“Il ritorno del Capitale”.
Non Vi inganni il titolo del post. Non ci sono ritorni di capitali trasferiti o
trafugati all’estero che abbiano ripreso la via del bel paese. Non abbiate
timore. Accade, ma di rado, allorquando ai trafugatori di capitali viene
garantito l’anonimato, la cancellazione delle pendenze penali, il pagamento di
un’irrisoria “pena” pecuniaria e quant’altro questo disastrato paese riesce a
garantire ai truffatori di turno. “Il ritorno del Capitale” in
questione è ben altra cosa. Fa riferimento, quel titolo, ad una intervista
rilasciata dall’economista del momento al giornalista Fabio Gambaro ed apparsa
sul quotidiano la Repubblica del 6 di marzo dell’anno in corso con quel titolo
in verità enigmatico ed intrigante. E chi è l’economista del momento? È Thomas
Piketty che insegna all’”Ecole des Hautes Etudes en Sciences
Sociales” e all’”Ecole d’économie de Paris”. Piketty
chi, direbbe quel bontempone del nostro. In quei giorni l’economista del
momento dava alle stampe il Suo volume che ha per titolo “Il Capitale nel XXI secolo”, edito ora anche nel bel paese per i
tipi Bompiani. E cosa affermava in quell’intervista il Thomas Piketty:
«Rispetto a un secolo fa, anche se le disuguaglianze restano ancora enormi, il capitale del XXI secolo è meglio distribuito» (…). «All’inizio del Novecento, il 90% del patrimonio era nelle mani del 10% della popolazione più ricca. Oggi, in Europa, questo 10% detiene circa il 60% del patrimonio, mentre negli Stati Uniti e in Inghilterra si arriva al 70%. Nel corso del XX secolo, il 20-30% del capitale è dunque passato nelle mani della classe media. Parallelamente, il capitale ha cambiato natura. Oggi infatti è prevalentemente finanziario e immobiliare, mentre all’inizio del secolo scorso era soprattutto agrario o legato alle aziende familiari». La crisi però sembra erodere il nuovo patrimonio della classe media. (…). …si ha l’impressione che si stia tornando al XIX secolo, quando il capitale cresceva più rapidamente della produzione, accentuando le disuguaglianze. La situazione descritta da Marx nella sua opera più celebre. È così? «Negli ultimi decenni ci siamo allontanati radicalmente dalla situazione che ha prevalso nel secolo scorso, quando l’economia, segnata dai traumi delle due guerre mondiali, ha conosciuto tassi di crescita molti alti. Era però una situazione eccezionale, a cui si è aggiunta un’azione politica molto incisiva per far partecipare il capitalismo privato allo sforzo di ricostruzione. Così, nel periodo 45-80 è stato possibile ridurre le disuguaglianze. Oggi però, finita questa fase, stiamo tornando al capitalismo delle origini, dove l’eredità aveva un peso preponderante. C’è un ritorno di prosperità patrimoniale che ricorda quella della belle epoque, all’inizio del XX secolo. (…).». E dal marzo della intervista al settembre che sta per concludersi sembra siano passati secoli invece che i sei mesi perigliosamente vissuti. E cosa annota Alberto Statera sull’ultimo numero del settimanale “Affari&Finanza” del 22 ultimo scorso – “Se stanno crescendo solo i miliardari più che un jobs act serve un fiscal act” -? Annota che… Chi l'ha detto che tutti i dati sull'economia italiana hanno il segno meno, come il Pil, la produzione industriale e l'occupazione? Ce ne è uno che invece cresce a due cifre. È vero che i numeri assoluti sono piccolissimi, ma la realtà che rivelano è alquanto significativa per chi abbia voglia di leggerla. I supermiliardari in dollari (e in euro) sono aumentati in Italia in un anno, fino al 30 giugno scorso, di quattro unità, raggiungendo il numero di 33. In dodici mesi la loro ricchezza è passata da 97 a 115 miliardi, con un incremento del 18,6 per cento (contro il 12 per cento mondiale) pari al 5,7 per cento del Pil, come rivela l'ultima ricerca di Wealth-X e Ubs. Ma anche escludendo l'élite crescente dei supermiliardari, in Europa solo la Gran Bretagna supera per diseguaglianza nella distribuzione dei redditi l'Italia, dove il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede circa il 47 per cento della ricchezza netta nazionale. Matteo Renzi, che notoriamente assorbe tutto come una spugna, ha certamente divorato rapidamente le 685 pagine dell'ormai famosissimo tomo di Thomas Piketty (…) che è stato considerato un 'contributo fondamentale' da due premi nobel per l'economia come Paul Krugman e Joseph Stglitz. Ma nelle misure che il suo governo sta cercando di varare per rilanciare la crescita non sembra di poter cogliere alcuna traccia di azioni concrete che vadano nella direzione di ridurre le diseguaglianze. Anzi. Quando la crescita rallenta o addirittura va in negativo, come attualmente in Italia, il profitto generato dalla ricchezza, piuttosto che quello generato dal lavoro, cresce esponenzialmente e aumenta la diseguaglianza, perché la rendita finanziaria prodotta dalla ricchezza accumulata ha un valore medio del 5 per cento. Se la crescita è sotto quella percentuale (e da noi è ben al di sotto) i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri. Salvo che la creazione di ricchezza non sia abbinata a un sistema di redistribuzione equo, di cui non si vede traccia. È che questa traccia la si era persa dai tempi lontani della cosiddetta “social card”, allorquando si metteva in atto la Costituzione non scritta e si riconosceva la povertà montante non come “ostacolo” da abbattere ma come una comune componente della vita sociale. Oggi, l’arrembante primo ministro resta in quel solco tracciato da altri che con lo spirito della solidarietà han ben poco da condividere. Recita infatti l’art. 3 della Costituzione scritta: “(…). È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Quell’articolo era stato di già rottamato prima che sorgesse l’alba del “rottamatore” di turno. Annota diligentemente Alberto Statera: …non sarà certo il Jobs Act ad affrontare i problemi che ci angustiano, a cominciare dalla disoccupazione, perché le riforme del mercato del lavoro da sole non creano nuova occupazione e l'inseguimento del libero mercato non sistemerà tutto, come ancora sostengono alcune anime belle. (…). …i contratti atipici raramente si trasformano in lavori permanenti, quanti hanno mini e midijob (nella ricchissima Germania n.d.r.) non riescono a essere promossi, alla maggiore flessibilità si sono accompagnati abusi delle imprese e il boom dei 'working poor', con crescenti disparità per ampi strati della popolazione e, alla lunga, con minacce per la democrazia derivanti dall'iniqua distribuzione della ricchezza. (…). ...Renzi (…) oltre al mercato del lavoro che non c'è, si dedichi magari con più impegno anche all'evasione fiscale che c'è e a promuovere una tassazione più equa della ricchezza. Fine della nota che contestualizza il tutto. Sostiene Thomas Piketty nelle risposte date a Fabio Gambaro: «In effetti, quando — come oggi — la rendita del capitale supera durevolmente il tasso di crescita dell’economia si crea uno squilibrio che tende a ampliare le disuguaglianze, erodendo soprattutto il patrimonio della classe media. In realtà, a parte i periodi in cui l’economia cerca di colmare un ritardo, come ad esempio nel dopoguerra, sul lungo periodo la crescita della produzione non supera mai di molto l’1-1,5% all’anno. Senza dimenticare che quando l’incremento demografico è debole o addirittura negativo, la crescita del Pil ne risente. È quello che accade oggi e continuerà ad accadere in futuro. Dobbiamo farcene una ragione e smetterla di sognare un’illusoria crescita dell’economia». A fronte di questa crescita debole, il rendimento dei capitali invece più sostenuto… «La rendita media del capitale è del 4-5% all’anno. Naturalmente esistono alcuni investimenti a rischio che possono essere più redditizi, ma sul lungo periodo la media è questa, un po’ come accadeva fino all’inizio del XX secolo. Di conseguenza, come nella prima fase del capitalismo ottocentesco, oggi il rendimento del capitale è più elevato della tasso di crescita. E questa situazione scava sempre di più le disuguaglianze patrimoniali. Il capitale si riproduce da solo molto più rapidamente della crescita economica, e i ricchi diventano sempre più ricchi». L’ipotesi dell’autoregolazione del sistema economico è del tutto illusoria? «Non esistono soluzioni naturali. Il sistema da solo non riduce le disuguaglianze. L’errore dei liberali è di credere che la crescita da sola possa risolvere ogni problema, favorendo la mobilità sociale. In realtà non è così. Le disuguaglianze restano e anzi si accentuano. In passato, per ridurre le disuguaglianze e mettere un freno alla concentrazioni dei capitali si è fatto ricorso alle imposte sul reddito e sulle successioni. Ciò ha permesso di allargare la base sociale su cui poggia il patrimonio globale. Il che dimostra che per crescere non c’è bisogno della grande concentrazione patrimoniale del XIX secolo né di penalizzare la classe media». Le leggi dell’economia sono spesso state assimilate a delle leggi di natura indiscutibili, lei invece sostiene il primato della politica sull’economia. «Certo. Il mercato e la proprietà privata hanno certamente molti aspetti positivi, sono la fonte della ricchezza e dello sviluppo, ma non conoscono né limiti né morale. Tocca alla politica riequilibrare un sistema che rischia di rimettere in discussione i nostri valori democratici e di uguaglianza. La politica però può intervenire in maniera intelligente o distruttrice. Da questo dipende il nostro futuro. Ma questi temi esistono nei programmi di governo? Sta tutta qui la falsità e l’antidemocraticità del “cambiare verso” che si vuole imporre nel bel paese. Intanto l’allegra combriccola al governo sbanchetta gli ultimi diritti acquisiti
«Rispetto a un secolo fa, anche se le disuguaglianze restano ancora enormi, il capitale del XXI secolo è meglio distribuito» (…). «All’inizio del Novecento, il 90% del patrimonio era nelle mani del 10% della popolazione più ricca. Oggi, in Europa, questo 10% detiene circa il 60% del patrimonio, mentre negli Stati Uniti e in Inghilterra si arriva al 70%. Nel corso del XX secolo, il 20-30% del capitale è dunque passato nelle mani della classe media. Parallelamente, il capitale ha cambiato natura. Oggi infatti è prevalentemente finanziario e immobiliare, mentre all’inizio del secolo scorso era soprattutto agrario o legato alle aziende familiari». La crisi però sembra erodere il nuovo patrimonio della classe media. (…). …si ha l’impressione che si stia tornando al XIX secolo, quando il capitale cresceva più rapidamente della produzione, accentuando le disuguaglianze. La situazione descritta da Marx nella sua opera più celebre. È così? «Negli ultimi decenni ci siamo allontanati radicalmente dalla situazione che ha prevalso nel secolo scorso, quando l’economia, segnata dai traumi delle due guerre mondiali, ha conosciuto tassi di crescita molti alti. Era però una situazione eccezionale, a cui si è aggiunta un’azione politica molto incisiva per far partecipare il capitalismo privato allo sforzo di ricostruzione. Così, nel periodo 45-80 è stato possibile ridurre le disuguaglianze. Oggi però, finita questa fase, stiamo tornando al capitalismo delle origini, dove l’eredità aveva un peso preponderante. C’è un ritorno di prosperità patrimoniale che ricorda quella della belle epoque, all’inizio del XX secolo. (…).». E dal marzo della intervista al settembre che sta per concludersi sembra siano passati secoli invece che i sei mesi perigliosamente vissuti. E cosa annota Alberto Statera sull’ultimo numero del settimanale “Affari&Finanza” del 22 ultimo scorso – “Se stanno crescendo solo i miliardari più che un jobs act serve un fiscal act” -? Annota che… Chi l'ha detto che tutti i dati sull'economia italiana hanno il segno meno, come il Pil, la produzione industriale e l'occupazione? Ce ne è uno che invece cresce a due cifre. È vero che i numeri assoluti sono piccolissimi, ma la realtà che rivelano è alquanto significativa per chi abbia voglia di leggerla. I supermiliardari in dollari (e in euro) sono aumentati in Italia in un anno, fino al 30 giugno scorso, di quattro unità, raggiungendo il numero di 33. In dodici mesi la loro ricchezza è passata da 97 a 115 miliardi, con un incremento del 18,6 per cento (contro il 12 per cento mondiale) pari al 5,7 per cento del Pil, come rivela l'ultima ricerca di Wealth-X e Ubs. Ma anche escludendo l'élite crescente dei supermiliardari, in Europa solo la Gran Bretagna supera per diseguaglianza nella distribuzione dei redditi l'Italia, dove il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede circa il 47 per cento della ricchezza netta nazionale. Matteo Renzi, che notoriamente assorbe tutto come una spugna, ha certamente divorato rapidamente le 685 pagine dell'ormai famosissimo tomo di Thomas Piketty (…) che è stato considerato un 'contributo fondamentale' da due premi nobel per l'economia come Paul Krugman e Joseph Stglitz. Ma nelle misure che il suo governo sta cercando di varare per rilanciare la crescita non sembra di poter cogliere alcuna traccia di azioni concrete che vadano nella direzione di ridurre le diseguaglianze. Anzi. Quando la crescita rallenta o addirittura va in negativo, come attualmente in Italia, il profitto generato dalla ricchezza, piuttosto che quello generato dal lavoro, cresce esponenzialmente e aumenta la diseguaglianza, perché la rendita finanziaria prodotta dalla ricchezza accumulata ha un valore medio del 5 per cento. Se la crescita è sotto quella percentuale (e da noi è ben al di sotto) i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri. Salvo che la creazione di ricchezza non sia abbinata a un sistema di redistribuzione equo, di cui non si vede traccia. È che questa traccia la si era persa dai tempi lontani della cosiddetta “social card”, allorquando si metteva in atto la Costituzione non scritta e si riconosceva la povertà montante non come “ostacolo” da abbattere ma come una comune componente della vita sociale. Oggi, l’arrembante primo ministro resta in quel solco tracciato da altri che con lo spirito della solidarietà han ben poco da condividere. Recita infatti l’art. 3 della Costituzione scritta: “(…). È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Quell’articolo era stato di già rottamato prima che sorgesse l’alba del “rottamatore” di turno. Annota diligentemente Alberto Statera: …non sarà certo il Jobs Act ad affrontare i problemi che ci angustiano, a cominciare dalla disoccupazione, perché le riforme del mercato del lavoro da sole non creano nuova occupazione e l'inseguimento del libero mercato non sistemerà tutto, come ancora sostengono alcune anime belle. (…). …i contratti atipici raramente si trasformano in lavori permanenti, quanti hanno mini e midijob (nella ricchissima Germania n.d.r.) non riescono a essere promossi, alla maggiore flessibilità si sono accompagnati abusi delle imprese e il boom dei 'working poor', con crescenti disparità per ampi strati della popolazione e, alla lunga, con minacce per la democrazia derivanti dall'iniqua distribuzione della ricchezza. (…). ...Renzi (…) oltre al mercato del lavoro che non c'è, si dedichi magari con più impegno anche all'evasione fiscale che c'è e a promuovere una tassazione più equa della ricchezza. Fine della nota che contestualizza il tutto. Sostiene Thomas Piketty nelle risposte date a Fabio Gambaro: «In effetti, quando — come oggi — la rendita del capitale supera durevolmente il tasso di crescita dell’economia si crea uno squilibrio che tende a ampliare le disuguaglianze, erodendo soprattutto il patrimonio della classe media. In realtà, a parte i periodi in cui l’economia cerca di colmare un ritardo, come ad esempio nel dopoguerra, sul lungo periodo la crescita della produzione non supera mai di molto l’1-1,5% all’anno. Senza dimenticare che quando l’incremento demografico è debole o addirittura negativo, la crescita del Pil ne risente. È quello che accade oggi e continuerà ad accadere in futuro. Dobbiamo farcene una ragione e smetterla di sognare un’illusoria crescita dell’economia». A fronte di questa crescita debole, il rendimento dei capitali invece più sostenuto… «La rendita media del capitale è del 4-5% all’anno. Naturalmente esistono alcuni investimenti a rischio che possono essere più redditizi, ma sul lungo periodo la media è questa, un po’ come accadeva fino all’inizio del XX secolo. Di conseguenza, come nella prima fase del capitalismo ottocentesco, oggi il rendimento del capitale è più elevato della tasso di crescita. E questa situazione scava sempre di più le disuguaglianze patrimoniali. Il capitale si riproduce da solo molto più rapidamente della crescita economica, e i ricchi diventano sempre più ricchi». L’ipotesi dell’autoregolazione del sistema economico è del tutto illusoria? «Non esistono soluzioni naturali. Il sistema da solo non riduce le disuguaglianze. L’errore dei liberali è di credere che la crescita da sola possa risolvere ogni problema, favorendo la mobilità sociale. In realtà non è così. Le disuguaglianze restano e anzi si accentuano. In passato, per ridurre le disuguaglianze e mettere un freno alla concentrazioni dei capitali si è fatto ricorso alle imposte sul reddito e sulle successioni. Ciò ha permesso di allargare la base sociale su cui poggia il patrimonio globale. Il che dimostra che per crescere non c’è bisogno della grande concentrazione patrimoniale del XIX secolo né di penalizzare la classe media». Le leggi dell’economia sono spesso state assimilate a delle leggi di natura indiscutibili, lei invece sostiene il primato della politica sull’economia. «Certo. Il mercato e la proprietà privata hanno certamente molti aspetti positivi, sono la fonte della ricchezza e dello sviluppo, ma non conoscono né limiti né morale. Tocca alla politica riequilibrare un sistema che rischia di rimettere in discussione i nostri valori democratici e di uguaglianza. La politica però può intervenire in maniera intelligente o distruttrice. Da questo dipende il nostro futuro. Ma questi temi esistono nei programmi di governo? Sta tutta qui la falsità e l’antidemocraticità del “cambiare verso” che si vuole imporre nel bel paese. Intanto l’allegra combriccola al governo sbanchetta gli ultimi diritti acquisiti
Nessun commento:
Posta un commento