Proprio in queste ore, durante le
quali appronto questo post, il funambolico presidente del consiglio del bel
paese affronta la Cancelliera di Bonn. Quale potranno essere mai i suoi punti
di forza nel corso della “discussione” che non sarà certo un semplice,
giovanile twittare? Proprio oggi il quotidiano la Repubblica ha pubblicato un
intervento della politologa Nadia Urbinati che ha per titolo “Berlusconi, il mondo capovolto”. È di
questo “mondo capovolto” che si farà messaggero il funambolico primo
ministro? Quale ascolto potrà avere in un consesso internazionale? Si dirà:
troppo presto per concionare e giudicare. È che è da sempre che tutti coloro
che si sono posti quali salvatori del bel paese hanno poi dimostrato di non
saperci proprio fare. Ne abbiamo di già avuto lunga, lunghissima esperienza. Si
dirà: ora sarà diverso. Come diverso? Da cosa? Da cosa lo si intuisce?
È che quel “mondo capovolto” del quale ha scritto Nadia Urbinati sembra essere una caratteristica della quale appare difficile liberarsene. Scrive l’illustre studiosa: Forte del titolo di padre della patria, Berlusconi si lancia ora nell’affondo finale: la richiesta vox populi della grazia e infine la candidatura alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Invece dei servizi sociali l’aula di Strasburgo. L’Italia rappresentata da un reo fatto eroe dalla politica nazionale. Una saga dai contorni surreali eppure recitata con la pomposità e la retorica della grandi manovre. (…). I segnali ci sono tutti; i giannizzeri si sono mobilitati in folta schiera. Porta il primo ministro, nell’incontro di Bonn, un tratto politico che ha caratterizzato da sempre la vita pubblica del bel paese e che agli altri non sembra ispirare alcunché di buono. I nemici di quello che dovrebbe essere il cambiamento sono all’interno dei palazzi del potere, ne determinano gli indirizzi e le scelte. Proprio oggi Massimo Giannini, sul nuovo numero del settimanale Affari&Finanza, ha scritto a proposito di un tema ricorrente, l’Alitalia, col quale il twittatore dovrà necessariamente misurasi – “Il carrozzone Alitalia e le profezie di Cuccia” -: «Queste considerazioni, unitamente a quelle ricavabili dai dati esposti circa la possibilità per Alitalia di migliorare la produttività della sua gestione, fanno ritenere che, se si riuscirà a ridare all'azienda l'immagine - e non soltanto l'immagine - di efficienza di cui godeva sino a un paio di anni fa, l'azione privilegiata dovrebbe poter essere accolta dal mercato quale componente di investimenti mobiliari diversificati, una volta che siano stati pagati tutti i dividendi arretrati...». (…). …queste parole sono di Enrico Cuccia. Solo che il grande vecchio della finanza italiana le scrisse da giovane. Questo brano è un estratto di 'Uno studio su Alitalia', che il banchiere già in Mediobanca scrisse il 19 novembre 1973, (…). Quello che ti colpisce, al di là delle considerazioni del più potente e controverso banchiere della storia patria, è toccare con mano che già nel 1973 Alitalia era un carrozzone, improduttivo e inefficiente. Quello che ti sciocca è leggere che già 41 anni fa lo Stato Pantalone si preparava a scucire soldi pubblici per colmare i buchi della compagnia, tanto che lo stesso Cuccia avvertiva, profetico: «Un programma che mirasse a trasferire sui contributi pubblici le perdite di una gestione resa inefficiente da considerazioni extra-economiche creerebbe un problema al normale svolgimento delle attività sui mercati...». A quasi mezzo secolo di distanza, nel pozzo nero di Alitalia sono finite decine di miliardi di euro pagati dagli incolpevoli contribuenti. Ma ancora non ci basta. La compagnia ha di nuovo il fiato corto, nonostante l'ossigeno concesso da Poste e banche in attesa di capire se va in porto l'accordo con gli emiri di Abu Dhabi e se cambia l'alleanza con Air France. L'impressione, sgradevolissima, è che arabi e francesi stiano giocando una loro partita a poker sulla pelle della nostra compagnia aerea. (…). I problemi sono enormi: c'è la montagna di debiti, oltre 1 miliardo, e ora spunta anche la 'collina' dei contenziosi, oltre 600 milioni. Sarà il caso di accelerare i tempi, prima che sia di nuovo troppo tardi. Persino Cuccia, che ne ha fatte e ne ha viste di tutti i colori, si starà rivoltando nella tomba. Bene, cosa se ne sa degli orientamenti del governo sul problema Alitalia? E uno. Nei suoi tonitruanti predicozzi il funambolico primo ministro aveva additato al pubblico ludibrio la eterna, immarcescibile casta degli alti, altissimi burocrati. Di quel predicozzo se ne è persa traccia. Eppure la burocrazia si è da sempre rivelata una sfera di piombo al piede del bel paese. Ha scritto in proposito Marco Panara, sempre sul settimanale Affari&Finanza del 24 di febbraio – “Da Mps a Rcs, il potere secondo Matteo” -: La novità è il contesto: una società piegata da cinque anni di recessione, il 9 per cento di prodotto lordo perduto, la disoccupazione che viaggia verso il 13 per cento e quella giovanile che supera il 40, imprese che chiudono, negozi che abbassano definitivamente le saracinesche, studi professionali che fingono di rimanere attivi per salvare un residuo di dignità. Ma è cambiato anche il contesto di quelli che si usava chiamare i "poteri forti". Le banche sono nell'angolo, i salotti sono stati smembrati, gli azionisti di Rcs si insultano a vicenda e a Trieste arrivano avvisi di garanzia e azioni di responsabilità, la Fiat sposta la sede legale in Olanda, quella fiscale a Londra e la quotazione a Wall Street. Ma non è stata la forza della politica a smembrare i salotti, sono state la crisi e la competizione globale che li hanno resi reperti antiquari. (…). Nella Roma invisibile del potere vero comandano nascosti i reali padroni dello Stato, quelli che se i politici qualche volta decidono di fare qualcosa hanno poi il potere di frenare, modificare, annacquare, annullare le riforme dalle loro poltrone di capi di gabinetto, ragionieri generali, dirigenti apicali dei ministeri, magistrati amministrativi e contabili. Sono sistemi di potere solidi, cementati da relazioni ma anche dal monopolio della cultura amministrativo-contabile che ha preso in ostaggio l'Italia cancellando ogni altra. La forza di questi mandarini occidentali è che non si può fare a meno di loro, solo loro sanno dove sono nascosti i bandoli della matassa di norme e regolamenti che soffoca l'iniziativa, l'impresa, la stessa pubblica amministrazione diventata schiava di se stessa, l'intera società. (…). È da questa inquietante realtà, così ben rappresentata da Massimo Giannini e da Marco Panara, che dovrebbe prendere l’avvio per un effettivo cambio di rotta. Ma il discorso in merito sembra essersi arenato nelle secche delle mirabolanti enunciazioni. Donde ne deriva lo sconforto generale che accompagna l’avvio del nuovo che non c’è. Tanto per tornare ai fatti reali, quelli che poi decideranno delle scelte politiche a venire, scrive ancora Nadia Urbinati: È chiaro che Berlusconi potrebbe continuare a fare politica stando fuori dalle istituzioni: non è forse Beppe Grillo un grande trascinatore senza essere un eletto? Ma evidentemente a Berlusconi non interessa tanto trascinare le masse, quanto trascinarle con lo scopo di meglio soddisfare i suoi interessi ovvero a proprio vantaggio, un obiettivo che può essere raggiunto stando dentro le istituzioni, non fuori. Non si spiega diversamente il suo amore per l’investitura istituzionale, per quell’immunità che gli è stata utilissima per tanti anni e che ha perso lo scorso novembre. È questa la politica che interessa a Berlusconi. Il resto sono solo chiacchiere ben cucinate per imbonire l’audience. (…). «Ridicolo », dice l’uomo più ricco e più potente d’Italia (ancora Cavaliere del Lavoro), che debba pagare per aver violato la legge come capita a un qualunque normale cittadino. La soluzione che egli vuole è ben altra, è fare un altro tipo di servizio, quello al Parlamento europeo. Quello che si prospetta davanti ai nostri occhi è un mondo rovesciato, nel quale il condannato diventa un perseguitato e la legge una «grave lesione al diritto» perché mette un fermo al suo «diritto di rappresentare i moderati italiani». In questa condizione surreale, Berlusconi e i suoi lanciano una nemmeno poco velata minaccia: chi si provasse a impedirlo si «assumerebbe una grave responsabilità davanti a milioni di italiani». (…). È di questo avviluppo di fatti e misfatti che si è da sempre nutrita la politica del bel paese. Un segnale del nuovo sarebbe stato non consentire più spettacoli d’indecenza che non saranno di certo ben visti oltralpe.
È che quel “mondo capovolto” del quale ha scritto Nadia Urbinati sembra essere una caratteristica della quale appare difficile liberarsene. Scrive l’illustre studiosa: Forte del titolo di padre della patria, Berlusconi si lancia ora nell’affondo finale: la richiesta vox populi della grazia e infine la candidatura alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Invece dei servizi sociali l’aula di Strasburgo. L’Italia rappresentata da un reo fatto eroe dalla politica nazionale. Una saga dai contorni surreali eppure recitata con la pomposità e la retorica della grandi manovre. (…). I segnali ci sono tutti; i giannizzeri si sono mobilitati in folta schiera. Porta il primo ministro, nell’incontro di Bonn, un tratto politico che ha caratterizzato da sempre la vita pubblica del bel paese e che agli altri non sembra ispirare alcunché di buono. I nemici di quello che dovrebbe essere il cambiamento sono all’interno dei palazzi del potere, ne determinano gli indirizzi e le scelte. Proprio oggi Massimo Giannini, sul nuovo numero del settimanale Affari&Finanza, ha scritto a proposito di un tema ricorrente, l’Alitalia, col quale il twittatore dovrà necessariamente misurasi – “Il carrozzone Alitalia e le profezie di Cuccia” -: «Queste considerazioni, unitamente a quelle ricavabili dai dati esposti circa la possibilità per Alitalia di migliorare la produttività della sua gestione, fanno ritenere che, se si riuscirà a ridare all'azienda l'immagine - e non soltanto l'immagine - di efficienza di cui godeva sino a un paio di anni fa, l'azione privilegiata dovrebbe poter essere accolta dal mercato quale componente di investimenti mobiliari diversificati, una volta che siano stati pagati tutti i dividendi arretrati...». (…). …queste parole sono di Enrico Cuccia. Solo che il grande vecchio della finanza italiana le scrisse da giovane. Questo brano è un estratto di 'Uno studio su Alitalia', che il banchiere già in Mediobanca scrisse il 19 novembre 1973, (…). Quello che ti colpisce, al di là delle considerazioni del più potente e controverso banchiere della storia patria, è toccare con mano che già nel 1973 Alitalia era un carrozzone, improduttivo e inefficiente. Quello che ti sciocca è leggere che già 41 anni fa lo Stato Pantalone si preparava a scucire soldi pubblici per colmare i buchi della compagnia, tanto che lo stesso Cuccia avvertiva, profetico: «Un programma che mirasse a trasferire sui contributi pubblici le perdite di una gestione resa inefficiente da considerazioni extra-economiche creerebbe un problema al normale svolgimento delle attività sui mercati...». A quasi mezzo secolo di distanza, nel pozzo nero di Alitalia sono finite decine di miliardi di euro pagati dagli incolpevoli contribuenti. Ma ancora non ci basta. La compagnia ha di nuovo il fiato corto, nonostante l'ossigeno concesso da Poste e banche in attesa di capire se va in porto l'accordo con gli emiri di Abu Dhabi e se cambia l'alleanza con Air France. L'impressione, sgradevolissima, è che arabi e francesi stiano giocando una loro partita a poker sulla pelle della nostra compagnia aerea. (…). I problemi sono enormi: c'è la montagna di debiti, oltre 1 miliardo, e ora spunta anche la 'collina' dei contenziosi, oltre 600 milioni. Sarà il caso di accelerare i tempi, prima che sia di nuovo troppo tardi. Persino Cuccia, che ne ha fatte e ne ha viste di tutti i colori, si starà rivoltando nella tomba. Bene, cosa se ne sa degli orientamenti del governo sul problema Alitalia? E uno. Nei suoi tonitruanti predicozzi il funambolico primo ministro aveva additato al pubblico ludibrio la eterna, immarcescibile casta degli alti, altissimi burocrati. Di quel predicozzo se ne è persa traccia. Eppure la burocrazia si è da sempre rivelata una sfera di piombo al piede del bel paese. Ha scritto in proposito Marco Panara, sempre sul settimanale Affari&Finanza del 24 di febbraio – “Da Mps a Rcs, il potere secondo Matteo” -: La novità è il contesto: una società piegata da cinque anni di recessione, il 9 per cento di prodotto lordo perduto, la disoccupazione che viaggia verso il 13 per cento e quella giovanile che supera il 40, imprese che chiudono, negozi che abbassano definitivamente le saracinesche, studi professionali che fingono di rimanere attivi per salvare un residuo di dignità. Ma è cambiato anche il contesto di quelli che si usava chiamare i "poteri forti". Le banche sono nell'angolo, i salotti sono stati smembrati, gli azionisti di Rcs si insultano a vicenda e a Trieste arrivano avvisi di garanzia e azioni di responsabilità, la Fiat sposta la sede legale in Olanda, quella fiscale a Londra e la quotazione a Wall Street. Ma non è stata la forza della politica a smembrare i salotti, sono state la crisi e la competizione globale che li hanno resi reperti antiquari. (…). Nella Roma invisibile del potere vero comandano nascosti i reali padroni dello Stato, quelli che se i politici qualche volta decidono di fare qualcosa hanno poi il potere di frenare, modificare, annacquare, annullare le riforme dalle loro poltrone di capi di gabinetto, ragionieri generali, dirigenti apicali dei ministeri, magistrati amministrativi e contabili. Sono sistemi di potere solidi, cementati da relazioni ma anche dal monopolio della cultura amministrativo-contabile che ha preso in ostaggio l'Italia cancellando ogni altra. La forza di questi mandarini occidentali è che non si può fare a meno di loro, solo loro sanno dove sono nascosti i bandoli della matassa di norme e regolamenti che soffoca l'iniziativa, l'impresa, la stessa pubblica amministrazione diventata schiava di se stessa, l'intera società. (…). È da questa inquietante realtà, così ben rappresentata da Massimo Giannini e da Marco Panara, che dovrebbe prendere l’avvio per un effettivo cambio di rotta. Ma il discorso in merito sembra essersi arenato nelle secche delle mirabolanti enunciazioni. Donde ne deriva lo sconforto generale che accompagna l’avvio del nuovo che non c’è. Tanto per tornare ai fatti reali, quelli che poi decideranno delle scelte politiche a venire, scrive ancora Nadia Urbinati: È chiaro che Berlusconi potrebbe continuare a fare politica stando fuori dalle istituzioni: non è forse Beppe Grillo un grande trascinatore senza essere un eletto? Ma evidentemente a Berlusconi non interessa tanto trascinare le masse, quanto trascinarle con lo scopo di meglio soddisfare i suoi interessi ovvero a proprio vantaggio, un obiettivo che può essere raggiunto stando dentro le istituzioni, non fuori. Non si spiega diversamente il suo amore per l’investitura istituzionale, per quell’immunità che gli è stata utilissima per tanti anni e che ha perso lo scorso novembre. È questa la politica che interessa a Berlusconi. Il resto sono solo chiacchiere ben cucinate per imbonire l’audience. (…). «Ridicolo », dice l’uomo più ricco e più potente d’Italia (ancora Cavaliere del Lavoro), che debba pagare per aver violato la legge come capita a un qualunque normale cittadino. La soluzione che egli vuole è ben altra, è fare un altro tipo di servizio, quello al Parlamento europeo. Quello che si prospetta davanti ai nostri occhi è un mondo rovesciato, nel quale il condannato diventa un perseguitato e la legge una «grave lesione al diritto» perché mette un fermo al suo «diritto di rappresentare i moderati italiani». In questa condizione surreale, Berlusconi e i suoi lanciano una nemmeno poco velata minaccia: chi si provasse a impedirlo si «assumerebbe una grave responsabilità davanti a milioni di italiani». (…). È di questo avviluppo di fatti e misfatti che si è da sempre nutrita la politica del bel paese. Un segnale del nuovo sarebbe stato non consentire più spettacoli d’indecenza che non saranno di certo ben visti oltralpe.
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