Nell’altra vita “virtuale” di
questo blog una sua sezione aveva per titolo “Samizdat”. Cos’era (cos’è)
un “samizdat”?
Domanda terribile! Mi soccorre la provvidenziale Wikipedia che alla
voce “samizdat”
scrive: (самиздат; pron.: səmᵻ’zdat) in russo significa "edito in
proprio", e indica un fenomeno spontaneo che esplose in Unione Sovietica e
nei paesi sotto la sua influenza (Cecoslovacchia, Polonia, ecc.) tra la fine
degli anni cinquanta e i primi anni sessanta. Un altro mondo, un altro
tempo! Era una controinformazione. Ciò che si spera possa fare oggigiorno il
web. Ed in quella sezione, alla data del 26 di maggio dell’anno 2010, postavo un
pezzo che per titolo faceva “E noi
pecore li abbiamo seguiti!!!”. È la “sfogliatura” che oggi di seguito propongo
con un prologo che mi pare necessario per contestualizzare l’argomento all’oggi.
Me ne offre l’occasione – di un prologo che contestualizzi - Alessandro
Robecchi che l’11 di settembre ultimo su “il Fatto Quotidiano” ha pubblicato un
pregevole e graffiante “pezzo” che ha per titolo “Il capolavoro di Renzi: l’invidia sociale trasferita ai piani bassi”.
Scrive Robecchi: (…). …l’ideologia è viva e lotta insieme a noi. Anzi, contro di noi. E
un caso di scuola ci viene dalle recenti imprese del governo Renzi, prima tra
tutte quella del blocco degli stipendi del pubblico impiego: circa tre milioni
di lavoratori per una “manovra” (un pezzettino di quella manovra correttiva che
“non ci sarà”, ma invece c’è eccome) da circa tre miliardi. (…). Come si sa, il
governo Renzi gode di grande sostegno e popolarità, e come si sa è sostenuto
quasi militarmente da alcune falangi di fedelissimi piuttosto acritici,
soldatini sempre in piedi dei social network. È bene ascoltarli, perché sono
loro a tradurre in parole nette l’ideologia corrente.
Ora però una pausa.
Ha scritto tanto tempo fa quel genialone che risponde al nome di Goffredo Fofi,
in “La vocazione minoritaria” - Laterza
editore (2009), pagg. 165, € 12 –, che… “una delle astuzie della società attuale –
almeno in Italia – è di aver convinto i poveri ad amare i ricchi, a idolatrare
la ricchezza e la volgarità. In passato i poveri solitamente non amavano i
ricchi: li si convinceva, anche con la forza, a sopportare la loro condizione,
si tollerava anche che peccassero di invidia, al più li si spaventava con la
prospettiva delle pene dell’inferno. Negli anni Ottanta, negli anni di Craxi, è
esplosa invece una cosa del tutto nuova: la tendenza a negare le differenze tra
i ricchi e i non ricchi, a far sì che i non ricchi si pensino ricchi, che amino
i ricchi come maestri di vita, come modelli assoluti di cui seguire ogni
esempio”. Stop: termine della citazione. Scrive di seguito Alessandro
Robecchi che contestualizza una nuova “lotta di classe” ma all’incontrario:
Il
più chiaro esempio di vulgata renzista di fronte al blocco degli stipendi
pubblici (praticamente un taglio, specie se si pensa che il 2015 sarà il quinto
anno consecutivo di blocco) è il seguente: “Gli statali hanno un lavoro”. Di
più: “Un lavoro fisso”. Che sia un lavoro pagato poco, sì, lo dicono anche loro
(specie quando parlano di docenti, maestri e professori, notevole base elettorale)
ma per ora è quel “posto fisso” che disturba, che offende, che indigna. Prima
lezione di ideologia: invece di battersi per un “posto fisso”, o almeno
dignitoso e minimamente garantito per tutti, si demonizza chi ce l’ha. Insomma,
il meccanismo è semplice: si prende un diritto che a molti è ingiustamente
precluso e lo si chiama “privilegio”, additandolo al pubblico ludibrio. Ora ci
sono due componenti di questa posizione altamente ideologica che si sposano
mirabilmente. Il primo è la lenta, ma inesorabile, distruzione dell’immagine
del dipendente pubblico. Una cosa che prosegue da anni e anni: è ladro, non
lavora, va al bar, eccetera. Il secondo dato ideologico è la vera vittoria del
renzismo: aver trasferito l’invidia sociale ai piani bassi della società.
Quella che una volta si chiamava lotta di classe (l’operaio con la Panda contro
il padrone con la Ferrari) e che la destra si affannava a chiamare “invidia
sociale”, ora si è trasferita alle classi più basse (il precario con la bici contro
l’avido e privilegiato statale con la Panda). Insomma, mentre le posizioni
apicali non le tocca nessuno (né per gli ottanta euro, né per altre riforme
economiche è stato preso qualcosa ai più ricchi), si è alimentata una feroce
guerra tra poveri. Una costante corsa al ribasso che avrà effetti devastanti.
Perché se oggi un precario può dire al dipendente pubblico che è privilegiato,
domani uno che muore di fame potrà indicare un precario come “fortunato”, e via
così, sempre scavando in fondo al barile. Si tratta esattamente, perfettamente,
di un’ideologia. (…). È giusto dire che finalmente in Italia si è “cambiato
verso”. Ed ora la “sfogliatura”: Nino P., navigatore della rete ed inaspettato, gradito visitatore del
mio blog, ha lasciato il commento che di seguito trascrivo al mio post “Elogio
(innocente) del baratto”: “Sono un uomo
del popolo, non possiedo una cultura elevata e non appartengo a nessun
gruppo politico, nella mia busta paga, fino a poco tempo fa, nella dicitura
qualifica, usciva la scritta: operaio qualificato, adesso sono un
tecnico...ma... dentro di me...resto un operaio. Mi sento di appartenere a
quella classe che non c'è più, che è nascosta e rintanata nelle parti oscure di
questa società. Ci hanno impedito di sentirci una classe, un gruppo. E noi pecore
li abbiamo seguiti!!! Ciao Nino P”. A Nino P. non ho risposte da dare. Navigo
a vista anch’io. Traballano le mie certezze di un tempo. Riaffiorano acredini e
nostalgie mal sopite. Penso d’averne ampiamente parlato a proposito della
grande emozione che mi ha suscitato la visione del lavoro cinematografico di Susanna
Nicchiarelli “Cosmonauta”. Consiglio a Nino P. la visione del film. A quelle
lontane nostalgie resto fortemente aggrappato, per non affondare nella melassa
indistinta dell’oggi. Nell’indistinto generalizzato, o meglio globalizzato,
forse, come è uso oggi parlarne, quelle nostalgie sono la mia “uscita di
sicurezza”. Tanto per parafrasare quel grande che è stato Ignazio Silone. A Nino
P. offro in cambio della sua cortesia e della sua attenzione una riflessione di
Umberto Galimberti che ha per titolo “Intanto
noi balliamo”. “(…). … persino nelle sale da ballo delle case del popolo, (…), si
balla molto, ma, come è logico, si parla poco.” Nino P. ha notizie delle “case
del popolo?”. Esisteranno ancora come luogo di socializzazione e di
partecipazione politica? Che la dotta riflessione dell’illustre Autore,
pubblicata il 9 di agosto dell’anno del signore 2008 su di un supplemento del
quotidiano “la Repubblica”, possa servire a Nino P. affinché rintracci quelle
risposte che egli va cercando e che personalmente non riuscirei a dargli. “Nell'Eclissi della ragione (Einaudi)
Horkheimer ha ancora un residuo ottimistico là dove scrive: - L'uomo è ancora
migliore del mondo in cui vive -. Con il crollo delle ideologie se ne sono
andate anche le idee. E con le idee sono scomparse anche le passioni e i
sentimenti che le sostenevano. Lo spaesamento che ne è seguito, a mio parere,
non è congiunturale, ma strutturale, perché da quando l'economia da fattore del
sociale è divenuta forma del sociale e la sua razionalità si è imposta come
modello a tutte le forme di pensiero, non si dà mondo che non sia il
mondo-del-denaro, dove impraticabile diventa la via dell'opposizione, della
resistenza, della lotta che gli uomini hanno conosciuto quando ancora esisteva
una distanza tra mondo reale e mondo ideale. Una volta risolto il mondo nel
mondo-del-denaro, l'economia, (…), spoglia la nozione di società e la nozione
di individuo di ogni valenza qualitativa e, visualizzando l'una e l'altro da un
punto di vista puramente quantitativo, riduce la società a mercato facilmente
computabile nelle sue dinamiche, e l'individuo a semplice rappresentante dei
suoi interessi materiali. Ma là dove la società è ridotta a mercato, e per
giunta globale, nonostante il pensiero dominante non cessa di celebrare il primato
dell'individuo (individualismo) e a sollecitare la sua libera iniziativa
(liberismo), in realtà ciò a cui si assiste è il declino dell'individuo e la
sua progressiva estinzione. Nel mercato, infatti, gli individui entrano in
relazione fra loro in forza degli interessi che promuovono le loro azioni. Ma
così facendo, essi interagiscono non in quanto soggetti con le loro specificità
e peculiarità, ma in quanto titolari di interessi. E allora vien da dire che,
al di là delle sue intenzioni, è proprio l'economia liberista, nella sua
reiterata celebrazione dell'individuo e dei suoi irrinunciabili valori, a
preparare le esequie dell'individuo in quella sua unicità e specificità che
sfugge a ogni omologazione. Già Marx constatava che ‘le persone esistono qui
l'una per l'altra soltanto come rappresentanti delle merci’, mentre nella
società si assiste a ‘rapporti di cose fra persone e rapporti sociali fra cose’.
Come insieme di rappresentanti di interessi, la società diventa meglio
leggibile e meglio governabile di quanto non lo sia come insieme di individui.
E a quel residuo di individualità che ancora permane e resiste a questa
riduzione si concede quello spazio, ritagliato nel sociale e soprattutto non
incidente nel sociale, che è la sfera privata, la quale però, invasa com'è dai
media, sempre più tende a diventare la semplice riproposizione del pubblico, il
luogo più intimo della sua interiorizzazione. A questo punto non si dà
interiorità se non come accoglimento dell'esteriorità, non si dà dentro se non
come riflesso del fuori, non si dà attività se non dopo aver ricevuto
passivamente le regole con cui agire e i contenuti su cui agire, non si dà
libertà se non nell'ambito circoscritto dell'omologazione. Per questo persino
nelle sale da ballo delle case del popolo, (…), si balla molto, ma, come è
logico, si parla poco.”
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