
politica. Debbo dire: mi ha fatto piacere che anche il Corriere abbia capito
che il personaggio che ci governa è il frutto dei tempi bui e se i tempi
debbono essere cambiati non sarà certo quel frutto a riuscirci. Il frutto dei
tempi ha le caratteristiche del seduttore e noi, l'Italia, abbiamo conosciuto e
spesso anche sostenuto molti seduttori. Alcuni (pochissimi) avevano conoscenza
dei problemi reali e la loro seduzione ne facilitava la soluzione. Altri - la
maggior parte - inclinavano verso la demagogia peggiorando in tal modo la
situazione. (…). Dico questo pensando al tema dell'articolo 18 dello Statuto
dei lavoratori. (…). La giusta causa per licenziare: prima lo si poteva fare a
discrezione del "padrone". Dopo fu la giusta causa una difesa da
questa discrezionalità priva di motivazione, che avrebbe dovuto essere provata
dall'imprenditore di fronte al giudice del lavoro. Il dipendente non perdeva
infatti soltanto il salario ma anche la dignità di lavorare. (…). Penso che
bisognerebbe conservarlo l'articolo 18 così inteso e riconoscerlo anche ai
lavoratori impiegati in aziende con meno di quindici dipendenti; penso anche
che i precari che dopo un certo numero di anni ottengono il contratto a tempo
indeterminato, abbiano anch'essi quella tutela. (…). L'abolizione dell'articolo
18 si può fare soltanto se compensa il lavoro con l'equità che deve essere
massima se è vero che la nostra Costituzione si basa sul lavoro e questo
dovrebbe essere l'intero spirito della nostra Repubblica. I ricchi paghino, gli
abbienti paghino, i padroni (…) paghino e le disuguaglianze denunciate da
Napolitano diminuiranno. Una politica di questo genere, quella sì ci darebbe la
forza di indicare all'Europa il percorso del futuro. (…).
Ho scelto di anteporre
la lunga citazione del fondatore del quotidiano la Repubblica giusto per
costruire un ponte tra l’oggi deprimente che si vive e le questioni contenute
nella “sfogliatura” proposta che risale al 6 di dicembre dell’anno
2011 e che aveva per titolo – opportunamente mantenuto – “La lotta”. Poiché di un “pifferaio” dei nostri giorni ne ha
parlato – ravvedendosi per tempo - l’Eugenio Scalfari, così come di un altro “pifferaio”,
nella “sfogliatura” proposta, ne parla don Paolo Farinella. Il falso
appare in tutta la sua evidenza: il cambiamento di verso è una sesquipedale bugia.
“Tutte
le società finora esistite si sono fondate sull’antagonismo tra la classe degli
oppressori e quella degli oppressi. Ma per opprimere una classe è necessario
quanto meno assicurarle condizioni di esistenza che le consentano di vivere da
schiava. Al culmine del feudalesimo, il servo della gleba è riuscito a
diventare membro del Comune; ed il borghese in nuce del medio-evo ha raggiunto
la posizione di borghese, pur stando sotto il giogo dell’assolutismo feudale.
Invece, l’operaio moderno, lungi dall’elevarsi col progresso dell’industria,
scende sempre più in basso, perfino al di sotto del livello delle condizioni
della sua classe. Il lavoratore precipita nel pauperismo ed il pauperismo
cresce ancora più rapidamente della popolazione e della ricchezza. È quindi
evidente che la borghesia è incapace di ricoprire il ruolo di classe dominante
e di imporre alla società, quale legge suprema, quella delle condizioni di
esistenza della propria classe. La borghesia non può dominare, perché non è più
in grado di assicurare l’esistenza al proprio schiavo, pur nel quadro della sua
schiavitù; e perché è costretta a lasciarlo cadere in una situazione tale in
cui, invece di farsi mantenere da esso, deve piuttosto mantenerlo. (…).”. Il brano appena trascritto è stato ripreso
da “Il Manifesto (1848)” del Moro di Treviri. Don Paolo Farinella,
del quale di seguito trascrivo in parte la lettera apparsa sul sito della
rivista “MicroMega” col titolo “Il
governo vaticano”, si duole, in essa,
di chi “non ha mai conosciuto né Marx né
la filosofia del comunismo ideale” o
ne abbia travisato il pensiero. È un passo notevole per un membro della chiesa
di Roma, a conferma del sentire profondo di un uomo di chiesa costantemente
vicino alla gente che abbisogna o soffre e ben lontano dalle gerarchie espresse
dalla sua confessione. Scriveva, a proposito del Moro di Treviri, il
giornalista John Swinton in una Sua corrispondenza del 6 di settembre dell’anno
1880 sul “New York Sun”– corrispondenza riportata (pag. 338) nella stupenda
biografia “Karl Marx. una vita” di
Francis Wheen, Isbn edizioni (2010) pagg. 400 € 27,00 -: “Parlammo del mondo e dell’uomo, dei tempi e delle idee, con il rumore
del mare che faceva da sottofondo al tintinnio dei nostri bicchieri. Il treno
non aspetta nessuno, e la notte è imminente. Levandosi al di sopra del confuso
brusio degli anni e delle epoche, oltre i discorsi del giorno e le immagini
della serata, affiorò alla mia mente una domanda sulla legge ultima
dell’esistenza per la quale avrei voluto una risposta da parte di quel saggio.
Durante una pausa di silenzio, mi rivolsi al rivoluzionario e filosofo con
queste fatidiche parole, emerse dalle profondità del linguaggio e scandite al
culmine dell’enfasi: - Che cos’è? -. Sembrò che la sua mente si distraesse
mentre guardava il mare che tumultuava davanti a noi e la moltitudine che si
agitava sulla spiaggia. - Che cos’è? – avevo chiesto, e in tono profondo e
solenne egli rispose: - La lotta! -. Per un attimo mi parve di aver udito l’eco
della disperazione, ma forse era la legge della vita.” La “lotta” quindi, che ciascuno dovrebbe combattere nel suo piccolo, costantemente,
giornalmente, affinché l’anelito alla giustizia ed all’equità abbia a trovare
il terreno fertile per accrescersi e propagarsi. Inutili saranno, altrimenti,
le profezie dell’uomo di Treviri o, al contempo, le visionarie predicazioni
dell’uomo di Nazareth. Don Paolo Farinella è di “quelli” che lottano in nome di
quell’Uomo. “(…). Ciò che non si vuole
capire è che la crisi non è la conseguenza di speculazioni (è anche questo),
non è frutto della globalizzazione (è anche questo), non è il risultato
dell’incapacità dei governi di fare scelte «sapienti» (è anche questo), non è
per l’Italia la condanna per la goffaggine di un governo corrotto figlio di un
macigno di conflitti d’interessi (e ci mancherebbe altro che non fosse anche
questo), ma è la crisi «interiore» di un sistema, del sistema capitalistico
che, a 22 anni esatti dalla caduta del muro di Berlino, si sta schiantando su
se stesso perché non può più reggere, essendo immorale nell’anima, se mai ne ha
avuta una. Il capitalismo di stampo americano ha potuto reggersi in piedi
perché, paradossalmente, dall’altra parte c’era il comunismo becero dell’Unione
Sovietica che non ha mai conosciuto né Marx né la filosofia del comunismo
ideale, ma si è assestata su un capitalismo di Stato/partito finendo per essere
il fondamento dello sviluppo del capitalismo oligarchico dell’Occidente. Solo i
superficiali hanno potuto cantare vittoria alla caduta del Muro, emblema del
fallimento del comunismo come storicamente si è realizzato nei Soviet. «Simul
stabunt, simul cadent!» dice il proverbio latino: «Insieme stanno e insieme
cadranno». Così è. Caduto il comunismo di stampo sovietico, in Italia crolla la
DC e il sistema dei partiti scomparsi sotto le macerie di Tangentopoli,
rimpiazzati da un piazzista magliaro e corrotto che ha ereditato il peggio di
prima a cui ha aggiunto il peggio di dopo, mettendo in piedi una colossale schifezza
che si presenta con una maschera facciale e trapianti di plastica. Berlusconi è
la plastica riciclata del craxismo e della peggiore Dc, non a caso nelle sue
stalle sono confluiti tutti gli animali immondi della prima repubblica,
compresi i fascisti. Il capitalismo è peggiore del comunismo sovietico, perché
questo garantiva la miseria abbastanza uguale per tutti, quello invece crea la
miseria delle masse per garantire la ricchezza ad un gruppo ristretto di
debosciati oligarchi che fanno quello che vogliono. La conseguenza tragica è il
«mercato», parola magica che serve per giustificare tutte le ignobili scelte in
qualsiasi campo e settore. Il dio che tutto muove è il «mercato» che è il
sistema attraverso cui i ricchi schiacciano i poveri e li costringono a pagare
il costo della loro esistenza di rapina. Il mercato dovrebbe essere emulazione,
concorrenza, confronto, con condizioni uguali per tutti, ma quando è corrotto
da chi lo annuncia e lo esige, quando è manipolato da chi se ne fa scudo,
quando è deviato da conflitti di interessi micidiali, allora il capitalismo è
una bolgia infernale che uccide i deboli e ingrassa i forti e violenti e
degeneri e ladri. Se si vuole uscire dalla crisi che è «crisi di sistema»,
bisogna porsi su un altro piano: ridistribuzione equa delle ricchezze. In un
mondo decente non dovrebbero esserci «stock options», e dislivelli di
retribuzione nel rapporto di 1/517 come avviene con il sig. Marchionne che
prende una paga pari a 517 volte quelle di un suo operaio. Questa è la chiave
della riforma e fuori di essa ci
sarà il diluvio, l’apocalisse perché quando scoppierà «la collera dei poveri»,
tireremo giù il sole e incendieremo la terra inondandola di una luce nuova e di
un nuovo orizzonte, dove tutti saranno veramente uguali, come vuole il Vangelo,
come lo esige la dignità. don Paolo Farinella”
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