Sappiamo tutti che il “Quarto
potere”, (…), è quello che il potere economico esercita attraverso i mass
media, tradizionalmente la stampa e la televisione, per influenzare l’opinione
pubblica nei suoi comportamenti e nelle sue scelte. (…). Ma ormai, nella
società della comunicazione, si va imponendo sempre più un “Quinto potere”, (…)
il potere dei new mwdia. A differenza dei giornali e della tv, qui si tratta
però di un potere più diffuso, capillare. E quindi, almeno in teoria, anche più
democratico, perché esercitato direttamente da tutti i cittadini che navigano
su Internet, frequentano i social network, usano gli smartphone e i tablet,
come fa anche il nostro giovane presidente del Consiglio nella gestione quotidiana
della sua “politica pop”. Si potrebbe chiamare dunque “Comunicrazia” questo
nuovo potere, con un sincretismo che fonde comunicazione e democrazia. (…). C’è
tuttavia qualche rischio in questa tendenza. E deriva proprio dalla facilità di
accesso alla Rete, dalla contagiosa eccitazione che ne promana, dalla smania e
dall’ebbrezza della comunicazione in tempo reale.
(…). “Negli ultimi dieci anni (…) (citazione tratta dall’Autore dal volume “Introduzione alla semeiotica dei nuovi media”, Laterza editrice (2014), di Giovanna Cosenza , docente di Semeiotica all’Università di Bologna n.d.r.) molti studi psicologici hanno sottolineato gli aspetti ossessivi più preoccupanti del bisogno di contatto continuo con gli altri, con un’attenzione particolare agli usi del cellulare da parte dei teenagers”. Ma lei stessa aggiunge che si tratta di “comportamenti sempre più trasversali dal punto di vista generazionale”. E il peggio è che “a volte il bisogno di stare sempre in linea è così impellente da scatenare ansie e comportamenti compulsivi”. Il fenomeno riguarda almeno tre attività online: il gioco, la frequentazione di siti pornografici e, appunto, lo scambio continuo di mail o di “messaggini”. In tutti e tre i casi, si registra spesso un uso eccessivo fino al punto di trascurare addirittura bisogni primari come la fame e la sete; la frequenza delle crisi di astinenza; l’assuefazione che porta al desiderio di possedere e usare tecnologie sempre più potenti e aggiornate; e infine ripercussioni negative sulla vita sociale dell’individuo, tra cui la tendenza a mentire o a litigare, comportamenti aggressivi, isolamento e stanchezza. È il trionfo di quella che i linguisti definiscono la “scrittura orale” o “scritto-parlato”, in rapporto all’immediatezza e alla rapidità della comunicazione real time che simula il faccia a faccia. L’autrice del saggio la chiama piuttosto “rinascita della scrittura” e “ipergrafia”: per dire che “si scrive tanto, sempre, troppo, al punto che molti preferiscono scriversi invece di parlarsi”. Una sorta di afasia di massa, insomma, che impoverisce, radicalizza o addirittura spegne il confronto e il dialogo. (…). La semplificazione degli argomenti è all’ordine del giorno. Il malinteso o l’equivoco è sempre in agguato. Il litigio o la rissa verbale è dietro l’angolo. (…). Ma, come avviene per qualsiasi altro diritto, anche qui vale la regola aurea dell’autocontrollo e dell’autodisciplina: la libertà di comunicare si può imparare soltanto esercitandola. La lunga, lunghissima citazione è tratta da “La comunicrazia che spegne il dialogo” di Giovanni Valentini, pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 15 di marzo. Aggiunge ancora di Suo Giovanna Cosenza nel volume citato: “La scrittura orale è uscita rapidamente dagli sms e dalle chat, per finire sempre più spesso nelle mail, nei blog e nei più disparati generi di siti web, contagiando anche il giornalismo e la letteratura”. E quel Suo affermare trattarsi di “comportamenti sempre più trasversali dal punto di vista generazionale” mi spinge a raccontare di un oramai lontanissimo giorno di scuola. In un pomeriggio dei più noiosi l’allora definito capo d’istituto ci intratteneva non ricordo più su quali delle amenità scaturite dalle menti perverse della burocrazia ministeriale. Avvenne che il lungo, tedioso concionare di quel che un tempo era detto capo d’istituto fosse interrotto di continuo dallo squillare del suo telefonino e dal suo saltabeccare fuori dall’aula cosiddetta magna per rispondere al misterioso disturbatore. Una, due, tre volte così. Ad un certo punto mi parve senza ombra di dubbio che il comportamento di quel capo fosse dei più riprovevoli e dei più disdicevoli che si potesse incontrare nella miserevole carriera di un insegnante. Alla luce di questa improvvisa intuizione al rientro di quel capo in quella che è detta comunemente aula magna di scatto mi alzai per invitare quell’infaticabile smanettatore e comunicatore di spegnere il suo telefonino nel corso dei lavori di quel collegio di docenti. Tanto per rispetto alla istituzione scuola ed a quelle persone in quel noioso pomeriggio fatte a bella posta lì convenire. Quell’aula che è pur sempre detta magna ammutolì, ma il telefonino fu spento non senza un lieve rossore sulle guance di quel capo. Quell’indecente episodio di vita scolastica alla renziana mi è tornato prepotentemente alla mente nel giorno di presentazione del nuovo governo alle camere. Un primo ministro impegnato spasmodicamente a twittare, “smsaggiare”, telefonare, chattare forse, non lo sapremo mai, nell’indifferenza sua e generale. Ho invano atteso che qualcuno di quegli onorevoli richiamasse quel “buzzurro” al rispetto delle persone lì presenti e delle istituzioni in quanto tali. I-nu-til-men-te. È il senso del nuovo che avanza. Ma tant’è. Tutto, per dirla con l’illustre studiosa, si “impoverisce, radicalizza o addirittura spegne il confronto e il dialogo”. Ed ancor di più concorre a quel fenomeno vasto e generalizzato che vado da tempo definendo della “scarnificazione del pensiero” e che l’illustre studiosa inquadra in quella categoria che definisce “semplificazione degli argomenti”. Non mi resta che proporvi l’interessante intervista di Antonello Caporale - “La sinistra non pensa, twitta E per questo non vince più”, su “il Fatto Quotidiano” del 14 di marzo – al filosofo Aldo Masullo: (…). - La destra non ha alcuna ansia di cambiare l’esistente. Essa è anzi chiamata a conservare, mantenere integri i rapporti sociali come sono. Il suo impegno incide nel dettaglio e non nella prospettiva -.
(…). “Negli ultimi dieci anni (…) (citazione tratta dall’Autore dal volume “Introduzione alla semeiotica dei nuovi media”, Laterza editrice (2014), di Giovanna Cosenza , docente di Semeiotica all’Università di Bologna n.d.r.) molti studi psicologici hanno sottolineato gli aspetti ossessivi più preoccupanti del bisogno di contatto continuo con gli altri, con un’attenzione particolare agli usi del cellulare da parte dei teenagers”. Ma lei stessa aggiunge che si tratta di “comportamenti sempre più trasversali dal punto di vista generazionale”. E il peggio è che “a volte il bisogno di stare sempre in linea è così impellente da scatenare ansie e comportamenti compulsivi”. Il fenomeno riguarda almeno tre attività online: il gioco, la frequentazione di siti pornografici e, appunto, lo scambio continuo di mail o di “messaggini”. In tutti e tre i casi, si registra spesso un uso eccessivo fino al punto di trascurare addirittura bisogni primari come la fame e la sete; la frequenza delle crisi di astinenza; l’assuefazione che porta al desiderio di possedere e usare tecnologie sempre più potenti e aggiornate; e infine ripercussioni negative sulla vita sociale dell’individuo, tra cui la tendenza a mentire o a litigare, comportamenti aggressivi, isolamento e stanchezza. È il trionfo di quella che i linguisti definiscono la “scrittura orale” o “scritto-parlato”, in rapporto all’immediatezza e alla rapidità della comunicazione real time che simula il faccia a faccia. L’autrice del saggio la chiama piuttosto “rinascita della scrittura” e “ipergrafia”: per dire che “si scrive tanto, sempre, troppo, al punto che molti preferiscono scriversi invece di parlarsi”. Una sorta di afasia di massa, insomma, che impoverisce, radicalizza o addirittura spegne il confronto e il dialogo. (…). La semplificazione degli argomenti è all’ordine del giorno. Il malinteso o l’equivoco è sempre in agguato. Il litigio o la rissa verbale è dietro l’angolo. (…). Ma, come avviene per qualsiasi altro diritto, anche qui vale la regola aurea dell’autocontrollo e dell’autodisciplina: la libertà di comunicare si può imparare soltanto esercitandola. La lunga, lunghissima citazione è tratta da “La comunicrazia che spegne il dialogo” di Giovanni Valentini, pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 15 di marzo. Aggiunge ancora di Suo Giovanna Cosenza nel volume citato: “La scrittura orale è uscita rapidamente dagli sms e dalle chat, per finire sempre più spesso nelle mail, nei blog e nei più disparati generi di siti web, contagiando anche il giornalismo e la letteratura”. E quel Suo affermare trattarsi di “comportamenti sempre più trasversali dal punto di vista generazionale” mi spinge a raccontare di un oramai lontanissimo giorno di scuola. In un pomeriggio dei più noiosi l’allora definito capo d’istituto ci intratteneva non ricordo più su quali delle amenità scaturite dalle menti perverse della burocrazia ministeriale. Avvenne che il lungo, tedioso concionare di quel che un tempo era detto capo d’istituto fosse interrotto di continuo dallo squillare del suo telefonino e dal suo saltabeccare fuori dall’aula cosiddetta magna per rispondere al misterioso disturbatore. Una, due, tre volte così. Ad un certo punto mi parve senza ombra di dubbio che il comportamento di quel capo fosse dei più riprovevoli e dei più disdicevoli che si potesse incontrare nella miserevole carriera di un insegnante. Alla luce di questa improvvisa intuizione al rientro di quel capo in quella che è detta comunemente aula magna di scatto mi alzai per invitare quell’infaticabile smanettatore e comunicatore di spegnere il suo telefonino nel corso dei lavori di quel collegio di docenti. Tanto per rispetto alla istituzione scuola ed a quelle persone in quel noioso pomeriggio fatte a bella posta lì convenire. Quell’aula che è pur sempre detta magna ammutolì, ma il telefonino fu spento non senza un lieve rossore sulle guance di quel capo. Quell’indecente episodio di vita scolastica alla renziana mi è tornato prepotentemente alla mente nel giorno di presentazione del nuovo governo alle camere. Un primo ministro impegnato spasmodicamente a twittare, “smsaggiare”, telefonare, chattare forse, non lo sapremo mai, nell’indifferenza sua e generale. Ho invano atteso che qualcuno di quegli onorevoli richiamasse quel “buzzurro” al rispetto delle persone lì presenti e delle istituzioni in quanto tali. I-nu-til-men-te. È il senso del nuovo che avanza. Ma tant’è. Tutto, per dirla con l’illustre studiosa, si “impoverisce, radicalizza o addirittura spegne il confronto e il dialogo”. Ed ancor di più concorre a quel fenomeno vasto e generalizzato che vado da tempo definendo della “scarnificazione del pensiero” e che l’illustre studiosa inquadra in quella categoria che definisce “semplificazione degli argomenti”. Non mi resta che proporvi l’interessante intervista di Antonello Caporale - “La sinistra non pensa, twitta E per questo non vince più”, su “il Fatto Quotidiano” del 14 di marzo – al filosofo Aldo Masullo: (…). - La destra non ha alcuna ansia di cambiare l’esistente. Essa è anzi chiamata a conservare, mantenere integri i rapporti sociali come sono. Il suo impegno incide nel dettaglio e non nella prospettiva -.
La destra dunque non ha l’onere
di elaborare il nuovo. - Non gli frega nulla del nuovo, non ci pensa, non è suo
affare. Conservazione. La parola stabilisce i criteri dei confini. Si sposta
poco, e quel poco diventa il necessario. Sul necessario si trova sempre il più
vasto accordo -.
Siamo noi di sinistra ad avere
ambizioni smodate, come Renzi. - Renzi e la sinistra abitano in due edifici
separati. Lasciamolo stare e badiamo a noi. Vogliamo cambiare le cose,
trasformare la società. Teorizziamo quindi ipotesi di sovvertimento dei
rapporti di forza -.
Vogliamo trasformare il mondo, e
invece sembriamo custodi dell’immobilismo. - Per trasformare devi immaginare,
parlare, dire cose. Per dire devi pensare. La sinistra non sa cosa dire perché
ciò che deve dire è ancora tutta da inventare -.
La sinistra non pensa più. - Il
pensiero non è una macchina e internet ci ha suggerito modalità veloci di
espressione e apprendimento. Siamo abituati a rispondere con un sì o un no -.
Il dramma del pensiero veloce. -
Ci frega l’assenza di confronto. Esistevano i seminari. Erano un modo per
azzerare ogni gerarchia e avanzare le opinioni in un confronto orizzontale.
Vede lei occasioni di questo tipo? -.
Alla Leopolda c’erano dei tavoli
circolari. - Scempiaggini, quella era scena pura, teatro, finzione. Il pensiero
nasce dalla riflessione e dal confronto. Non riflettiamo più né ci confrontiamo
più -.
Siamo impegnati su twitter. -
Ecco, bravo. L’origine veloce delle idee, anzi la filosofia del monosillabo. Ti
piace questo? Sì mi piace. No, non mi piace -.
Siamo senza un pensiero ma
litighiamo uguale. - Litighiamo sempre noi di sinistra perché in assenza di un
obiettivo comune elaboriamo differenze quotidiane su ogni singolo dettaglio.
Perciò non arriviamo mai uniti al traguardo -.
Quando c’è odore di elezioni la
destra si ricompatta, nasconde ogni rancore, annienta ogni cattiveria. - Per
quelli là il gioco è più facile. Le posso dire che quando vivevamo
identificando l’obiettivo comune con un dogma, parlo del Pci, qualcosa di
virtuoso nel vizio esisteva. C’era il dogma. Chi obbediva era dentro, chi lo
rifiutava era fuori. Almeno esisteva il dogma -. (…).
Il pensiero veloce frantuma le
identità. Internet annienta le classi sociali. - Frantuma ogni concezione
comunitaria, distrugge la coesione, gli obiettivi comuni, la stessa idea che
esista un medesimo orizzonte. C’era la classe operaia che riteneva, per poter
migliorare la sua condizione, di affidarsi a una forza politica. Chiedeva di
essere rappresentata, produceva istanze -.
Oggi non è così. - Oggi riteniamo
che tutto si possa fare con una macchina elettronica. Ma con la tastiera di un
intelligentissimo computer che interagisce, connette mondi, costumi, geografie,
non riesci a elaborare un pensiero. Pensare non è come calcolare -.
Noi di sinistra siamo destinati
alla sconfitta. Ci divideremo sempre. - Se non inventiamo orizzonti possibili.
Se non pensiamo a cosa fare, a quali trasformazioni dare gambe e forza, siamo
destinati a dividerci -. (…).
Internet comunque,se usato correttamente,ci permette di ampliare la nostra informazione,di scegliere chi leggere e con chi colloquiare nel rispetto delle proprie e altrui idee e mi da l'opportunità di partecipare attivamente a questo forum,sapendo chi è il mio interlocutore di riferimento."Litighiamo sempre noi di sinistra perché in assenza di un obiettivo comune elaboriamo differenze quotidiane su ogni singolo dettaglio. Perciò non arriviamo mai uniti al traguardo -."Ciò che hai scritto è il vero punto dolens della SX è,mi chiedo,se non sia dovuto al fatto che molti di noi si siano sentiti o si sentano i veri portatori del nuovo e del giusto,perdendo il senso del lavoro di gruppo,delle idee condivise ma soprattutto del concetto molto semplice che è solo insieme,con la circolazione delle idee che si vince.
RispondiElimina