Andando di “sfogliatura” in “sfogliatura”,
nel tempo che l’attesa per gli eventi che verranno abbia compiuto il suo giro,
mi preme offrire alla Vostra riflessione e considerazione il post del 19 di
maggio dell’anno 2010 che aveva per titolo “Stato e mercato: una soluzione o la
soluzione?”. Ma al contempo mi preme contestualizzare quello scritto,
all’oggi che ha imboccato un “verso nuovo”. Falso. Il “verso”
è quello che era stato tracciato come solco profondo da difendere, si sarebbe
detto un tempo balordo, con la “spada”. Il solco che custodisce imputridendoli i
semi da far germinare di quei temi che dovrebbero stare a cuore a chi regge la
conduzione della cosa pubblica ed a chi da quella gente ne è guidata. Ho avuto
modo di dire, in altre occasioni, come i temi della qualità della vita siano
scomparsi dalle agende della politica, ovvero come quei temi vengano agitati prima
del voto come specchietto che attragga le allodole, per poi essere abbandonati
ottenuto il consenso elettorale. Ricordate? La scuola. La cultura. L’ambiente. La
salute. Temi dei quali si è persa la traccia. Per qual motivo? Il Pil! Il Pil
che domina e scrive le agende della politica tutta, senza distinzione alcuna. E
mi garba di contestualizzare la “sfogliatura” di oggi riprendendo un
celeberrimo passo da un discorso che Bob Kennedy pronunciò all’università del
Kansas il 18 di marzo dell’anno 1968, tre mesi prima di morire ucciso da un
tale Shiran Shiran:
“Per troppo tempo e in misura eccessiva abbiamo sacrificato
l’eccellenza personale e i valori comunitari sull’altare di una mera
accumulazione di beni materiali. Il nostro Prodotto nazionale lordo oggi è di
oltre 800 miliardi di dollari. In quegli 800 miliardi sono addizionati
l’inquinamento atmosferico, la pubblicità delle sigarette, le ambulanze che
trasportano le vittime delle stragi sulle autostrade. Aggiungiamo al conteggio
il valore dei lucchetti delle porte di casa, e delle prigioni dove rinchiudiamo
quelli che li hanno scassinati. Addizioniamo la distruzione delle sequoie,
l’urbanizzazione caotica che distrugge le bellezze naturali. Nel Prodotto
nazionale lordo ci sono il napalm, le testate nucleari, i blindati della
polizia per combattere le rivolte nelle nostre città. Ci sono dentro le pistole
e i pugnali, i programmi televisivi che esaltano la violenza per vendere
giocattoli ai nostri bambini. Invece il Prodotto nazionale lordo non calcola la
salute dei nostri figli, la qualità della loro istruzione, o la serenità dei
loro giochi. Non include la bellezza della poesia o la solidità dei nostri
matrimoni, l’intelligenza del dibattito pubblico o l’onestà dei funzionari
dello Stato. Non misura il coraggio né la saggezza né l’apprendimento, non
misura la carità né la dedizione agli interessi del paese. In sintesi: misura
tutto, eccetto quello che rende la vita degna di essere vissuta. Ci può dire
tutto dell’America, fuorché la ragione per cui siamo orgogliosi di essere
americani”. (…). Oggigiorno, a seguito di una direttiva comunitaria,
nel nostro Pil addizioneremo le ricchezze prodotte dalle attività illegali,
prostituzione, contrabbando, riciclaggio di capitali, droga e quant’altro
concorra alle necessità di far bottino. Si passi ora alla “sfogliatura”. L’onda lunga di quello che è stato il
liberismo della “ dama di ferro “
nella terra d’Albione, e che è stato pure la stella cometa che indicò la via al
pistolero d’America divenuto statista di prima grandezza, quell’onda lunga si
manifesta ancora ed è pur sempre sotto gli occhi di tutti nelle verdi contrade
del bel paese. I postulatori di quella ideologia sopravvivranno alla sua
dipartita? Difficile pensarlo, ancor più difficile crederlo. Ché il capitalismo
è proprio come il famoso gatto: ha sempre sette vite. È che il mondo
dell’occidente, edonista e materialista e scristianizzato, non potrebbe
sicuramente sopravvivere al destino tragico che Giuseppe Tamburrano, in una Sua
riflessione pubblicata di recente su “il Fatto Quotidiano” preconizza per il
capitalismo, al capitalismo nelle forme nelle quali si manifesta oggigiorno. Il
mondo dell’occidente è cresciuto col capitalismo, per il capitalismo: possibile
che “Anche il capitalismo è morto”,
così come titola l’illustre Autore nella Sua dotta riflessione? Non vedo
all’orizzonte una simile eventualità, poiché non vedo nelle masse opulente dell’occidente,
una tensione ideale, un superamento dell’egoismo di cui scriveva, con infinita
lucidità e lungimiranza, il grande Saul Bellow nel Suo straordinario lavoro che
ha per titolo “ Herzog “: (…). La nostra è una civiltà borghese. Non
uso questo termine nel senso in cui l’usava Marx. Fifone! Nel moderno lessico
dell’arte e della religione, è borghese considerare che l’universo sia stato
fatto per il nostro placido uso e consumo e per darci conforto, comodità e
sostegno. La luce non viaggia a 300 mila Km al secondo per permetterci di
vedere mentre ci pettiniamo o per leggere sul giornale che gli ossi di prosciutto
oggi costano meno di ieri. Tocqueville considerava l’impulso verso il benessere
come uno degli impulsi più forti di una società democratica. Non gli possiamo
rimproverare d’aver sottovalutato i poteri distruttivi generati da tale
impulso. (…). E pensare che Saul Bellow, nel Suo tempo, sapeva di un solo
mondo, l’Occidente, rapito e confuso da quell’insano “impulso”: vedesse il mondo d’oggi come si è ridotto! Di seguito
trascrivo, in parte, l’interessante riflessione di Giuseppe Tamburrano. “C’era
una volta l’ideologia, un concetto difficile da definire. Grosso modo è una
filosofia di parte: e cioè una concezione del mondo finalizzata a cambiarlo (o
a conservarlo). I filosofi puri, gli scienziati la disprezzano (ma Gramsci diceva philosophus purus
purus asinus) perché non è una visione oggettiva. Ma per chi vuole cambiare (o
conservare) le cose è, un’ottica necessaria. Marx ne ha dato una definizione
fulminante: - Fin ora i filosofi hanno interpretato il mondo, ora si tratta di
cambiarlo - (tesi su Feuerbach). Il marxismo-leninismo si è sbriciolato come i
macigni del Muro di Berlino. È la fine delle ideologie, proclamarono gli
anticomunisti. E invece prese vigore una nuova ideologia che fu fatta propria
dagli ex comunisti forse perché, vedovi, non poterono farne a meno essendo
mitridatizzati e assuefatti. Mi riferisco all’ideologia del mercato senza
limiti, unica ricetta per assicurare magnifiche sorti e progressive all’umanità
(ruolo che si era assunto anche, dalla parte opposta, il comunismo!): una
ideologia che apparve vincente dopo il fallimento dello statalismo comunista e
che fu la crociata del capitalismo reaganiano fondato sui postulati di Milton
Friedman e della Scuola di Chicago. Portata alle sue estreme conseguenze fu
proposta come la fine della storia o il fine raggiunto dalla storia. Non
diversamente dal comunismo, del resto, dal lato opposto: se la Storia è storia
di lotte di classe, la fine della lotta con la vittoria del proletariato è la
fine della Storia. In questi mesi un altro muro è crollato: quello di
Washington. È crollata l’ideologia reaganiana del mercato senza limiti. Lo dice
papale papale Massimo Gaggi sul Corriere della Sera del 9 maggio: - Affidarsi
alla capacità dei mercati di autoregolarsi non è più possibile -. E Gaggi
traduce una realtà: quella dello sconquasso che la libertà senza limiti delle
forze che si muovono all’interno del mercato sta provocando. Questa
constatazione si diffonde. Ne è convinto Obama che è dovuto intervenire con
soldi dello Stato per salvare banche e industrie, fornendo liquidità ma anche
prescrizioni alle banche (mi sembra con scarsi risultati) e alle industrie:
alla General Motors (l'interesse della General Motors coincide con quello
dell'America, disse il generale Eisenhower quando era presidente degli Usa).
Obama ha fatto un altro discorso: ti do i soldi dello Stato ma tu non sei
libero di usarli come ti pare: devi costruire automobili più piccole e che
inquinano meno. (…). E in Europa, epicentro delle turbolenze, che cosa insegna
la crisi attuale? Che la speculazione, cioè forze del mercato senza freni,
hanno rischiato di mettere in ginocchio l’Europa. La quale ha finalmente deciso
di intervenire contro i tanto esaltati spiriti animali. Non dà quest’ultimo
gravissimo caso ragione agli europeisti secondo i quali l’Europa non può essere
solo una unità monetaria ma deve essere un’entità politica con poteri propri?
Eppure nel caos si vede la stella polare ma nessuno la segue. Sempre in più
pochi sosteniamo che le soluzioni non sono due: il collettivismo statalistico o
il mercato deregolato. La soluzione è una: il socialismo che promuove la
cooperazione tra la mano pubblica e la
mano nascosta del mercato. Aggiornare questa idea di fondo del socialismo
riformista non è facile, ma è il compito esaltante di una sinistra alla ricerca
della sua moderna identità. È la rinascita del socialismo, di quel socialismo
che non vuole abolire il mercato, ma togliergli la sovranità e restituirla al
popolo, il quale attraverso i meccanismi della democrazia discute e sceglie i
fini generali della comunità e lascia al mercato – strumento e non fine – il
più ampio spazio per realizzarli. Stato e mercato: Stato che orienta, mercato
che realizza. (…)”. Al tempo della “sfogliatura” si parlava ancora di “quel
socialismo che non vuole abolire il mercato, ma togliergli la sovranità e
restituirla al popolo”. Punto.
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