C’è un gran parlare in giro di
vecchi da rottamare e di giovani che innovano. È un parlare senza senso alcuno.
Ché si può essere giovani ed al contempo “vecchi vecchi”, dal di dentro. E se
non “vecchi
vecchi” per personale inclinazione “vecchi vecchi” per abitudini, per
consuetudini, per educazione, per acquiescenza. Ed allora è un vuoto parlare in
termini d’anagrafe laddove ad essa si volesse associare la giovinezza delle
idee e del fare. Ed è esistito un tempo, che sembra oggigiorno remoto assai, che
sul quotidiano l’Unità, con puntualità giornaliera, compariva una rubrichetta –
“Manginobrioches”,
che si ispirava di certo a quella regnante d’oltralpe che informata che il
popolo non avesse pane da mangiare consigliava di mordere le fragranti delizie
– nella quale si discettava bonariamente e con semplicità dei massimi sistemi.
E così il 21 di novembre dell’anno 2011 compariva nella predetta rubrichetta un
“pezzo” col titolo “I vecchi nuovi e i
nuovi vecchi”. È tutto un fluire in esso di una saggezza semplice e pratica
che al tempo della “scarnificazione” del pensiero sembra essere un miracolo dal
ciel piovuto. A pensarci bene al tempo – il 2011 – l’idea di rottamare si
affacciava prepotente come la ricetta necessaria e salvifica per la risoluzione
di tutti i mali del mondo. Non ci resta che leggere il dialogo illuminante: «Zia,
che cos'è il nuovo?». «Il nuovo prima non c'era». «E quindi che cos'è nuovo,
adesso?». «Il governo è nuovo». «Ma alcuni dicono che è vecchio». «E che cos'è,
il vecchio?». «Il vecchio, zia, beh, è quello che esiste da molto tempo..». «Quindi
questo governo non può essere vecchio». «No. Ma è vecchio anche chi... ha molti
anni d'età». «E quindi?». «Quindi magari è poco elastico, vede le cose in un
modo... vecchio. Non capisce il nuovo e non lo sa realizzare». «Io ti sembro
vecchia?». «Tu hai 74 anni». «Oh, ne ho molti di più. Ogni volta che leggo
sento o vedo qualcosa, divento più vecchia: mi arricchisco di tutta la
vecchiaia del mondo, pensa». «Accidenti, e questo lo possiamo fare anche noi
giovani?». «Ogni volta che volete». « Figo». «In effetti, bisogna essere
vecchi, per essere giovani come si deve: ma questo l'ho imparato col tempo.
Essere nuovi è una cosa molto difficile, e devi essere molto vecchio, per saper
essere nuovo. Guarda la sinistra, per dire». «La sinistra è vecchia o nuova,
zia?». «Dipende: ci sono giovani che sono vecchissimi, e meno male. Se non se
lo ricordassero loro, che sinistra significa condividere e proteggere i più deboli,
magari gli altri non se lo ricorderebbero mai. (…). Ma purtroppo ci sono anche
quelli vecchi che sono smemorati come se fossero nuovi, e quelli nuovi che sono
semplicemente vecchi, anche loro senza memoria e senza uno straccio di nuova
idea». «Ma non erano quegli altri, quelli che se ne sono andati, vecchi e senza
uno straccio di nuova idea?». «Lo erano. Vecchissimi, decrepiti, anche se si
tingevano i capelli e le parole. Di quei vecchi che non sono capaci di essere
vecchi, e quindi incapaci di nuovo». «Insomma, è meglio essere vecchi o
nuovi?». «Tutti e due, nipote, tutti e due». È proprio così: «bisogna
essere vecchi, per essere giovani come si deve». Poiché poi accade che
si venga a scoprire, con grande raccapriccio, come i cosiddetti giovani giovani
non lo siano affatto. Un gran bel pasticcio. E così avviene di sentire da
questi giovani, che forse giovani non lo sono, parole del tipo “Non
è intenzione di questo governo chiedere dimissioni di ministri o sottosegretari
solo sulla base di un avviso di garanzia, ma solo per problemi di opportunità
politica”. E poi ancora “L’avviso di garanzia è un atto dovuto, non
un’anticipazione di condanna”. E poi, tanto per apparire giovani,
risoluti ed operativi “All’esito del procedimento il governo
valuterà se chiedere le dimissioni del sottosegretario”. E sin qui il
nuovo non si intravvede. Non esiste proprio ancora. Scrive infatti Marco
Travaglio su “il Fatto Quotidiano” di oggi – “#inquisitostaisereno” -: Detta così, pare che ogni cittadino abbia
diritto a ricevere almeno un avviso di garanzia. Qualcuno dovrebbe spiegare
alla ministra delle Riforme che quell’atto è dovuto agli indagati, non a tutti
i cittadini: per quanto possa apparirle strano, milioni di italiani non hanno
mai visto un avviso di garanzia e vivono benissimo senza. Sono gli indagati
che, quando il pm deve compiere atti (interrogatori, perquisizioni, sequestri)
alla presenza del loro difensore, “avvisano” l’indagato perché ne nomini uno.
E, per essere indagati, occorre essere sospettati di aver commesso un reato:
altrimenti niente atto dovuto. Ora, è comprensibile che la giovane Boschi
auguri lunga vita al suo governo: ma per quanto lunga sia la durata del Renzi
I, sarà sempre inferiore a quella di un processo. Dunque non sarà questo
governo a valutare l’esito dei processi ai suoi membri. (…). Elementare!
E di seguito: Nessuno vuole abolire la presunzione di non colpevolezza fino a
condanna definitiva. Ma qui non si tratta di stabilire se Lupi, Barracciu,
Bubbico, De Filippo e Del Basso de Caro siano colpevoli o innocenti: solo se
sia opportuno che amministrino il Paese. Nessuno vuol buttarli in galera: ma
fuori dal governo sì. Così come in tutte le democrazie, dove basta un sospetto
(neppure un’indagine) perché l’interessato si dimetta da qualunque carica
pubblica. Salvo rientrare in politica una volta assolti. Lunedì Formigoni
sghignazzava in tv (…) che in Italia gli inquisiti non devono dimettersi perché
poi alcuni vengono assolti. Come se all’estero tutti gli indagati venissero
regolarmente condannati, per legge. (…). …in Italia c’è un libello chiamato
Costituzione che all’art. 54 prescrive a chi svolge pubbliche funzioni di
esercitarle “con disciplina e onore”. Che onore può vantare chi deve rispondere
di un reato? (…). E qui si viene
al nuovo che non c’è. Domanda Marco Travaglio: Ma era politicamente opportuno
infilare nel governo 5 indagati? Con quali criteri vengono selezionati i
ministri e i loro vice? E da quali elenchi vengono scelti: dai registri
degl’indagati delle procure? Davvero Renzi e i partiti che l’appoggiano
(soprattutto il suo, con 4 indagati su 5) non conoscono 62 incensurati tutti
insieme? Ma che razza di gente frequentano? E soprattutto: dove sarebbe la
novità di Renzi rispetto agli altri? Ecco, è che ci abbiamo pure una
Costituzione. Per farne cosa? È che questo nuovo che non è nuovo comincia a
stupire. Ma non già per il nuovo che non porta con sé, quanto per la
decrepitezza degli atteggiamenti che come fuoco sotto la cenere cova nelle
menti e negli animi dei “vecchi nuovi” che non sono affatto
i “nuovi
vecchi”. Sono i “vecchi vecchi” di sempre. Camuffati
da giovani. Ha scritto Francesco Merlo sul quotidiano la Repubblica di ieri
giovedì 6 di marzo – “Se i bimbi cantano
il culto di Matteo” -: (…).
…a Siracusa ho visto di peggio. Un retroscena rivela infatti che
nell’esibizione di quella scuola di borgata, vicina alla chiesa di Lucia, santa
e sempre più cieca, non c’è stato solo l’accanimento politico — e ridicolo —
del sindaco Giancarlo Garozzo. (…). …io, che da quelle parti sono nato, ci ho
visto soprattutto la tristezza infinita di un Meridione che è ancora e sempre
lo scenario naturale dello zio d’America, e mi sono ricordato che Silvio
Berlusconi a Lampedusa fu accolto come un messia, come un conquistador. Perché
sempre così è salutato l’uomo potente che viene da fuori, l’uomo del cargo che
può essere un capopartito, un cantante, un calciatore, un presidente del
consiglio o non importa chi, purché venga appunto da fuori. Renzi si rilegga,
per risarcire l’Italia, Carlo Levi che racconta di quel tal Vincent
Impellitteri che — cito a memoria — tornato dall’America, entra in paese (era
la provincia di Palermo e non di Siracusa) su una lussuosa macchina scoperta,
ed è accolto dalla gente in festa che lo tratta come uno sciamano: «‘Tuccamu a
machina, così ce ne andiamo in America’ gridavano i ragazzi del luogo». Ebbene,
Impellitteri non solo non li abbraccia e non dà loro il cinque, ma si addolora
e si rattrista al punto che si mette a piangere. Ecco, ci sarà da
piangere ancora!
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